Non è la ‘ndrangheta il problema, nemmeno Cosa nostra. Non pensiamo affatto che il Ponte sullo Stretto non si debba costruire perché sarebbe (come pure è facile pensare, alla luce di quanto accaduto nella storia italiana) un affare per le cosche. E’ un’argomentazione sbagliata, utilizzata spesso strumentalmente da chi il Ponte lo vuole e con il Ponte vuole fare affari. Ci sono invece mille buone ragioni per non costruire un’opera inutile, dannosa, scriteriata. E ce ne sono altrettante per ragionare attorno a un nuovo modo di pensare, praticare, essere Sud. Non è questo lo spazio web giusto per trovarle. Qui potrete leggere invece che la storia del Ponte e quella dei clan calabresi e siciliani s’è intrecciata più volte: la storiografia racconta per esempio che fu proprio per i presunti appalti del Ponte che scoppiò la seconda guerra di ‘ndrangheta nel 1985, mentre le indagini della magistratura hanno svelato quando sia forte (tanto da arrivare in Nord America) l’interesse dei clan per il più grande ecomostro mai pensato da mente umana. Ci hanno pensato anche il direttore della Gazzetta del Sud Nino Calarco (con la sua celebre e imbarazzante intervista a Sciuscià) e l’ex ministro dei Lavori pubblici Pietro Lunardi a rafforzare l’idea che mafia e Ponte e, in generale le opere pubbliche, siano inscindibili. Ci sono inchieste giornalistiche e dossier di associazioni che hanno poi squarciato il velo di ipocrisia che esiste sulla gestione del territorio nel Messinese e nel Reggino. Pagine interessanti, da leggere per cogliere le dinamiche del potere politico, economico e criminale. Il dossier che pubblichiamo – che, come sempre, è un punto di partenza, uno stimolo alla discussione e un invito a segnalare tutti i materiali “mancanti” – arriva in un momento emotivamente “caldo”: Franco Nisticò è morto sul palco della manifestazione No Ponte del 19 dicembre 2009 mentre i soccorritori invocavano un’ambulanza. Inutilmente: il mezzo non c’era. L’ex sindaco di Badolato, animatore di mille battaglie per lo sviluppo del territorio calabrese, stava chiedendo, insieme con altre migliaia di persone, le infrastrutture di prossimità, la bonifica delle zone inquinate, la messa in sicurezza dei territori, le opere utili per tutti i cittadini, un sistema di trasporti pubblico ed efficiente nello Stretto.
Ai manifestanti e alle decisioni (meglio tardi che mai!) della Regione Calabria che ha appena annunciato l’uscita dalla Stretto di Messina spa e il ricorso al Tar contro all’avvio dei lavori della variante ferroviaria di Cannitello (“la prima pietra”, ha spiegato trionfalmente il ministro Matteoli), il governo ha subito risposto con un ulteriore stanziamento di fondi del Cipe per il Ponte (ma siamo molto molto lontani dall’obiettivo). Intanto – a causa dell’aggressione subita da Silvio Berlusconi – slitta a data da destinarsi la posa della prima pietra inizialmente prevista per il 23 dicembre. In fondo un’opportunità per questo governo che ha qualche settimana in più per ripensarci. Le “prime pietre” annunciate in grande stile non hanno una grande tradizione da queste parti. Quella posta da Giulio Andreotti per l’avvio dei lavori del quinto centro siderurgico a Gioia Tauro (vedi la storica prima pagina della Gazzetta del Sud che apre il dossier) i cittadini della Piana sono andati a Roma a restituirla. Con tanti ringraziamenti.
(scritto per Stopndrangheta.it)