Liberiamo tutti insieme strade e piazze di Rosarno

Non era un mistero per nessuno, da almeno dieci anni. E faceva comodo a tutti: ai cittadini e agli imprenditori, alla politica nazionale e locale, agli ispettori e alle asl. Per questo solo oggi l’Italia scopre Rosarno. Perché a (quasi) nessuno interessava scoprirla prima. E quando qualcuno ha deciso di rompere il silenzio e ne ha cominciato a parlare e scrivere, quando alle cacce all’uomo si sono contrapposte le iniziative di solidarietà invece di esplodere il caso Rosarno come una vicenda nazionale è partita un’operazione sistematica di “silenziamento”. Che è finita soltanto grazie ai neri. Che nel 2008 hanno denunciato i loro aggressori in un territorio pieno di paura e omertà, che nel 2010 si sono ribellati alle provocazioni e agli spari.

A Rosarno è successo qualcosa di straordinario, nel senso di fuori dall’ordinario, nel senso di grave come non mai. Allo sfruttamento dei lavoratori e all’emergenza umanitaria, allo scaricabarile della politica e all’omertà dei controllori, al razzismo di tanti cittadini e all’indifferenza di tanti altri, si sono aggiunti comportamenti da Mississipi burning e la deportazione di una razza in stile Shoah. Non era mai accaduto, quali che siano le cause e le giustificazioni. E non bisogna sottovalutarlo. E’ accaduto a Rosarno e in questo contesto la ‘ndrangheta ha avuto un ruolo centrale che chi sottovaluta o derubrica a componente secondaria nulla capisce delle cose calabresi o in malafede fornisce una analisi sbagliata dei fatti. In questo senso, la sedicente manifestazione dei cittadini è solo una ulteriore conferma dell’assenza delle più elementari libertà.
Le arance insanguinate di Rosarno che, dopo piazza Navona, iniziano a circolare per le strade e le piazze italiane sono il simbolo di tutto questo. Sono il sale su una ferita che s’è aperta a Rosarno e che riguarda tutti. Riguarda anche Maroni, che finge di non capire. Una ferita che potremo rimarginare soltanto quando tutti, nessuno escluso – a partire dai cittadini di Rosarno e calabresi, dal movimento antirazzista a quello antimafia, dalle forze politiche e sindacali, dalla chiesa a tutti i cittadini – ci faremo carico di restituire la verità su quello che accade da anni a Rosarno, sulle denunce che sono state fatte e ignorate per anni. Sulle battaglie per i diritti e sulla negazione delle libertà. Senza indulgenza e senza giustificazionismi di maniera. Solo con una nuova consapevolezza e ristabilendo la verità si può cominciare a ragionare insieme su come ripartire, su come restituire agibilità democratica e diritti su un territorio abbandonato e che, pure, ha una tradizione gloriosa di lotte popolari, per la democrazia, contro le cosche. Questo dossier di Stopndrangheta raccoglie notizie, filmati, foto, esperienze che partono dal 2006 e arrivano fino a oggi. Come al solito, è certamente parziale, è a disposizione di tutti e a tutti chiede un contributo. Avrà anche una versione cartacea. Serve solo come punto di partenza per capire un po’ di più e più a fondo cosa accade in questo nostro Paese. E magari a ricordare, come sostiene l’ex sindaco di Rosarno Peppino Lavorato, che a macchiare l’immagine di Rosarno non sono i media (pure spesso colpevoli perché poco curiosi), ma le cosche della ‘ndrangheta. E che nessuno può accettare l’idea che esiste un pezzo di territorio off limits e non attraversabile. Le strade e le piazze di Rosarno sono territorio libero in un Paese libero. O no? A questa domanda bisognerebbe darsi una risposta sincera. Uscendo da ipocrisie, indifferenze, logiche di appartenenza e pregiudizi ideologici.

(dossier Arance insanguinate)

Contro il razzismo uno striscione per cento piazze

Lo striscione antimafia negato a Rosarno ricompare a Roma. Con la stessa scritta: «Speriamo un giorno di poter dire un giorno… c’era una volta la mafia». Lo porteremo, come associazione daSud, oggi pomeriggio alle 16,30 in piazza Santi Apostoli quando, con le associazioni antirazziste e le comunità migranti romane, manifesteremo davanti alla prefettura (lo stesso accadrà contemporaneamente a Caserta, Avellino, Padova, Reggio Calabria e in molte altre città), per tenere alta l’attenzione sui fatti di Rosarno e rivendicare politiche di accoglienza per i migranti che vivono in Italia denunciando, come si legge nell’appello diffuso in questi giorni, «troppa (in)tolleranza e nessun diritto».

Lo porteremo in piazza oggi lo striscione e nelle prossime settimane, nei prossimi mesi, perché ricordi a tutti, nella sua essenza, cosa davvero è successo a Rosarno: sui principi, sulla verità non possiamo concedere spazio alle mediazioni.
Ha ragione l’ex sindaco di Rosarno Peppino Lavorato quando dice che «la rappresaglia e la cacciata dei migranti neri hanno aperto una ferita profonda e dolorosissima». Tuttavia lo stesso Lavorato invita tutti a uscire dalle ambiguità: la ferita si rimargina solo quando «diremo pubblicamente che non sono i media a macchiare l’immagine di Rosarno, ma a macchiarla ed insanguinarla continuamente sono le cosche della ‘ndrangheta».

Se così è, tutti dobbiamo farci carico di restituire la verità su quello che accade da anni a Rosarno, sulle denunce che sono state fatte e ignorate. Sulle battaglie per i diritti e sulla negazione delle libertà. Un contributo in questo senso vogliamo darlo in maniera concreta: il 23 gennaio pubblicheremo il dossier speciale «Arance insanguinate» di Stopndrangheta.it, il primo archivio multimediale sulla criminalità organizzata in Calabria. Partiremo da lontano, per provare a capire cosa accade oggi nei tanti ghetti del nostro Paese.

Siamo convinti che solo con una nuova consapevolezza e ristabilendo la verità si può ricominciare, valorizzando e difendendo il lavoro fatto dalle associazioni in questi anni, mettendo spalle al muro la politica e le istituzioni incapaci e colpevoli, recuperando la tradizione rosarnese e dell’intera Piana di Gioia Tauro fatta di straordinarie lotte popolari, per la democrazia, contro le cosche.
Su questo crinale si gioca la partita più complessiva dei migranti, in Calabria e nel Mezzogiorno, da Rosarno a Castelvolturno. Anche di questo occorre discutere nelle assemblee e negli appuntamenti del movimento e della politica, a partire dall’assemblea nazionale del 24 gennaio a Roma.

Da qui dobbiamo partire per rilanciare una mobilitazione nazionale, larga ed efficace, per dire no al razzismo e allo sfruttamento dei migranti. E per contrastare le mafie. Ragionando di una grande manifestazione nazionale in Calabria, da fare – come dice Lavorato – tutti insieme dietro lo striscione negato. Che diventa per una volta simbolo di libertà.

(pubblicato su “Il manifesto”)

Bomba a Reggio, Regionali e Ponte

La ‘ndrangheta è in difficoltà, sente addosso tutto il peso dell’attività della magistratura reggina. E reagisce. Non in maniera disordinata e avventata, come qualcuno vorrebbe far credere. Ma in maniera ragionata. Le cosche reggine alzano il livello dello scontro – a costo di pagarne le conseguenze in termini di esposizione mediatica – perché pensano di poter raggiungere dei risultati. Spetta a tutti, nessuno escluso, impedire che questo accada.

L’attentato di Reggio è certamente un attacco diretto alla magistratura reggina che sta colpendo in maniera sistematica gli uomini e i patrimoni delle cosche: catture di latitanti, sequestri e confische di beni (in tutta Italia), inchieste su droga e appalti. E probabilmente non è un caso che l’obiettivo sia la procura generale, uno dei centri nevralgici dell’intero sistema: dalle mani del procuratore generale Salvatore Di Landro e dei suoi sostituti passano i provvedimenti per le confische e arriveranno importantissimi processi (dall’omicidio Fortugno al porto di Gioia Tauro).
A tutti i magistrati reggini che lavorano con passione, serietà e impegno vanno pertanto la nostra solidarietà e il nostro sostegno. Non rituali.

Una sfida a tutti
La bomba alla Procura generale di Reggio Calabria è contro i magistrati, ma colpisce tutti. E’ una bomba contro la democrazia. Si sente, seppure ancora lontano, l’eco delle bombe di Cosa nostra che cercava (e a volte trovava) sponde nello Stato, qualcuno avverte l’eco delle trame eversive di questo Paese che hanno trovato in Calabria e nella ‘ndrangheta significativi punti di riferimento.
Soprattutto si percepisce un clima strano, pericoloso, al quale siamo già stati abituati (il pensiero corre alla bomba inesplosa al Comune di Reggio Calabria, nel 2004). Purtroppo. E forse è significativo che la bomba sia stata piazzata in un momento cruciale per i destini della Calabria: a poche settimane dalle elezioni regionali, a poche settimane dall’apertura dei cantieri del Ponte sullo Stretto.

Nel 2005.
Facciamo un passo indietro. Una campagna elettorale molto tesa quella di cinque anni fa, preceduta da un lungo anno di veleni ed ulteriori tensioni. Dall’agguato all’allora assessore del centrodestra Saverio Zavettieri, il clima diventa pesante. Una campagna elettorale lunghissima, tanto che l’attuale governatore Agazio Loiero annuncia la sua discesa in campo nella primavera del 2004. Tanti mesi di preparazione, forse troppi. Si respira aria da scontro all’ultimo sangue, si intuiscono movimenti sotterranei e attriti nell’universo della ‘ndrangheta.
È in quel clima che nasce nell’estate del 2005 l’idea di daSud, un laboratorio culturale, un punto di vista per recuperare la memoria della nostra Calabria e interpretare il presente. Volevamo capire cosa stesse succedendo, ci aspettavamo che accadesse qualcosa. Era nell’aria. L’omicidio di Franco Fortugno arriva prestissimo. Un terremoto. Un big bang. Quella tragedia ha prodotto un effetto positivo: di ‘ndrangheta oggi si parla. Solo dal 16 ottobre del 2005 la ‘ndrangheta è l’organizzazione criminale più potente d’Europa. Libri, reportage, inchieste, documentari, il livello di attenzione è certamente cresciuto.

Oggi.
Oggi, come nel 2005, si avvertono movimenti e tensioni tra le organizzazioni criminali, che hanno perso per strada boss e capobastone, che devono trovare la forza di riorganizzarsi, che sono in difficoltà sotto i colpi della magistratura. E che, nonostante ciò, continuano a determinare i processi economici, politici e sociali di interi pezzi di territorio. Come nel 2005 la situazione è esplosiva. Il consiglio regionale uscente è stato scosso dall’attentato di Locri, si è trovato a dovere affrontare una situazione di emergenza. Il consiglio regionale che verrà ha una responsabilità in più: dopo la bomba di Reggio Calabria – ultimo anello di una serie di segnali preoccupanti e inquietanti – nessuno può fingere di non vedere e non capire.
Eppure questa consapevolezza sembra di pochi: la questione ‘ndrangheta è ai margini del dibattito politico (persino di Fortugno quasi nessuno parla più) e purtroppo le vuote parole di circostanza di queste ore non fanno altro che confermare lo smarrimento generale della classe dirigente e politica.

Alcune questioni in campo.
Al governo, che pure con i ministri Maroni e Alfano ha manifestato preoccupazione per quello che è avvenuto in punta allo Stivale, vorremmo segnalare che non sono sufficienti le missioni reggine a sostegno di chi sequestra e confisca i beni mafiosi se poi si votano provvedimenti che ne facilitano il ritorno nelle mani dei boss. Così come vorremmo sapere perché si fanno orecchie da mercante di fronte alle reiterate richieste dei magistrati di più uomini e risorse per combattere la guerra contro la ‘ndrangheta.
Ai dirigenti politici di questa regione chiediamo invece che la futura assemblea calabrese venga eletta con un voto chiaro e consapevole. Sarebbe un perseverare diabolico il ricorso al clientelismo, che gioco forza da noi si traduce in voto di scambio con la ‘ndrangheta. Dopo l’omicidio Fortugno, dopo la bomba alla procura generale non si può più dire di non sapere. Ecco perché chiediamo alla politica e ai partiti di fare una scelta di trasparenza, di indicare i criteri di scelta dei candidati, di usare le forbici dove occorre, di non tapparsi il naso e quindi costringere gli elettori a farlo. Di pronunciare parole chiare e non equivoche e di essere conseguenziali nelle azioni. Non è antipolitica: il nuovo spesso è peggio del vecchio, quello che chiediamo è assunzione di responsabilità e non demagogia. Perché l’errore più grave è pensare di poter governare la Calabria senza la partecipazione costante della gente. Lo si è fatto e lo si potrebbe fare ancora, ma ad un prezzo altissimo: la politica non è più credibile. La partecipazione c’è se la politica è credibile, e la politica sarà credibile solo se, oggi più che mai, saprà indicare con trasparenza e responsabilità le liste dei candidati alle prossime regionali. Quelle del dopo Fortugno, del dopo attacco ai magistrati.

Il Ponte.
Un’altra riflessione. In questo periodo pre-elettorale sembra passare sottotraccia la questione mafiosa legata ai lavori per il Ponte sullo Stretto. Ma non era stata proprio l’annuncio dell’avvio dei lavori una delle ragioni a fare scoppiare la seconda guerra di mafia nel 1985?
Il nuovo avvio dei lavori è stato annunciato il 23 dicembre scorso, i cantieri potrebbero effettivamente partire in piena campagna elettorale. Ancora poco è stato detto sul modo in cui la politica calabrese intende impedire alla ‘ndrangheta di fare quello che ha fatto in quasi tutti gli appalti pubblici degli ultimi 40 anni, e cioè infiltrarsi e speculare, così come è stato per i lavori di ammodernamento dell’A3 e della statale 106.
Come? Un quesito che rivolgiamo ai partiti del centrodestra che il Ponte lo vogliono, e a quelli del centrosinistra che ufficialmente si oppongono – e che si avviano, peraltro in maniera goffa, a partire dalle primarie del 17 gennaio, a scegliere il candidato governatore – alle associazioni e alle grandi organizzazioni, alla magistratura, al mondo della cultura, agli addetti ai lavori, e non certo per ultimi ai cittadini.

Noi il Ponte non lo vogliamo.
Al quesito rispondiamo subito, per trasparenza e correttezza: sposiamo la scelta del movimento No Ponte. L’associazione daSud è scesa in piazza il 19 dicembre a Villa San Giovanni per tre motivi. Il Ponte non lo vogliamo perché non c’è spazio nella nostra idea di futuro per un’opera inutile e dannosa come il Ponte, perché pensiamo che sia la risposta sbagliata ai tantissimi giovani emigrati che fuggono dalla Calabria, quei tantissimi giovani che animano la nostra associazione un po’ ovunque nelle città della diaspora calabrese del Centro-Nord. E il Ponte non lo vogliamo perché crediamo che la società calabrese, e la politica che ne è lo specchio, non abbia sviluppato gli anticorpi necessari per evitare che, parafrasando una celebre frase, il Ponte unisca due cosche piuttosto che due coste. Qualcosa di simile è già successo al tempo del Quinto centro siderurgico: un megaimpianto calata dall’alto e di dubbia efficacia, appalti da record, poi il fallimento, le promesse disattese, i miliardi a finanziare la “cosa nuova” della ‘ndrangheta reggina e calabrese. Come abbiamo ricordato con un dossier speciale sull’archivio web Stopndrangheta.it (di cui siamo co-animatori), all’epoca venne in pompa magna Giulio Andreotti per la posa della prima pietra a Gioia Tauro (con tanto di caffè nell’hotel dei Piromalli). Quella prima pietra è poi tornata a Roma, con una manifestazione di protesta al seguito. Non vorremmo ripetere la scena, ed è purtroppo questa la nostra previsione. Non tocca a noi dare ricette e non lo facciamo, diciamo però che bisognerebbe trovare le risposte partendo dal basso, dai giovani che sono rimasti e da quelli che sono andati via ma continuano ad amare la nostra terra, dalle idee.

Ponte sullo Stretto, al centrodestra l’onere della prova.
Al centrodestra, che con il candidato governatore Giuseppe Scopelliti è pienamente in linea con la strategia delle grandi opere di Silvio Berlusconi, chiediamo di spiegare ai cittadini – ma nel dettaglio perché quei miliardi sono davvero tanti, una cosa mai vista – come si intenda vigilare, in una regione che da quanto emerge dalle inchieste giudiziarie appare assolutamente permeabile alle penetrazioni criminali. Scartata d’ufficio la lunardiana convivenza con la mafia, il Pdl ha l’onere della prova: dimostrare che è possibile evitare le infiltrazioni delle cosche. Un’assunzione di responsabilità da prendere prima del voto, con tutto quello che ne discende.

Ponte sullo Stretto, il centrosinistra e le primarie
Al centrosinistra le richieste sono molteplici. I partiti dell’area sono schierati ufficialmente contro la costruzione della megaopera. Ma alla manifestazione del 19 dicembre c’erano vuoti inspiegabili e incolmabili. Perché? Un quesito che è rivolto in primo luogo ai candidati che corrono per le primarie: è una scelta importante, e i cittadini devono scegliere conoscendo le posizioni dei partiti e dei candidati sulla questione del Ponte.
Un tema che riteniamo prioritario in questa campagna elettorale. Ecco perché chiediamo ai partiti del centrosinistra di essere conseguenti, coerenti, di esprimere con forza e costanza le proprie posizioni, di spiegare agli elettori in che modo intendano portare avanti l’opposizione al Ponte. Impegni precisi in campagna elettorale (a prescindere dalle alleanze future) e responsabilità dopo il voto.

Un appello generale.
Ma l’appello è generale: partiti, sindacati, associazionismo e terzo settore, movimento antimafia, società civile, singoli e comunità, vorremmo che la discussione sulla bomba a Reggio, le elezioni regionali e il Ponte fosse plurale e quanto mai varia. Vorremmo che ci fosse un dibattito su di noi, su una nuova identità meridionale. Molto c’è ancora da fare per esempio per recuperare la memoria della migliore Calabria che è stata, della meglio gioventù calabrese come amiamo definirla: una sfida che daSud percorre fino in fondo per colmare una lacuna storica della società calabrese, quella di dimenticare se stessa. Un percorso condiviso con diversi pezzi della realtà calabrese, come la Cgil, Libera, l’associazionismo, il mondo degli artisti e tanti ancora. Un percorso che altri portano avanti in parallelo, con grandi meriti.
Molto è cambiato, anche se gli effetti della nostra dimenticanza continuano a produrre enormi distorsioni. Capita ancora di leggere sulle cronache nazionali ricostruzioni miopi e fuorvianti della società calabrese, che non colgono quello che di buono c’è. E non aiutano. Come se l’anti-‘ndrangheta non fosse mai esistita prima dell’omicidio Fortugno. E invece la nostra terra ha una lunga tradizione di lotte antimafia, nella Locride e nella Piana di Gioia Tauro, tante e tante battaglie civili dal dopoguerra ad oggi. È da lì che bisogna ripartire. Una Calabria che ancora nessuno racconta. E non c’è più tempo.

(scritto con Alessio Magro, pubblicato su Il quotidiano della Calabria)

Il problema non è la ‘ndrangheta

Non è la ‘ndrangheta il problema, nemmeno Cosa nostra. Non pensiamo affatto che il Ponte sullo Stretto non si debba costruire perché sarebbe (come pure è facile pensare, alla luce di quanto accaduto nella storia italiana) un affare per le cosche. E’ un’argomentazione sbagliata, utilizzata spesso strumentalmente da chi il Ponte lo vuole e con il Ponte vuole fare affari. Ci sono invece mille buone ragioni per non costruire un’opera inutile, dannosa, scriteriata. E ce ne sono altrettante per ragionare attorno a un nuovo modo di pensare, praticare, essere Sud. Non è questo lo spazio web giusto per trovarle. Qui potrete leggere invece che la storia del Ponte e quella dei clan calabresi e siciliani s’è intrecciata più volte: la storiografia racconta per esempio che fu proprio per i presunti appalti del Ponte che scoppiò la seconda guerra di ‘ndrangheta nel 1985, mentre le indagini della magistratura hanno svelato quando sia forte (tanto da arrivare in Nord America) l’interesse dei clan per il più grande ecomostro mai pensato da mente umana. Ci hanno pensato anche il direttore della Gazzetta del Sud Nino Calarco (con la sua celebre e imbarazzante intervista a Sciuscià) e l’ex ministro dei Lavori pubblici Pietro Lunardi a rafforzare l’idea che mafia e Ponte e, in generale le opere pubbliche, siano inscindibili. Ci sono inchieste giornalistiche e dossier di associazioni che hanno poi squarciato il velo di ipocrisia che esiste sulla gestione del territorio nel Messinese e nel Reggino. Pagine interessanti, da leggere per cogliere le dinamiche del potere politico, economico e criminale. Il dossier che pubblichiamo – che, come sempre, è un punto di partenza, uno stimolo alla discussione e un invito a segnalare tutti i materiali “mancanti” – arriva in un momento emotivamente “caldo”: Franco Nisticò è morto sul palco della manifestazione No Ponte del 19 dicembre 2009 mentre i soccorritori invocavano un’ambulanza. Inutilmente: il mezzo non c’era. L’ex sindaco di Badolato, animatore di mille battaglie per lo sviluppo del territorio calabrese, stava chiedendo, insieme con altre migliaia di persone, le infrastrutture di prossimità, la bonifica delle zone inquinate, la messa in sicurezza dei territori, le opere utili per tutti i cittadini, un sistema di trasporti pubblico ed efficiente nello Stretto.

Ai manifestanti e alle decisioni (meglio tardi che mai!) della Regione Calabria che ha appena annunciato l’uscita dalla Stretto di Messina spa e il ricorso al Tar contro all’avvio dei lavori della variante ferroviaria di Cannitello (“la prima pietra”, ha spiegato trionfalmente il ministro Matteoli), il governo ha subito risposto con un ulteriore stanziamento di fondi del Cipe per il Ponte (ma siamo molto molto lontani dall’obiettivo). Intanto – a causa dell’aggressione subita da Silvio Berlusconi – slitta a data da destinarsi la posa della prima pietra inizialmente prevista per il 23 dicembre. In fondo un’opportunità per questo governo che ha qualche settimana in più per ripensarci. Le “prime pietre” annunciate in grande stile non hanno una grande tradizione da queste parti. Quella posta da Giulio Andreotti per l’avvio dei lavori del quinto centro siderurgico a Gioia Tauro (vedi la storica prima pagina della Gazzetta del Sud che apre il dossier) i cittadini della Piana sono andati a Roma a restituirla. Con tanti ringraziamenti.

(scritto per Stopndrangheta.it)

Il tempo è scaduto

Francesco Maria aveva 18 anni ed è morto. Il suo nome si aggiunge a tanti altri nomi di tanti altri giovani anch’essi immolati come bestie da macello e di cui nessuno si accorge ormai della loro assenza. Ma fino a quando è possibile continuare a rimanere distratti dinnanzi a così orrendi misfatti? Non vorremo che, celebrati i funerali di Francesco Maria, con lui vada via definitivamente la speranza. Ed è per questo che mi rivolgo ai giovani del nostro territorio, più che ad altri. Il tempo è ormai scaduto. O adesso o mai più è necessario risalire da questo tunnel di tristezza e di desolazione. E’ necessario che voi giovani scendiate nelle piazze e nelle strade per creare momenti di confronto e sognare e costruire città vivibili e soprattutto condizioni di maggiore giustizia per questa nostra terra martoriata.

Francesco Maria Inzitari aveva 18 anni. E’ stato ucciso in un agguato a Taurianova (Rc) lo scorso 6 dicembre. Dieci colpi di pistola. Sembra avesse solo una “colpa”: era figlio di di Pasquale Inzitari (ex Udc), condannato, il 18 settembre scorso dal gup di Reggio Calabria a 7 anni e 4 mesi per concorso esterno in associazione mafiosa. Inzitari, già consigliere provinciale di Reggio Calabria (ha sfiorato sia l’elezione al Senato che quella al Consiglio Regionale) è un imprenditore che ha gestito il centro commerciale Parco degli Ulivi di Rizziconi. E’  genero del presunto boss della ‘ndrangheta Domenico Rugolo, 74 anni ed era il cognato dell’imprenditore Nino Princi, ucciso lo scorso anno da un’autobomba. Adesso è agli arresti domiciliari. Una brutta storia la sua, che vede nell’omicidio di Francesco Maria l’epilogo peggiore. La morte del giovane ha scosso il territorio. Don Pino Demasi, vicario generale della diocesi di Oppido- Palmi e referente di Libera, sera dell’agguato ha subito scritto un appello ai giovani del territorio chiedendo di ribellarsi alla ‘ndrangheta. Ai mafiosi, durante i funerali, ha chiesto di convertirsi. Citando Giovanni Paolo II ha detto: “Permettetemi – così nel corso dell’omelia – che mi rivolga anche ai mafiosi ed a coloro che antepongono i propri interessi ed i propri loschi affari a qualunque  possibilità di vita civile e serena del nostro territorio. Voglio citare le parole di Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi: che ci sia concordia, perché Dio ha detto di non uccidere. La mafia non può cambiare e calpestare questo diritto santissimo di Dio e per questo vi chiedo di convertirvi'”. La prima risposta a don Pino De Masi è arrivata ieri 11 dicembre: a Rizziconi, dopo la messa, hanno partecipato in migliaia alla fiaccolata organizzata per ricordare Francesco Inzitari. Questo il testo della lettera del sacerdote di Polistena ai giovani calabresi.

di don Pino Demasi

L’uccisione di Francesco Maria Inzitari, il diciottenne incensurato, ucciso quasi certamente per una vendetta trasversale nei confronti del padre, è certamente un episodio di una gravità inaudita sia per le modalità con cui è stato commesso (vero e proprio agguato mafioso), sia per la giovane età della vittima e per la sua condizione di “ragazzo normale” e pieno di vita. La ndrangheta ormai non guarda in faccia nessuno e vuole ad ogni costo anteporre i propri interessi ed i propri loschi affari a qualunque possibilità di vita civile e serena nel nostro territorio.


Francesco Maria aveva 18 anni ed è morto. Il suo nome si aggiunge a tanti altri nomi di tanti altri giovani anch’essi immolati come bestie da macello e di cui nessuno si accorge ormai della loro assenza. Ma fino a quando è possibile continuare a rimanere distratti dinnanzi a così orrendi misfatti? Non vorremo che, celebrati i funerali di Francesco Maria, con lui vada via definitivamente la speranza. Ed è per questo che mi rivolgo ai giovani del nostro territorio, più che ad altri. Il tempo è ormai scaduto. O adesso o mai più è necessario risalire da questo tunnel di tristezza e di desolazione.


E’ necessario che voi giovani scendiate nelle piazze e nelle strade per creare momenti di confronto e sognare e costruire città vivibili e soprattutto condizioni di maggiore giustizia per questa nostra terra martoriata. Poche ore prima dell’uccisione di Francesco Maria, a Palermo tanti giovani come voi, con sirene, canti ed esultanze da stadio hanno festeggiato, insieme agli agenti, la cattura del boss Gianni Nicchi. Riuscirete anche voi, giovani della Piana, a dare a noi adulti distratti di questo territorio, testimonianze altrettanto belle e concrete? O saranno ancora loro, i mafiosi ed i loro referenti politici ed economici, e a quel punto lo saranno per sempre, i padroni incontrollati delle nostre piazze e delle vostre vite?