L’attentato di Reggio è certamente un attacco diretto alla magistratura reggina che sta colpendo in maniera sistematica gli uomini e i patrimoni delle cosche: catture di latitanti, sequestri e confische di beni (in tutta Italia), inchieste su droga e appalti. E probabilmente non è un caso che l’obiettivo sia la procura generale, uno dei centri nevralgici dell’intero sistema: dalle mani del procuratore generale Salvatore Di Landro e dei suoi sostituti passano i provvedimenti per le confische e arriveranno importantissimi processi (dall’omicidio Fortugno al porto di Gioia Tauro).
A tutti i magistrati reggini che lavorano con passione, serietà e impegno vanno pertanto la nostra solidarietà e il nostro sostegno. Non rituali.
Una sfida a tutti
La bomba alla Procura generale di Reggio Calabria è contro i magistrati, ma colpisce tutti. E’ una bomba contro la democrazia. Si sente, seppure ancora lontano, l’eco delle bombe di Cosa nostra che cercava (e a volte trovava) sponde nello Stato, qualcuno avverte l’eco delle trame eversive di questo Paese che hanno trovato in Calabria e nella ‘ndrangheta significativi punti di riferimento.
Soprattutto si percepisce un clima strano, pericoloso, al quale siamo già stati abituati (il pensiero corre alla bomba inesplosa al Comune di Reggio Calabria, nel 2004). Purtroppo. E forse è significativo che la bomba sia stata piazzata in un momento cruciale per i destini della Calabria: a poche settimane dalle elezioni regionali, a poche settimane dall’apertura dei cantieri del Ponte sullo Stretto.
Nel 2005.
Facciamo un passo indietro. Una campagna elettorale molto tesa quella di cinque anni fa, preceduta da un lungo anno di veleni ed ulteriori tensioni. Dall’agguato all’allora assessore del centrodestra Saverio Zavettieri, il clima diventa pesante. Una campagna elettorale lunghissima, tanto che l’attuale governatore Agazio Loiero annuncia la sua discesa in campo nella primavera del 2004. Tanti mesi di preparazione, forse troppi. Si respira aria da scontro all’ultimo sangue, si intuiscono movimenti sotterranei e attriti nell’universo della ‘ndrangheta.
È in quel clima che nasce nell’estate del 2005 l’idea di daSud, un laboratorio culturale, un punto di vista per recuperare la memoria della nostra Calabria e interpretare il presente. Volevamo capire cosa stesse succedendo, ci aspettavamo che accadesse qualcosa. Era nell’aria. L’omicidio di Franco Fortugno arriva prestissimo. Un terremoto. Un big bang. Quella tragedia ha prodotto un effetto positivo: di ‘ndrangheta oggi si parla. Solo dal 16 ottobre del 2005 la ‘ndrangheta è l’organizzazione criminale più potente d’Europa. Libri, reportage, inchieste, documentari, il livello di attenzione è certamente cresciuto.
Oggi.
Oggi, come nel 2005, si avvertono movimenti e tensioni tra le organizzazioni criminali, che hanno perso per strada boss e capobastone, che devono trovare la forza di riorganizzarsi, che sono in difficoltà sotto i colpi della magistratura. E che, nonostante ciò, continuano a determinare i processi economici, politici e sociali di interi pezzi di territorio. Come nel 2005 la situazione è esplosiva. Il consiglio regionale uscente è stato scosso dall’attentato di Locri, si è trovato a dovere affrontare una situazione di emergenza. Il consiglio regionale che verrà ha una responsabilità in più: dopo la bomba di Reggio Calabria – ultimo anello di una serie di segnali preoccupanti e inquietanti – nessuno può fingere di non vedere e non capire.
Eppure questa consapevolezza sembra di pochi: la questione ‘ndrangheta è ai margini del dibattito politico (persino di Fortugno quasi nessuno parla più) e purtroppo le vuote parole di circostanza di queste ore non fanno altro che confermare lo smarrimento generale della classe dirigente e politica.
Alcune questioni in campo.
Al governo, che pure con i ministri Maroni e Alfano ha manifestato preoccupazione per quello che è avvenuto in punta allo Stivale, vorremmo segnalare che non sono sufficienti le missioni reggine a sostegno di chi sequestra e confisca i beni mafiosi se poi si votano provvedimenti che ne facilitano il ritorno nelle mani dei boss. Così come vorremmo sapere perché si fanno orecchie da mercante di fronte alle reiterate richieste dei magistrati di più uomini e risorse per combattere la guerra contro la ‘ndrangheta.
Ai dirigenti politici di questa regione chiediamo invece che la futura assemblea calabrese venga eletta con un voto chiaro e consapevole. Sarebbe un perseverare diabolico il ricorso al clientelismo, che gioco forza da noi si traduce in voto di scambio con la ‘ndrangheta. Dopo l’omicidio Fortugno, dopo la bomba alla procura generale non si può più dire di non sapere. Ecco perché chiediamo alla politica e ai partiti di fare una scelta di trasparenza, di indicare i criteri di scelta dei candidati, di usare le forbici dove occorre, di non tapparsi il naso e quindi costringere gli elettori a farlo. Di pronunciare parole chiare e non equivoche e di essere conseguenziali nelle azioni. Non è antipolitica: il nuovo spesso è peggio del vecchio, quello che chiediamo è assunzione di responsabilità e non demagogia. Perché l’errore più grave è pensare di poter governare la Calabria senza la partecipazione costante della gente. Lo si è fatto e lo si potrebbe fare ancora, ma ad un prezzo altissimo: la politica non è più credibile. La partecipazione c’è se la politica è credibile, e la politica sarà credibile solo se, oggi più che mai, saprà indicare con trasparenza e responsabilità le liste dei candidati alle prossime regionali. Quelle del dopo Fortugno, del dopo attacco ai magistrati.
Il Ponte.
Un’altra riflessione. In questo periodo pre-elettorale sembra passare sottotraccia la questione mafiosa legata ai lavori per il Ponte sullo Stretto. Ma non era stata proprio l’annuncio dell’avvio dei lavori una delle ragioni a fare scoppiare la seconda guerra di mafia nel 1985?
Il nuovo avvio dei lavori è stato annunciato il 23 dicembre scorso, i cantieri potrebbero effettivamente partire in piena campagna elettorale. Ancora poco è stato detto sul modo in cui la politica calabrese intende impedire alla ‘ndrangheta di fare quello che ha fatto in quasi tutti gli appalti pubblici degli ultimi 40 anni, e cioè infiltrarsi e speculare, così come è stato per i lavori di ammodernamento dell’A3 e della statale 106.
Come? Un quesito che rivolgiamo ai partiti del centrodestra che il Ponte lo vogliono, e a quelli del centrosinistra che ufficialmente si oppongono – e che si avviano, peraltro in maniera goffa, a partire dalle primarie del 17 gennaio, a scegliere il candidato governatore – alle associazioni e alle grandi organizzazioni, alla magistratura, al mondo della cultura, agli addetti ai lavori, e non certo per ultimi ai cittadini.
Noi il Ponte non lo vogliamo.
Al quesito rispondiamo subito, per trasparenza e correttezza: sposiamo la scelta del movimento No Ponte. L’associazione daSud è scesa in piazza il 19 dicembre a Villa San Giovanni per tre motivi. Il Ponte non lo vogliamo perché non c’è spazio nella nostra idea di futuro per un’opera inutile e dannosa come il Ponte, perché pensiamo che sia la risposta sbagliata ai tantissimi giovani emigrati che fuggono dalla Calabria, quei tantissimi giovani che animano la nostra associazione un po’ ovunque nelle città della diaspora calabrese del Centro-Nord. E il Ponte non lo vogliamo perché crediamo che la società calabrese, e la politica che ne è lo specchio, non abbia sviluppato gli anticorpi necessari per evitare che, parafrasando una celebre frase, il Ponte unisca due cosche piuttosto che due coste. Qualcosa di simile è già successo al tempo del Quinto centro siderurgico: un megaimpianto calata dall’alto e di dubbia efficacia, appalti da record, poi il fallimento, le promesse disattese, i miliardi a finanziare la “cosa nuova” della ‘ndrangheta reggina e calabrese. Come abbiamo ricordato con un dossier speciale sull’archivio web Stopndrangheta.it (di cui siamo co-animatori), all’epoca venne in pompa magna Giulio Andreotti per la posa della prima pietra a Gioia Tauro (con tanto di caffè nell’hotel dei Piromalli). Quella prima pietra è poi tornata a Roma, con una manifestazione di protesta al seguito. Non vorremmo ripetere la scena, ed è purtroppo questa la nostra previsione. Non tocca a noi dare ricette e non lo facciamo, diciamo però che bisognerebbe trovare le risposte partendo dal basso, dai giovani che sono rimasti e da quelli che sono andati via ma continuano ad amare la nostra terra, dalle idee.
Ponte sullo Stretto, al centrodestra l’onere della prova.
Al centrodestra, che con il candidato governatore Giuseppe Scopelliti è pienamente in linea con la strategia delle grandi opere di Silvio Berlusconi, chiediamo di spiegare ai cittadini – ma nel dettaglio perché quei miliardi sono davvero tanti, una cosa mai vista – come si intenda vigilare, in una regione che da quanto emerge dalle inchieste giudiziarie appare assolutamente permeabile alle penetrazioni criminali. Scartata d’ufficio la lunardiana convivenza con la mafia, il Pdl ha l’onere della prova: dimostrare che è possibile evitare le infiltrazioni delle cosche. Un’assunzione di responsabilità da prendere prima del voto, con tutto quello che ne discende.
Ponte sullo Stretto, il centrosinistra e le primarie
Al centrosinistra le richieste sono molteplici. I partiti dell’area sono schierati ufficialmente contro la costruzione della megaopera. Ma alla manifestazione del 19 dicembre c’erano vuoti inspiegabili e incolmabili. Perché? Un quesito che è rivolto in primo luogo ai candidati che corrono per le primarie: è una scelta importante, e i cittadini devono scegliere conoscendo le posizioni dei partiti e dei candidati sulla questione del Ponte.
Un tema che riteniamo prioritario in questa campagna elettorale. Ecco perché chiediamo ai partiti del centrosinistra di essere conseguenti, coerenti, di esprimere con forza e costanza le proprie posizioni, di spiegare agli elettori in che modo intendano portare avanti l’opposizione al Ponte. Impegni precisi in campagna elettorale (a prescindere dalle alleanze future) e responsabilità dopo il voto.
Un appello generale.
Ma l’appello è generale: partiti, sindacati, associazionismo e terzo settore, movimento antimafia, società civile, singoli e comunità, vorremmo che la discussione sulla bomba a Reggio, le elezioni regionali e il Ponte fosse plurale e quanto mai varia. Vorremmo che ci fosse un dibattito su di noi, su una nuova identità meridionale. Molto c’è ancora da fare per esempio per recuperare la memoria della migliore Calabria che è stata, della meglio gioventù calabrese come amiamo definirla: una sfida che daSud percorre fino in fondo per colmare una lacuna storica della società calabrese, quella di dimenticare se stessa. Un percorso condiviso con diversi pezzi della realtà calabrese, come la Cgil, Libera, l’associazionismo, il mondo degli artisti e tanti ancora. Un percorso che altri portano avanti in parallelo, con grandi meriti.
Molto è cambiato, anche se gli effetti della nostra dimenticanza continuano a produrre enormi distorsioni. Capita ancora di leggere sulle cronache nazionali ricostruzioni miopi e fuorvianti della società calabrese, che non colgono quello che di buono c’è. E non aiutano. Come se l’anti-‘ndrangheta non fosse mai esistita prima dell’omicidio Fortugno. E invece la nostra terra ha una lunga tradizione di lotte antimafia, nella Locride e nella Piana di Gioia Tauro, tante e tante battaglie civili dal dopoguerra ad oggi. È da lì che bisogna ripartire. Una Calabria che ancora nessuno racconta. E non c’è più tempo.
(scritto con Alessio Magro, pubblicato su Il quotidiano della Calabria)