nei giorni scorsi siamo stati insieme a tanti cittadini sotto la casa del procuratore generale Salvatore Di Landro per esprimergli la nostra non rituale solidarietà. Oggi vogliamo approfittare delle pagine del Suo giornale per invitare lui e tutti i magistrati – sono molti altri, com’è noto, quelli minacciati – che lavorano nel nostro territorio ad andare avanti con la determinazione e l’impegno sin qui dimostrati.
Le intimidazioni ai magistrati, ai giornalisti, ai cittadini sono un attacco alla libertà e alla democrazia in questa città e in questo Paese. Riguardano tutti. E tutti siamo chiamati a fare la nostra parte. È partendo da questa consapevolezza che bisogna avviare un ragionamento che dovrà portare – non è per nulla scontato – ad assumere la battaglia contro la ‘ndrangheta come una battaglia che sia davvero senza indulgenze, senza equivoci, senza compromessi sui principi. Andando a fondo alle questioni, ai torpori colpevoli, alle compromissioni. Partendo da due presupposti: il primo è che la ‘ndrangheta è tale per la sua capacità di stare nel Potere, il secondo è che fare davvero anti-‘ndrangheta significa banalmente occuparsi della vita delle persone, dei diritti, del proprio territorio, del proprio futuro. Tutto è legato da un filo che non si può e non si deve spezzare.
Ecco perché non possiamo non tenere presente i tempi in cui viviamo. Ecco perché occorre guardare con attenzione alla crisi di governo e, soprattutto, a quella al comune di Reggio Calabria nella quale si sta consumando uno scontro tra accuse pesanti e colpi bassi, parole irripetibili e insinuazioni violente persino nei documenti ufficiali. Nessuna parola sulla politica, nemmeno un chiarimento su qual è il vero oggetto del contendere, quali sono i poteri – da tutti evocati e da nessuno denunciati – che si agitano dentro e fuori Palazzo San Giorgio e che mettono a rischio Reggio Calabria. In questo contesto, dove si sprecano le lettere minatorie, è incomprensibile l’atteggiamento silente e confuso di un centrosinistra allo sbando.
La manifestazione.
Se guardiamo a questa situazione nel suo complesso e se – come noi pensiamo – antimafia vuol dire partecipazione, impegno, memoria, creatività allora la proposta di una grande manifestazione nazionale a Reggio Calabria non può che essere accolta con favore, nella speranza che sia l’inizio di un nuovo processo di consapevolezza dei reggini e dei calabresi e di una nuova affermazione di protagonismo del nostro territorio nei confronti del Paese. C’è un rischio però, grave. Denunciato proprio dalle pagine del Quotidiano da Angela Napoli: «Alle iniziative e all’attuazione delle stesse potrebbero partecipare e aderire persone che magari potrebbero avere delle responsabilità rispetto a tutto quello che sta accadendo a Reggio Calabria». Anche tra le persone che hanno manifestato la solidarietà a Di Landro ci sono persone e personaggi tutt’altro che al di sopra di ogni sospetto.
Ecco perché allora è giusto sottoscrivere l’appello “Quello che non ho” della Fondazione Giuseppe Di Vittorio per sostenere le richieste dei magistrati reggini al governo. Ma ecco perché occorre sciogliere dubbi e ambiguità se vogliamo ragionare di una vera manifestazione anti-‘ndrangheta. Se siamo convinti e consapevoli che la ‘ndrangheta sta nelle istituzioni, nella politica, nell’economia, se – come sostengono i magistrati – siamo di fronte a pezzi di Stato che stanno destabilizzando la nostra democrazia, dobbiamo avere la capacità di leggere le dinamiche in chiaroscuro facendoci guidare non soltanto dalle sentenze della magistratura, ma anche dal buonsenso e dal recupero di un’etica pubblica oggi più che mai indispensabile. Per questa ragione, alla politica e ai rappresentanti istituzionali, alle forze sociali e ai cittadini che vogliono scendere in piazza a manifestare contro le cosche bisogna chiedere di pronunciare parole chiare e nette sul lavoro nero e il precariato – che sono la vera grande questione calabrese – sul ricatto occupazionale e le “mediazioni” politiche per avere uno straccio di lavoro. E poi parole altrettanto chiare e nette sullo sfruttamento dei lavoratori migranti, sulle infiltrazioni negli appalti pubblici, sulle strategie (governo e regione prima di tutto) che si metteranno in atto nella gestione della sciagurata opera del ponte sullo Stretto che altro non è che un rubinetto da cui escono soldi a palate. C’è assoluto bisogno di ritrovare parole comuni, per riscrivere i contorni di una nuova e originale identità meridionale, di riappropriarsi della nostra memoria e di un racconto di noi stessi. E forse questa volta si riuscirà ad affrontare in maniera efficace una situazione che purtroppo non è nuova.
Le intimidazioni e le elezioni
Non può essere un caso che le scadenze elettorali e le crisi politiche nel nostro territorio vengano segnate sempre da bombe, minacce, lettere minatorie. Dal 2004 a oggi ci sono stati gli spari contro Saverio Zavettieri, poi le pallottole mandate ad Loiero, poi l’omicidio Fortugno, poi le finte bombe al comune di Reggio, poi – prima delle regionali – la bomba alla procura generale. L’ultimo atto riguarda Salvatore Di Landro, proprio mentre si consuma una drammatica crisi al comune e ci si prepara a fare delicatissime elezioni provinciali e comunali.
Se davvero i partiti colgono la gravità di questa fase, applichino almeno stavolta – non l’hanno mai fatto – criteri trasparenti e inequivocabili nella selezione dei candidati (abbiamo ancora davanti agli occhi lo squallido spettacolo offerto nella compilazione delle liste alle elezioni regionali e attendiamo, ora più che mai, il resoconto dei lavori della commissione parlamentare antimafia). Denuncino compromissioni e intromissioni, si facciano guardare al proprio interno. Ai cittadini spetterà di fare il resto: votino secondo coscienza. Davvero.
Ai magistrati reggini che in questi mesi hanno portato a termine importantissime inchieste chiediamo una compattezza interna oggi quanto mai necessaria e di chiarire alla città qual è la situazione, dove viviamo, dove stiamo andando, per non concedere alibi e scuse a nessuno. Reagire è urgente: bisogna mettersi in gioco «senza aspettare che il percorso di strategia della tensione che è in atto si compia. Senza aspettare – ha denunciato il procuratore di Palmi Giuseppe Creazzo, anche lui minacciato – che uno di noi venga ammazzato». Così non avremo fatto un corteo rituale.
* (Matteo Cosenza, direttore de Il Quotidiano della Calabria)