In Calabria uccidono Valarioti e Losardo.
Un doppio colpo alla democrazia. E il destino della Calabria cambia per sempre. Accade nel 1980, quando ormai da qualche anno, strada per strada, si combatte un corpo a corpo feroce tra la ‘ndrangheta e l’anti-‘ndrangheta.
Da una parte le cosche che ormai stanno nell’economia, hanno messo i propri uomini nella politica, hanno persino cambiato le regole per entrare nella massoneria. Dall’altra parte quello il più forte movimento anti-‘ndrangheta della storia della Calabria con giovani, movimenti e pezzi della chiesa protagonisti e con un punto di riferimento politico ben preciso, il Partito comunista.
L’11 giugno 1980 cade sotto i colpi dei killer il 30enne Peppe Valarioti. Muore tra le braccia del suo amico e padre politico Peppino Lavorato. È il segretario della sezione comunista di Rosarno, Peppe. Gli sparano due colpi di lupara all’uscita da un ristorante in cui ha appena finito di festeggiare la vittoria del partito alle elezioni provinciali e regionali. La sua morte chiude una fase politica complicata, di scontri e di maldicenze, una campagna elettorale tesissima che hanno il loro culmine quando, nel mese di maggio, proprio mentre si celebrano i funerali della madre del boss di Rosarno Peppe Pesce, il Pci è in piazza a gridare contro la ‘ndrangheta e Peppe Valarioti pronuncia il suo testamento morale: “I comunisti non si piegheranno”. Peppe è un professore precario e un politico anomalo. È ambientalista, meridionalista e appassionato di archeologia. È un giovane intellettuale che si sporca le mani con l’impegno politico e civile: «Tocca a noi. Se non lo facciamo noi chi deve farlo?».
Passano appena dieci giorni e il 21 giugno ammazzano Giannino Losardo, 54enne segretario della procura di Paola, assessore ai lavori pubblici a Cetraro. Lo uccidono di ritorno a casa dopo un consiglio comunale infuocato in cui annuncia le sue dimissioni dalla giunta e denuncia relazioni pericolose tra ‘ndrangheta e politica. Giannino è un politico con la schiena dritta, uno che quando incontra per strada il boss Franco Muto neppure lo saluta. Denuncia pubblicamente un coacervo di interessi che coinvolge magistrati, imprenditori, funzionari, uomini delle forze dell’ordine. Ai funerali di Losardo arriva Enrico Berlinguer. Pronuncia parole chiare, denuncia i pericoli per la democrazia e chiama in causa i partiti sani a fare fronte comune. Non viene ascoltato. La situazione sta precipitando, la ‘ndrangheta ha colpito al cuore la Calabria e il partito che più di ogni altro rappresenta l’argine ai clan. Il giugno del 1980 segna il passaggio simbolico dalla battaglia al riflusso (anche perché i processi finiscono entrambi con un nulla di fatto) e la ‘ndrangheta (già entrata nella stanza dei bottoni) rompe gli argini, impone il consenso, si impadronisce della Calabria e inizia la sua scalata verso l’Italia e il mondo. Inizia quel lungo cammino che la porta a diventare quella che conosciamo noi oggi.