I Calabresi vogliono essere parlati

L’ex sindaco anti-‘ndrangheta di Rosarno Peppino Lavorato ha scritto un commento bellissimo, di cui vado fiero, sul libro “Dimenticati”. Lo ha pubblicato il Quotidiano della Calabria.
Eccolo
di Giuseppe Lavorato*
 peppino su dimenticati01
Da alcune settimane è nelle librerie italiane‘’Dimenticati, vittime della ‘ndrangheta. La storia e le storie delle donne e degli uomini assassinati dall’organizzazione criminale più segreta e più potente del mondo’’, ultimo libro Danilo Chirico ed Alessio Magro, due giovani intellettuali calabresi che si cimentano con i problemi della loro e nostra terra con passione civile e serietà. Ne danno prova già nell’introduzione, quando scrivono«Cinque anni fa abbiamo iniziato un viaggio a ritroso nella memoria dispersa, occultata e negata di un pezzo d’Italia. Avevamo bisogno – innanzi tutto per noi stessi – di colmare buchi impressionanti. Abbiamo letto e riletto atti processuali, decifrato verbali scritti a mano, riaperto libri obsoleti e sfogliato ingiallite pagine di giornali e riviste, guardato vecchie foto ed immagini rovinate. Soprattutto abbiamo incontrato centinaia di persone. Straordinarie. Le abbiamo ascoltate. Abbiamo sentito dal vivo della loro voce quello che è stato. Parole pronunciate con orgoglio e vigore o strette tra i denti e sussurrate. È un’emozione che non si può dire, spiegare.  Poi è stato il momento del racconto».
Sono parole che si incastonano perfettamente con quelle di Francesco Cascini, magistrato ragazzino di prima nomina nel 1996 a Locri che, nel libro “Storia di un giudice, nel far west della ‘ndrangheta’’, scrive: «Sembrava impossibile che tutto potesse nascere dalle case arrampicate sull’Aspromonte di Africo vecchio, dai cunicoli di Platì, dal silenzio di San Luca, dagli ovili abusivi dei capi più carismatici. Eppure era così.Nella Locride la situazione resta difficile, anche solo da capire, senza aver respirato l’aria di posti come Africo, San Luca. Le persone che ci vivono, la loro cultura, la loro mentalità rappresentano un altro mondo, di fatto incomprensibile a chi non è nato e cresciuto lì».
Pensieri, quelli di Chirico, Magro e Cascini, che ricordano quelli di Corrado Alvaro: “I Calabresi vogliono essere parlati”.  Ciò che è vero per tutti i popoli del mondo, è vero anche per i Calabresi. Per comprenderli e descriverli devi immergerti tra di loro e parlare con loro, invece molto spesso sono raccontati da persone che non li hanno conosciuti oppure sono passati tra di loro, rapidamente, a volo di uccello. Sono tanti i grandi inviati che arrivati in Calabria hanno firmato pezzi superficiali e spocchiosi o hanno usato i microfoni  della televisione come clave con l’unico obiettivo di costruire l’ennesimo caso di omertà, l’ennesima macchietta da schernire. In questo compito sono facilitati da soggetti che, per apparire difensori delle proprie comunità ed ottenere qualche meschino voto in più, negano, minimizzano, giustificano quanto, invece deve essere denunciato con vigore e fermezza. Com’è avvenuto, a gennaio, dopo la spietata e infame caccia al nero e la deportazione dei neri africani che si sono ribellati all’estorsione sulla loro miserrima paga ed alle violenze subite. Mentre chi vuole veramente bene alla propria terra e vuole mantenerne integri e credibili i valori che la nutrono, si misura sui problemi e sui mali che l’affliggono con  il linguaggio della verità nuda e cruda, perché così agisce il medico che vuole guarire l’ammalato. Rifugge dalle parole consolatrici e soprattutto dalle parole e dai comportamenti  che piacciono alla ‘ndrangheta. Denuncia, senza indulgenza, i mali, per poi assegnare la  legittima luce ai comportamenti nobili che sono presenti e vivi in tanta parte delle nostre comunità. La ‘ndrangheta ha raggiunto l’attuale potenza anche perché è stato un fenomeno poco conosciuto fino a qualche decennio addietro, oscurato dalla più appariscente “cosa nostra” siciliana, dalla camorra napoletana e dalla disattenzione dei mass media. Numerose inchieste giudiziarie hanno disvelato la sua crescita vertiginosa  nell’ultimo quarantennio e su di esse si è sviluppata una copiosa letteratura che ne ha divulgato la conoscenza. Diffondere le relazioni della magistratura e degli organi inquirenti, che costituiscono fonti di altissima qualità, è certamente indispensabile per conoscere il fenomeno. Ma la letteratura non può fermarsi ad esse. Deve aiutare ad una comprensione maggiore del fenomeno congiungendo all’indagine giudiziaria un lavoro ed una riflessione che avvenga dentro il corpo vivo delle comunità afflitte dal fenomeno. È il lavoro compiuto da Danilo ed Alessio, nelle 500 pagine del loro racconto che si immerge dentro i problemi drammatici che affliggono il nostro popolo, li vive, li soffre  e li descrive con rigore intellettuale e morale. I capitoli del libro raccontano la brutalità sanguinaria della ’ndrangheta in tutte le sue attività criminali. Sembrano le tappe della sofferenza inflitta al popolo onesto e laborioso, in un accostamento ideale all’iniziativa annuale di un Pastore della chiesa locridea di celebrare la Via Crucis con soste di riflessione e di preghiera nei luoghi simbolo della violenza e del dolore.
Le numerose vittime dell’Anonima sequestri calabrese, così come le morti collegate ai rapimenti: testimoni scomodi, mediatori sgraditi,vittime inconsapevoli e cittadini in cerca di giustizia. La cosiddetta strategia della linea dura che vieta il pagamento dei riscatti, mentre un’altra trattativa impegna apparati sommersi delle istituzioni. E poi il capitolo dei “Fatti di crudeltà inaudita, che nel nome dell’onore violato, del disonore, portano a morte violenta ed efferata donne, sorelle bambini, adulteri e spasimanti colpevoli di amare la persona sbagliata”. Delitti compiuti per riaffermare il “prestigio di casta, quello degli ‘ndranghetisti” al solo fine di poter continuare a fare parte quelle organizzazioni criminali  che si arricchiscono con la violenza ed il malaffare. L’assassinio di umili lavoratori per lanciare il segnale che anche in Calabria, come in Campania, gli affari miliardari dei rifiuti appartengono alle cosche. Ma, assieme alla Calabria peggiore, quella della ferocia inaudita, dei faccendieri ed insospettabili, di parti degenerate della politica e delle istituzioni che hanno contribuito a allargare l’area collusa e grigia e a ingrossarel’accumulazione originaria dei capitali necessari a introdurre la ‘ndrangheta dei pastori e dei guardiani nel mondo dei grandi traffici illeciti, Danilo Chirico ed Alessio Magro raccontano la Calabria migliore, perché sanno che non arriverà nessun angelo liberatore e che i calabresi dovranno liberarsi da soli dall’oppressione della ‘ndrangheta. Per questo le molteplici, spietate ed infami forme che la violenza assume sono raccontate assieme al dolore vigliaccamente inflitto ad inermi ed oneste persone. E tra quest’ultime, il racconto illumina quelle che alla ‘ndrangheta si sono opposte, per indicarle ad esempio.  Nelle belle ed amare pagine del libro ritornano in vita le storie di calabresi, che hanno onorato la loro terra: sono donne meravigliose; uomini in divisa, magistrati, politici, imprenditori, cittadini. La penna descrive la Calabria vera ed intera. La crescita vertiginosa di una organizzazione criminale che dopo aver conquistato un grande potere militare, economico, politico, ricerca anche la legittimazione sociale, tentando di impregnare di se anche attività sportive, ricreative, pseudo culturali, religiose.
E racconta anche la Calabria di chi si oppone, resiste, combatte, lavora per risvegliare all’impegno civile tutte le persone oneste e laboriose, che sono largamente maggioritarie. Perché se non si da voce anche a quest’altra Calabria la battaglia diventa ancora più difficile di quanto già lo sia. E ad essa appartiene anche quel canto-poesia che tocca i sentimenti umani più profondi: “Ma comu si faci ‘nta Calabria i si spara ancora, ma comu si faci ‘nta Calabria i si ammazza ancora, ndavimu u suli ndavimu u mari e sogni d’amuri, ma comu si faci ‘nta Calabria i si ammazza ancora!  Sono alcuni versi della poesia “Ma comu si faci” , ma come si fa a uccidere ancora in una terra che è un paradiso , coi fiori che nascono anche d’inverno, il mare, il sole, composta e cantata dal gruppo punk degli “Invece”, nome scelto da giovani artisti per testimoniare che c’è sempre un’alternativa allo stato di cose presenti. Versi scritti sul finire del secolo scorso da giovani che hanno provato sulla loro pelle  la disoccupazione, l’emigrazione, l’essere chiamati e trattati come gli africani (Ndi ndi jamu ndi ndi jamu, si ma aundi jamu, ndi ndi jamu ndi ndi jamu, comu i profughi fuimu). Versi che richiamano il più importante problema del nostro tempo (l’esodo biblico dei poveri del mondo) e fatti dolorosi di stringente attualità. Versi che, omaggiando il nostro grande scrittore, scrivono e cantano “Non è bella la vita degli africani in giro per il mondo trattati come cani e allora e allora ribellione’’.
Dopo “Il sangue dei giusti’’, “Il caso Valarioti’’, il dossier sulla legittima rivolta degli africani neri e l’infame rappresaglia compiuta contro di loro descritte in “Arance insanguinate”, l’associazione Stopndrangheta.it e molti scritti politico-sociali, “Dimenticati’’ è , in ordine di tempo, l’ultima opera delle tantissime che certamente Danilo Chirico ed Alessio Magro comporranno a beneficio della conoscenza e dell’impegno di quanti vogliono essere protagonisti del riscatto del Mezzogiorno e dell’Italia.
Nota: tutte le frasi in corsivo sono tratte dal libro e sono, quindi, frutto dell’intelligente lavoro degli autori.
*ex deputato e sindaco di Rosarno
( pubblicato sul Quotidiano della Calabria il 24 dicembre 2010)

Il 2 Gennaio ospite del Premio Fava

Il 2 gennaio si apre a Palazzolo Acreide (Sr) il premio Giuseppe Fava, dedicato al direttore de “I siciliani” assassinato dalla mafia. Nel corso della prima giornata, alle 17,30 nella sala del comune, ci sarà anche un mio intervento. Con un’intervista in cui parlerò dell’associazione daSud, dell’archivio Stopndrangheta.it e dei libri Il caso Valarioti e Dimenticati. Vittime della ‘ndrangheta.
Il giorno dopo è prevista la presentazione del fumetto su Pippo Fava, di daSud e Round Robin Editrice, realizzato da Luigi Politano e Luca Ferrara.Ecco il programma completo:2 Gennaio 2011
– 10:30 Aula Consiliare del comune
[VISIONI URBANE: SQUARCI DI RESISTENZA]
Sonia Giardina – Documentarista, giornalista
– 17:30
[1991-2011 APA: 20 ANNI DI ANTIRACKET]
Paolo Caligiore – Presidente associazione palazzolese anti-racket “Pippo Fava”
Leonardo Licitra – Presidente giovani imprenditori confindustria Ragusa
Giorgio Straquadanio – Libera Coordinamento Ragusa
AddioPizzo Catania e Filippo Casella – Imprenditore che ha detto no al racket
Modera Massimiliano Perna – IlMegafono.orgIntervista a Danilo Chirico – giornalista, associazione “daSud”

– 21:30 BLOB – Contenitore Multiuso – Via Maestranza 28/30 Palazzolo Acreide
[MUSICA CONTRO LE MAFIE] – ingresso libero
Peppe Qbeta
LaPazzi

3 Gennaio 2011
– 10:30 Aula Consiliare del Comune
[GRAPHICNOVEL – L’ANTIMAFIA A FUMETTI]
Luca Ferrara – Fumettista
Lelio Bonaccorso – Fumettista e disegnatore
Luigi Politano – Giornalista
– 16:30
[Premiazione II Concorso scuole G. Fava: “La verita` in immagini e scritti”]
– 17:30
[PRESENTAZIONE DEL FUMETTO “Pippo Fava, lo spirito di un giornale” di L. Politano e L. Ferrara]
Luigi Politano – Giornalista
Luca Ferrara – Fumettista
Avv. Adriana Laudani
– 18:30
[DAL BENE AL MEGLIO: USO SOCIALE DEI BENI CONFISCATI ALLE MAFIE]
Armando Rosstitto – gia` dirigente scolastico ed assessore alla legalità ed alle politiche giovanili del comune di Lentini
Alfio Curcio – Cooperativa “Beppe Montana”
Giusy Aprile – Coordinatrice provinciale Libera
– 21:30 BLOB – Contenitore Multiuso – Via Maestranza 28/30 Palazzolo Acreide
[TEATRO CONTRO LE MAFIE] ingresso libero
“I Siciliani” – Magma Teatro

4 Gennaio 2011
– 10:30 Aula Consiliare del Comune
[GIORNALISMO A SUD: FORUM DI INFORMAZIONE LIBERA IN SICILIA]
Lavori in corso: UCuntu, StepOne, La periferica, I Cordai – Catania possibile – Magma – Il Clandestino – adEst – CorleoneDialogos – IlMegafono.org – La Civetta
– 17:30
[MISTERI E STRAGI, DA PORTELLA DELLA GINESTRA ALL’AGENDA ROSSA]
Claudio Fava – Giornalista, scrittore
Francesco Viviano – Giornalista per La Repubblica
Alessandra Ziniti – Giornalista per La Repubblica
Riccardo Orioles – Redattore de “I Siciliani”
Coordina Pino Finocchiaro – Giornalista di RaiNews24
– a seguire
[“IO HO UN CONCETTO ETICO DEL GIORNALISMO…”]
Gaetano Alessi – AdEst
Pino Maniaci – TeleJato
Gianluca Floridia – Coordinatore provinciale Libera Ragusa
Gabriella Galizia – Coordinamento Fava
Consegna del V premio Giuseppe Fava sezione Giovani “Scritture ed immagini contro le mafie”

Riempire gli spazi a Reggio Calabria

Saremo in piazza il 25 settembre a Reggio Calabria. Per nulla a cuor leggero, abbiamo deciso di esserci. Per molte ragioni. Innanzitutto perché non può essere casuale – accade con impressionante puntualità almeno dall’attentato a Saverio Zavettieri – la stretta corrispondenza che esiste tra bombe, intimidazioni e appuntamenti elettorali. Perché ci sembra stringente – al punto di soffocare – la connessione tra mafia e politica, tra apparati deviati e pezzi delle istituzioni. Perché non ci sembra sufficiente il tentativo di reagire della società civile.

Non ci nascondiamo, però. Questa manifestazione non è la straordinaria marcia Reggio-Archi. Non può esserlo, non ci sono le condizioni (e su questo dovremmo tutti quanti aprire una riflessione senza sconti). E il fiume di adesioni che vediamo ogni giorno se per un verso incoraggia tanta gente perbene a scendere in piazza, per l’altro ci mette tutti di fronte a due difficoltà sostanziali. La prima: l’appello elaborato non entra davvero nel merito delle grandi questioni che attraversano la Calabria e il Sud. Non affronta i nodi centrali per il futuro della nostra comunità: il lavoro (e il lavoro nero), le grandi opere (a partire dal No al Ponte, per il quale torneremo in piazza il 2 ottobre a Messina, fino allo scandalo della Statale 106 o della Salerno-Reggio Calabria), la cura del territorio e l’abusivismo (quanto mai necessarie in Calabria, terra di alluvioni), i migranti (da Rosarno in giù, un buco nero per tutti), la vergogna della borghesia mafiosa, il racket (e le ipocrisie legate alle mazzette), la selezione della classe dirigente e della classe politica, la compattezza delle istituzioni e della magistratura, la carenza dei servizi sociali (e l’abitudine che i cittadini hanno fatto alla sottrazione quotidiana di diritti elementari), la prepotenza della politica che tutto fa e disfa senza avere un progetto. E si potrebbe andare avanti a lungo.

Poi c’è un altro problema, altrettanto grave. Tutti o quasi – troppi – hanno aderito alla manifestazione. Chi ci crede e chi no, chi vuole differenziarsi e chi vuole mescolarsi tra la folla, chi vuole approfittarne e chi sceglie di stare in piazza, chi pensa di essere il più bravo e chi pensa di essere il più furbo. Anche personaggi dai quali è meglio stare lontani saranno in piazza sabato 25. Speriamo di vedere sfilare migliaia di persone ma è bene precisare che noi non siamo per l’unità, non siamo per l’unanimità. Neanche nella lotta alla ‘ndrangheta. Perché se la ‘ndrangheta sta nel potere e nelle istituzioni, se sta nell’economia e occupa i posti cruciali della classe dirigente non possiamo stare tutti dalla stessa parte. Se lo facciamo commettiamo un errore. Imperdonabile. Non tutti i percorsi sono uguali, è bene saperlo se vogliamo davvero parlare di ‘ndrangheta e Italia, se vogliamo rovesciare convinzioni e schemi precostituiti, sciogliere grumi di interessi perversi, se vogliamo denunciare pupi e pupari, se vogliamo conoscere e riconoscere, se vogliamo distinguere veri e falsi intellettuali, vittime e carnefici, padroni e padrini, bianco e nero, se vogliamo orientarci nella melassa del grigio. Se vogliamo davvero affrontare la grande questione del Potere con tutto quello che significa.
E allora misuriamoci sui fatti, sulla politica, sulle scelte, sulle posizioni. Ci spieghino le forze politiche e gli amministratori – a partire da quelli regionali – come condizionano il consenso, come compilano (e compileranno) le liste elettorali, cosa pensano delle grandi questioni che riguardano la Calabria. E come commentano le inchieste della magistratura – ne aspettiamo ancora delle altre – che stanno svelando, poco a poco, compromissioni, legami, ricatti, infiltrazioni. Se esistono delle zone d’ombra, perché non prendono le distanze? Perché non pronunciano parole chiare? Perché non sono conseguenti negli atti? E lo stesso riguarda le forze sindacali (che non sono immuni da colpe), i rappresentanti delle categorie (perché siamo così indietro rispetto ad altre regioni?), i giornalisti e gli intellettuali (sono davvero liberi o rappresentano gli interessi di qualcuno?), le associazioni e i movimenti (perché in una situazione così drammatica c’è così poco conflitto?), tutti i cittadini (quanto siamo coinvolti nel sistema affaristico-politico-para-‘ndranghetistico che governa il nostro territorio?).

daSud al corteo di Reggio Calabria
Se tutto questo è vero, perché scendere in piazza?Perché fare antimafia significa partecipare, metterci la faccia, rivendicare diritti. Senza alibi, senza intellettualismi buoni a tenere a bada la propria coscienza, senza imbarazzanti primogeniture di natura tardo-adolescenziale. Perché rivendichiamo il diritto di stare nel corteo senza indulgenze, senza equivoci, senza compromessi sui principi, senza rinunciare alle nostre parole d’ordine, senza avere paura di confonderci. Perché non vogliamo regalare le strade e le piazze di Reggio Calabria a chi tenta di occuparle ma non le merita. Perché in una città e in un Paese in cui sono sempre più stretti gli spazi per la partecipazione e la democrazia, bisogna creare occasioni di confronto, aprire varchi, offrire occasioni, mettere a disposizione – ci proviamo da cinque anni – percorsi di ricerca, di denuncia, di ricostruzione della memoria, di partecipazione, di creatività, di diritti e di democrazia. Perché chi ha voglia di sporcarsi le mani e ha voglia di dire dei “no” deve sapere di non essere solo. Perché dobbiamo dire le nostre cose a tanta più gente possibile e rendere l’antimafia popolare, farla uscire fuori dai circuiti tradizionali. Perché non siamo sufficienti. Nessuno lo è. Solo se teniamo insieme tutto questo abbiamo una possibilità di ripartire. E allora la manifestazione – che non è un punto di arrivo – potrà rappresentare una piccola occupazione di uno spazio. Altrimenti a riempire gli spazi ci penseranno gli altri, quelli che non ci piacciono. C’è sempre qualcuno che riempie gli spazi vuoti, anche questo paga la Calabria. Saremo in piazza il 25, lì abbiamo deciso di stare per festeggiare i cinque anni dell’associazione daSud. Per dire la Calabria, raccontarla. Rivendicarla. Reggio sta diventando come la Palermo degli anni 90. Non ce ne rendiamo neanche conto.

ECCO LE FOTO DA REPUBBLICA.IT

No ‘ndrangheta, in piazza ma con le nostre parole d’ordine

Saremo in piazza il 25 settembre a Reggio Calabria. Per nulla a cuor leggero, abbiamo deciso di esserci. Per molte ragioni. Innanzitutto perché non può essere casuale – accade con impressionante puntualità almeno dall’attentato a Saverio Zavettieri – la stretta corrispondenza che esiste tra bombe, intimidazioni e appuntamenti elettorali. Perché ci sembra stringente – al punto di soffocare – la connessione tra mafia e politica, tra apparati deviati e pezzi delle istituzioni. Perché non ci sembra sufficiente il tentativo di reagire della società civile.
Non ci nascondiamo, però. Questa manifestazione non è la straordinaria marcia Reggio-Archi. Non può esserlo, non ci sono le condizioni (e su questo dovremmo tutti quanti aprire una riflessione senza sconti). E il fiume di adesioni che vediamo ogni giorno se per un verso incoraggia tanta gente perbene a scendere in piazza, per l’altro ci mette tutti di fronte a due difficoltà sostanziali. La prima: l’appello elaborato non entra davvero nel merito delle grandi questioni che attraversano la Calabria e il Sud. Non affronta i nodi centrali per il futuro della nostra comunità: il lavoro (e il lavoro nero), le grandi opere (a partire dal No al Ponte, per il quale torneremo in piazza il 2 ottobre a Messina, fino allo scandalo della Statale 106 o della Salerno-Reggio Calabria), la cura del territorio e l’abusivismo (quanto mai necessarie in Calabria, terra di alluvioni), i migranti (da Rosarno in giù, un buco nero per tutti), la vergogna della borghesia mafiosa, il racket (e le ipocrisie legate alle mazzette), la selezione della classe dirigente e della classe politica, la compattezza delle istituzioni e della magistratura, la carenza dei servizi sociali (e l’abitudine che i cittadini hanno fatto alla sottrazione quotidiana di diritti elementari), la prepotenza della politica che tutto fa e disfa senza avere un progetto. E si potrebbe andare avanti a lungo.
Poi c’è un altro problema, altrettanto grave. Tutti o quasi – troppi – hanno aderito alla manifestazione. Chi ci crede e chi no, chi vuole differenziarsi e chi vuole mescolarsi tra la folla, chi vuole approfittarne e chi sceglie di stare in piazza, chi pensa di essere il più bravo e chi pensa di essere il più furbo. Anche personaggi dai quali è meglio stare lontani saranno in piazza sabato 25. Speriamo di vedere sfilare migliaia di persone ma è bene precisare che noi non siamo per l’unità, non siamo per l’unanimità. Neanche nella lotta alla ‘ndrangheta. Perché se la ‘ndrangheta sta nel potere e nelle istituzioni, se sta nell’economia e occupa i posti cruciali della classe dirigente non possiamo stare tutti dalla stessa parte. Se lo facciamo commettiamo un errore. Imperdonabile. Non tutti i percorsi sono uguali, è bene saperlo se vogliamo davvero parlare di ‘ndrangheta e Italia, se vogliamo rovesciare convinzioni e schemi precostituiti, sciogliere grumi di interessi perversi, se vogliamo denunciare pupi e pupari, se vogliamo conoscere e riconoscere, se vogliamo distinguere veri e falsi intellettuali, vittime e carnefici, padroni e padrini, bianco e nero, se vogliamo orientarci nella melassa del grigio. Se vogliamo davvero affrontare la grande questione del Potere con tutto quello che significa.
E allora misuriamoci sui fatti, sulla politica, sulle scelte, sulle posizioni. Ci spieghino le forze politiche e gli amministratori – a partire da quelli regionali – come condizionano il consenso, come compilano (e compileranno) le liste elettorali, cosa pensano delle grandi questioni che riguardano la Calabria. E come commentano le inchieste della magistratura – ne aspettiamo ancora delle altre – che stanno svelando, poco a poco, compromissioni, legami, ricatti, infiltrazioni. Se esistono delle zone d’ombra, perché non prendono le distanze? Perché non pronunciano parole chiare? Perché non sono conseguenti negli atti? E lo stesso riguarda le forze sindacali (che non sono immuni da colpe), i rappresentanti delle categorie (perché siamo così indietro rispetto ad altre regioni?), i giornalisti e gli intellettuali (sono davvero liberi o rappresentano gli interessi di qualcuno?), le associazioni e i movimenti (perché in una situazione così drammatica c’è così poco conflitto?), tutti i cittadini (quanto siamo coinvolti nel sistema affaristico-politico-para-‘ndranghetistico che governa il nostro territorio?).
Se tutto questo è vero, perché scendere in piazza? Perché fare antimafia significa partecipare, metterci la faccia, rivendicare diritti. Senza alibi, senza intellettualismi buoni a tenere a bada la propria coscienza, senza imbarazzanti primogeniture di natura tardo-adolescenziale. Perché rivendichiamo il diritto di stare nel corteo senza indulgenze, senza equivoci, senza compromessi sui principi, senza rinunciare alle nostre parole d’ordine, senza avere paura di confonderci. Perché non vogliamo regalare le strade e le piazze di Reggio Calabria a chi tenta di occuparle ma non le merita. Perché in una città e in un Paese in cui sono sempre più stretti gli spazi per la partecipazione e la democrazia, bisogna creare occasioni di confronto, aprire varchi, offrire occasioni, mettere a disposizione – ci proviamo da cinque anni – percorsi di ricerca, di denuncia, di ricostruzione della memoria, di partecipazione, di creatività, di diritti e di democrazia. Perché chi ha voglia di sporcarsi le mani e ha voglia di dire dei “no” deve sapere di non essere solo. Perché dobbiamo dire le nostre cose a tanta più gente possibile e rendere l’antimafia popolare, farla uscire fuori dai circuiti tradizionali. Perché non siamo sufficienti. Nessuno lo è. Solo se teniamo insieme tutto questo abbiamo una possibilità di ripartire. E allora la manifestazione – che non è un punto di arrivo – potrà rappresentare una piccola occupazione di uno spazio. Altrimenti a riempire gli spazi ci penseranno gli altri, quelli che non ci piacciono. C’è sempre qualcuno che riempie gli spazi vuoti, anche questo paga la Calabria. Saremo in piazza il 25, lì abbiamo deciso di stare per festeggiare i cinque anni dell’associazione daSud. Per dire la Calabria, raccontarla. Rivendicarla. Reggio sta diventando come la Palermo degli anni 90. Non ce ne rendiamo neanche conto.