Con il regista pugliese Edoardo Winspeare parte “Creatività meridiane”, un ciclo di incontri con intellettuali, artisti, politici, semplici cittadini meridionali che hanno piccole e grandi esperienze da raccontare alla ricerca di nuove idee, memorie disperse e buone pratiche. È il tentativo di fare un racconto autentico del Mezzogiorno, un modo di provare a scrivere parole inedite sul Sud, un contributo a un ragionamento – collettivo e individuale – sempre più urgente: ricostruire un’originale identità meridionale. In un Paese davvero unito.
Il ciclo di incontri “Creatività meridiane” è fatto per il quotidiano ecologista Terra.
Edoardo Winspeare è un regista meridionale e un personaggio anomalo per i canoni del Sud per molte ragioni. Innanzitutto, la più banale: il cognome che porta, segno di una storia del tutto particolare. Winspeare è nato in Austria, originario di una famiglia nobile e cattolica dello Yorkshire che si trasferisce nel regno di Napoli in seguito a una guerra di religione. Cresce nel Salento. Poi decide di studiare cinema e si trasferisce a Firenze, quindi a New York, poi ancora a Monaco di Baviera. Alla fine di un lunghissimo giro per il mondo decide di tornare in Salento e di vivere a Corsano, in provincia di Lecce.
Ci sono anche altre ragioni che fanno di Edoardo Winspeare un artista sui generis. La prima riguarda i suoi film. Si tratta di opere – da “Pizzicata” a “Sangue vivo”, da “Il miracolo” a “I galantuomini” – che hanno girato con successo i festival di mezzo mondo, ma soprattutto hanno la capacità di raccontare, da dentro, l’anima più vera un pezzo prezioso del nostro Mezzogiorno, il tacco dello Stivale, il Salento. Poi perché a Winspeare girare film sembra non bastare. È un ottimo musicista e una decina d’anni fa ha fondato e animato la band Zoe e ha deciso di fare il produttore (è socio con Gustavo Caputo di Saietta Film) scegliendo di continuare a vivere in Puglia. Una scelta in parte antieconomica «visto che il cuore del cinema sta a Roma o al limite a Milano» e che gli costa il prezzo, confessa, «di fare e produrre sicuramente meno film, di fare molta più fatica a trovare i soldi».
C’è poi la sua scelta – per nulla scontata – di mettersi in gioco. Come animatore culturale e come promotore di un percorso di rivendicazione di diritti che ha avuto il suo culmine cinque o sei anni fa, quando Edoardo Winspeare lancia la sua battaglia ambientalista per difendere il territorio dal cemento selvaggio. Lancia un’idea e un progetto apparentemente strampalato: comprare ecomostri, per abbatterli. La sua eresia, forse addirittura la sua pazzia, diventa l’associazione Coppula tisa, dal nome della lucertola salentina. Quella di Winspeare è una provocazione, concreta e intellettuale, che molto ha da dire sull’idea di Sud che dovremmo avere. Sono anni in cui vengono a galla centinaia di brutture illegali in ogni parte d’Italia e in cui la politica e le amministrazioni – come oggi, per la verità – sono sorde di fronte al richiamo, alla necessità, del bello. Il regista salentino chiama a raccolta la società civile, i cittadini, parte una colletta che corre come un treno e nel giro di pochi mesi un ecomostro di Tricase viene acquistato, abbattuto e il terreno viene restituito ai cittadini: «Oggi lì c’è il parco della cittadinanza attiva». Un piccolo grande risultato, senza neppure un euro degli enti pubblici, che serve da monito per la politica, che può rappresentare un modello per costruire un’altra identità nel territorio pugliese martoriato dall’abusivismo, come tutto quello meridionale («l’unica industria che funziona al sud è quella dell’edilizia», commenta amaro Winspeare).
Un regista e un intellettuale anomalo, fuori dagli schemi, molto meridionale e molto cittadino del mondo. Un buon punto di partenza per un viaggio – Creatività meridiane – che il domenicale di Terra vuole condurre in giro per il Sud alla scoperta di memorie, idee e pratiche per ragionare attorno a una nuova e originale identità meridionale. Winspeare è molto contento di partecipare a questo ragionamento. «Dobbiamo parlare di Sud? È l’unica cosa che so», esordisce divertito.
Si può partire da una definizione allora: «Siamo una bellissima nave senza nocchiero, una nave alla deriva», sentenzia. Poi aggiunge subito: «Oggi complessivamente il sud è peggiorato, ma visto che siamo a livelli così bassi non si può fare altro che risorgere. E mi pare che ci sono buoni segnali».
Dice: «Il Sud deve emanciparsi. Prima doveva farlo dai francesi o dagli spagnoli, adesso da ‘ndrangheta, cosa nostra, camorra e sacra corona». L’osservazione immediatamente successiva è che «ci sono politici del tutto irresponsabili. Io al loro posto sarei preoccupatissimo – insiste – invece vedo che non c’è nessuna ansia di fare cose buone e direi che si cammina troppo a braccetto con il malaffare». Per emanciparsi il Mezzogiorno, secondo il regista salentino, deve «prendere coscienza di quello che può dare, della sua storia, delle sue capacità economiche», deve cioè considerare che «siamo al Sud dell’Europa, ma siamo anche al centro del Mediterraneo». E lancia subito il suo primo obiettivo: «Recuperare Napoli», perché «se si recupera una grande città come Napoli ci sarà un effetto trascinamento che servirà a tutti».
Winspeare spiega a chiare lettere che non si tratta solo di un problema delle regioni meridionali, ma è una questione centrale che riguarda il Paese intero. «Noi abbiamo perso il nostro Sud – rimarca – ma anche l’Italia l’ha perso» e invece avrebbe dovuto «approfittarne». Approfittare della posizione strategica che il Mezzogiorno ha, della funzione di ponte che può avere «con l’Africa, i Balcani», con Napoli che «deve essere la nostra Costantinopoli». Paradossalmente invece non solo il Sud non rappresenta questo punto di riferimento, ma si allontana dall’Italia, si allontana persino da se stesso: «Al Sud nessuno conosce nessuno – spiega Winspeare – Per arrivare da Lecce a Reggio Calabria devo prendere tre o quattro treni, impiego 12 ore. Per arrivare a Torino o a Milano prendo un aereo e ci arrivo in un paio d’ore». Insiste nel suo ragionamento chiarendo che tra le diverse realtà del Sud «non c’è scambio commerciale e culturale, ci sono pochi intellettuali e la maggior parte di loro non vede l’ora di andare via, non ci sono mostre, eventi, una vera casa editrice». Un ragionamento che Winspeare fa «da pugliese e, quindi, da chi in questo momento sta messo meglio degli altri».
Non è un pessimista Winspeare, non si capirebbe altrimenti perché ha deciso di restare. E allora prova a fare una scala di priorità che possano essere alla base di una «rivolta positiva del Sud». Bisogna perciò «partire dalla cultura, dall’ambiente e dai giovani». Serve una «rivoluzione ambientale» che significa «cura del nostro straordinario territorio, della nostra cultura, del lavoro dell’uomo», bisogna insomma «valorizzare la bellezza». Indica anche dei punti di riferimento, «dei maestri a seconda degli orientamenti politici: Salvemini per i socialisti, don Tonino Bello per i cattolici, Borsellino per i conservatori». E pone l’accento anche su due periodi storici, da riprendere in mano per provare a ripartire: «Il Seicento dei calabresi con i suoi santi eretici e visionari» e, più recentemente, «gli anni Cinquanta in cui operavano personaggi come Ferruccio Parri o De Gasperi che… si comportavano bene». E ce ne sono anche degli altri punti di riferimento: «Gli eroi quotidiani, cioè le persone che fanno ogni giorno bene il proprio lavoro, quelli che, per dirla con Borges, stanno salvando il mondo». Certo nessuno, nemmeno il regista pugliese, vuole raccontare un mondo che non c’è. Si tratta di intervenire in quello che non funziona: nei trasporti, nella politica, nelle buone pratiche. Si tratta di «lamentarsi di meno e darsi da fare», di «liberarsi dal pregiudizio che riguarda i meridionali – come avviene per le donne, che sono costretti a essere i più bravi, i più brillanti, i più trasparenti» per farsi strada, di superare la «pigrizia intellettuale» degli italiani e l’abitudine dei media di privilegiare «le idee semplici e preconcette per comunicare». Il Mezzogiorno d’Italia è «complesso, frutto di cinquemila anni di civiltà, con molte cose da scoprire». Un discorso che riguarda un intero territorio. «Per me il Sud sta tutto insieme e penso che per il Sud oggi valga davvero la pena di combattere – dice – e lo dico a costo di sembrare nostalgico». E questo perché «è vero che il Sud si sta prostituendo al consumo, ma ancora conserva un senso di comunità, un’anima che non dobbiamo perdere sull’altare dei neoricchi consumisti». Ci sono delle isole nel nostro Mezzogiorno che «dobbiamo difendere dal rischio che la piovra le inglobi perché dire che tutto è mafia significa dire che niente lo è: e poi si ha il gioco dei clan». In questo ragionamento Winspeare fa una precisazione: «È vero che noi abbiamo la mafia – sottolinea – ma è anche vero che nel Mediterraneo siamo gli unici a non avere problemi etnici o di fanatismi: siamo accoglienti, ci sono episodi nella nostra storia di tolleranza, amicizia», dice riferendosi anche a quelle straordinarie storie dei pugliesi cha accolgono gli albanesi e i calabresi che aprono le porta ai curdi o ai palestinesi. Tutto questo, secondo Winspeare, «può rendere molto più facile avviare un percorso di cambiamento delle cose». Ecco perché gli viene fuori dal flusso del ragionamento la suggestione di fare del Sud «l’Arca della pace», della cultura, della cura del territorio, del rispetto per l’uomo. Eccolo il Sud di Winspeare: «Un posto da cui partire, certo. Ma anche un posto in cui arrivare». Con Napoli a fare da capitale.
(Pubblicato sul quotidiano Terra il 28 novebre 2010)