Pensieri, quelli di Chirico, Magro e Cascini, che ricordano quelli di Corrado Alvaro: “I Calabresi vogliono essere parlati”. Ciò che è vero per tutti i popoli del mondo, è vero anche per i Calabresi. Per comprenderli e descriverli devi immergerti tra di loro e parlare con loro, invece molto spesso sono raccontati da persone che non li hanno conosciuti oppure sono passati tra di loro, rapidamente, a volo di uccello. Sono tanti i grandi inviati che arrivati in Calabria hanno firmato pezzi superficiali e spocchiosi o hanno usato i microfoni della televisione come clave con l’unico obiettivo di costruire l’ennesimo caso di omertà, l’ennesima macchietta da schernire. In questo compito sono facilitati da soggetti che, per apparire difensori delle proprie comunità ed ottenere qualche meschino voto in più, negano, minimizzano, giustificano quanto, invece deve essere denunciato con vigore e fermezza. Com’è avvenuto, a gennaio, dopo la spietata e infame caccia al nero e la deportazione dei neri africani che si sono ribellati all’estorsione sulla loro miserrima paga ed alle violenze subite. Mentre chi vuole veramente bene alla propria terra e vuole mantenerne integri e credibili i valori che la nutrono, si misura sui problemi e sui mali che l’affliggono con il linguaggio della verità nuda e cruda, perché così agisce il medico che vuole guarire l’ammalato. Rifugge dalle parole consolatrici e soprattutto dalle parole e dai comportamenti che piacciono alla ‘ndrangheta. Denuncia, senza indulgenza, i mali, per poi assegnare la legittima luce ai comportamenti nobili che sono presenti e vivi in tanta parte delle nostre comunità. La ‘ndrangheta ha raggiunto l’attuale potenza anche perché è stato un fenomeno poco conosciuto fino a qualche decennio addietro, oscurato dalla più appariscente “cosa nostra” siciliana, dalla camorra napoletana e dalla disattenzione dei mass media. Numerose inchieste giudiziarie hanno disvelato la sua crescita vertiginosa nell’ultimo quarantennio e su di esse si è sviluppata una copiosa letteratura che ne ha divulgato la conoscenza. Diffondere le relazioni della magistratura e degli organi inquirenti, che costituiscono fonti di altissima qualità, è certamente indispensabile per conoscere il fenomeno. Ma la letteratura non può fermarsi ad esse. Deve aiutare ad una comprensione maggiore del fenomeno congiungendo all’indagine giudiziaria un lavoro ed una riflessione che avvenga dentro il corpo vivo delle comunità afflitte dal fenomeno. È il lavoro compiuto da Danilo ed Alessio, nelle 500 pagine del loro racconto che si immerge dentro i problemi drammatici che affliggono il nostro popolo, li vive, li soffre e li descrive con rigore intellettuale e morale. I capitoli del libro raccontano la brutalità sanguinaria della ’ndrangheta in tutte le sue attività criminali. Sembrano le tappe della sofferenza inflitta al popolo onesto e laborioso, in un accostamento ideale all’iniziativa annuale di un Pastore della chiesa locridea di celebrare la Via Crucis con soste di riflessione e di preghiera nei luoghi simbolo della violenza e del dolore.
I Calabresi vogliono essere parlati
Pensieri, quelli di Chirico, Magro e Cascini, che ricordano quelli di Corrado Alvaro: “I Calabresi vogliono essere parlati”. Ciò che è vero per tutti i popoli del mondo, è vero anche per i Calabresi. Per comprenderli e descriverli devi immergerti tra di loro e parlare con loro, invece molto spesso sono raccontati da persone che non li hanno conosciuti oppure sono passati tra di loro, rapidamente, a volo di uccello. Sono tanti i grandi inviati che arrivati in Calabria hanno firmato pezzi superficiali e spocchiosi o hanno usato i microfoni della televisione come clave con l’unico obiettivo di costruire l’ennesimo caso di omertà, l’ennesima macchietta da schernire. In questo compito sono facilitati da soggetti che, per apparire difensori delle proprie comunità ed ottenere qualche meschino voto in più, negano, minimizzano, giustificano quanto, invece deve essere denunciato con vigore e fermezza. Com’è avvenuto, a gennaio, dopo la spietata e infame caccia al nero e la deportazione dei neri africani che si sono ribellati all’estorsione sulla loro miserrima paga ed alle violenze subite. Mentre chi vuole veramente bene alla propria terra e vuole mantenerne integri e credibili i valori che la nutrono, si misura sui problemi e sui mali che l’affliggono con il linguaggio della verità nuda e cruda, perché così agisce il medico che vuole guarire l’ammalato. Rifugge dalle parole consolatrici e soprattutto dalle parole e dai comportamenti che piacciono alla ‘ndrangheta. Denuncia, senza indulgenza, i mali, per poi assegnare la legittima luce ai comportamenti nobili che sono presenti e vivi in tanta parte delle nostre comunità. La ‘ndrangheta ha raggiunto l’attuale potenza anche perché è stato un fenomeno poco conosciuto fino a qualche decennio addietro, oscurato dalla più appariscente “cosa nostra” siciliana, dalla camorra napoletana e dalla disattenzione dei mass media. Numerose inchieste giudiziarie hanno disvelato la sua crescita vertiginosa nell’ultimo quarantennio e su di esse si è sviluppata una copiosa letteratura che ne ha divulgato la conoscenza. Diffondere le relazioni della magistratura e degli organi inquirenti, che costituiscono fonti di altissima qualità, è certamente indispensabile per conoscere il fenomeno. Ma la letteratura non può fermarsi ad esse. Deve aiutare ad una comprensione maggiore del fenomeno congiungendo all’indagine giudiziaria un lavoro ed una riflessione che avvenga dentro il corpo vivo delle comunità afflitte dal fenomeno. È il lavoro compiuto da Danilo ed Alessio, nelle 500 pagine del loro racconto che si immerge dentro i problemi drammatici che affliggono il nostro popolo, li vive, li soffre e li descrive con rigore intellettuale e morale. I capitoli del libro raccontano la brutalità sanguinaria della ’ndrangheta in tutte le sue attività criminali. Sembrano le tappe della sofferenza inflitta al popolo onesto e laborioso, in un accostamento ideale all’iniziativa annuale di un Pastore della chiesa locridea di celebrare la Via Crucis con soste di riflessione e di preghiera nei luoghi simbolo della violenza e del dolore.