“Al di là della notte” di Raffaele Sardo

SardoUccisi per l’impegno politico. E la scelta rigorosa di difendere il territorio, la trasparenza amministrativa, la dignità di un popolo. Sono Mimmo Beneventano e Marcello Torre, che la camorra ha voluto morti nel 1980. Due morti che dopo 30 anni richiamano al sindaco di Pollica, Angelo Vassallo, ucciso quest’anno.

Mimmo Beneventano è un medico con la passione per la poesia, «il medico dei poveri, che ha la porta sempre aperta», spiega Raffaele Sardo il giornalista che delle vittime della camorra ha dedicato il libro “Al di là della notte” (Pironti editore). Mimmo vive a Ottaviano, il paese del boss Raffaele Cutolo, e compie la scelta scomoda di impegnarsi nel sociale e di fare politica nel Pci. Diventa consigliere comunale nel 1975, viene riconfermato nel 1980. Lo ammazzano a 32 anni, la mattina del 7 novembre. È presto, Mimmo esce di casa per andare a lavoro. Lo freddano mentre sale a bordo dell’auto, davanti agli occhi increduli di sua madre Dora che vede tutto dalla finestra. I colpevoli del suo omicidio sono rimasti tra i segreti della Nuova camorra organizzata di Cutolo. Che non esiste più. Di certo, paga il suo impegno contro le speculazioni edilizie e gli appetiti dei clan in un territorio che si appresta a entrare nel parco nazionale del Vesuvio, paga la sua popolarità. Troppo per una camorra che nella gestione del consenso sociale ha una parte importante della forza. Dopo poche settimane, il 23 novembre, c’è il terremoto in Irpinia: una tragedia con migliaia di morti e intere città distrutte. L’affare del secolo per la camorra, che non può certo accettare resistenze. Per questo viene eliminato Marcello Torre, sindaco dc di Pagani (Salerno). «Gli propongono di entrare nel patto tra camorra e politica – spiega Sardo – per gestire la partita del terremoto. Lui non ci sta». È la miccia di una bomba innescata da tempo. Torre è un politico di razza (è stato consigliere provinciale) e viene minacciato già prima di diventare sindaco tanto da scrivere una eloquente lettera-testamento: «Temo per la mia vita. […] Torno alla lotta soltanto per un nuovo progetto di vita… Sogno una Pagani civile e libera». Troppo libera. Lo uccidono a 48 anni, l’11 dicembre. Il mandante è Raffaele Cutolo.

«Va ancora scritta questa pagina di storia della Campania – osserva Sardo – questi due importanti omicidi per molti anni sono stati sottovalutati: per la debolezza della società civile e della politica, perché la camorra veniva letta solo in chiave strettamente criminale». Un errore. Subito dopo quegli omicidi, «il modello Cutolo, dell’uomo solo al comando non regge più e gli scontri tra i clan si acuiscono» e nel 1984 scoppia la guerra con la Nuova famiglia, il cartello degli Alfieri e i Nuvoletta. «Si afferma un nuovo modello con un rapporto sostanziale con la politica», sottolinea Sardo. Sono gli stessi anni in cui una nuova generazione di campani comincia a vedere nell’anticamorra un motivo di impegno importante. 

Ater, il dirigente: tutto regolare. “Vogliono la lista? La chiedano”

ater-lungotevere-tor-di-nona_fullLa polemica sulla delibera 571 che prevedeva accelerazioni e semplificazioni nella vendita degli alloggi popolari aveva coinvolto il dirigente del settore Alienazioni Rodolfo Mari che respinge ogni accusa. E rilancia: abbiamo applicato le norme, sono state scelte politiche.

 

Il consigliere d’amministrazione Enrico Folgori ne parla come di un vero e proprio scandalo: ci sono 1756 case dell‘Ater vendute tra il 2004 e il 2006 grazie alla delibera della giunta regionale 571 che prevedeva semplificazioni e accelerazioni. Il problema riguarda il fatto che ne avrebbero beneficiato centinaia di persone che “senza diritti” avrebbero acquistato case popolari “a prezzi irrisori”. Un’accusa pesantissima (raccontata da Paese Sera nei giorni scorsi), insieme a quelle di una gestione inefficiente, che chiama in causa il presidente di Ater Prestagiovanni e anche il dg facente funzioni Bellia, che replicano: “Abbiamo rispettato la legge” e che comunque si rifanno al lavoro della commissione d’indagine interna che dovrebbe consegnare il suo dossier alla fine di ottobre. Una delle persone che finisce nel mirino di Folgori è anche il dirigente del settore Alienazioni dell’Ater Rodolfo Mari. Accusato, tra l’altro, di non voler consegnare la lista delle case vendute con la 571, di avere favorito un notaio, di avere forzato le procedure.

Mari, il suo ufficio è finito nel mirino. Che cosa è successo all’Ater con l’applicazione della delibera 571?

Rodolfo Mari apre la sua cartellina, risponde sfogliando documenti, atti, normative, sentenze. “La delibera 571 consentiva di vendere ai figli non conviventi. Una possibilità, oggi peraltro è prevista dalla legge, che comunque preservava il diritto ad abitare di chi stava dentro l’appartamento. E’ questo il cosiddetto vulnus di cui tanto si parla. Però è una decisione presa politicamente, non dipende dall’Ater. Se c’è una delibera e nessuno la impugna, noi dobbiamo limitarci ad applicarla”.

E allora perché il consigliere Folgori ha denunciato? E perché è stata avviata un’inchiesta interna?

“Le ragioni che hanno spinto il consigliere a fare questa sortita le conosce solo lui. Quanto all’inchiesta, invece, è partita perché una notizia è apparsa sui giornali che riguardava l’acquisto di un appartamento da parte di una collega avvenuto 7 anni fa. Si trattava di una normale impiegata, che solo 4 anni più tardi è diventata responsabile dell’ufficio vendite. Aveva saputo che una donna voleva rivendere l’alloggio e ha fatto richiesta di acquistare. E’ stata fatta l’istruttoria, la pratica è stata mandata al direttore generale che ha ricusato il diritto di prelazione e siamo stati autorizzati alla vendita. Niente di irregolare. Quali siano stati i contatti tra la donna e la collega non so e non mi interessa”.

Ma se è tutto chiaro perché si va avanti con l’indagine?

“Il precedente direttore generale, che è andato via il 30 giugno 2012, ha incaricato due avvocati di verificare se c’erano dei profili di illegittimità. Il 5 luglio 2012, giorno in cui erano stati presentati i risultati di questa verifica, non era emerso nulla. Il nuovo direttore generale ha ritenuto di incaricare di una nuova indagine un’altra commissione. Vedremo”.

Un altro caso “sospetto” viene segnalato da Folgori e riguarda la figlia di una dipendente di Ater.

“Si tratta della figlia maggiorenne di una collega che ha usato la formula dell’ampliamento del nucleo familiare: stiamo parlando di una richiesta avanzata nel 1993 e che, nel 1994, il commissario dell’epoca ha autorizzato. La figlia, nel 2000, quando ormai era diventata locataria, ha potuto comprare l’appartamento ai sensi della delibera 571. E’ tutto legittimo e autorizzato”.

Un caso riguarda invece anche sua figlia. E’ vero che era dipendente di un notaio che spesso veniva incaricato dall’Ater di fare le alienazioni?

“Sì, mia figlia lavorava presso questo notaio. Aveva un contratto di formazione/lavoro. Una volta scaduto il contratto se n’è andata. Ma questo non significa nulla. Stiamo parlando di un notaio che lavorava con l’Ater sin dal 1980 quando c’era un elenco di appena una trentina di notai. Solo nel 2008 l’elenco è stato riformato e adesso ce ne sono circa 300”.

Ma questo notaio romano è stato privilegiato? E’ vero che il consiglio del notariato ha chiesto agli associati di non fare queste vendite e che solo lui ha deciso di farle?

“L’altro elemento di vulnus della delibera 571 – che è quello contestato dai notai – riguarda la possibilità di rivendere l’appartamento acquistato dall’Ater prima dei cinque anni previsti dalla legge. Non c’è stata una contrarietà su tutta la delibera. E comunque insisto: si tratta di una norma autorizzata dalla Regione Lazio senza legge. In alcuni casi addirittura il commissario scrisse alla Regione per chiedere un parere e la regione rispose: “Nulla osta alla vendta”. A questa delibera io stesso ho espresso le mie riserve per iscritto, ho fatto delle osservazioni di cui nessuno ha tenuto conto. Per cui di fronte alla delibera, peraltro come dicevo non impugnata, non abbiamo potuto far altro che applicarla. Questo abbiamo fatto in questi anni, non c’è stato niente di illegittimo. Quando nel 2006 avevamo deciso di disapplicarla delibera il Tar prima e il consiglio di Stato poi, con sentenza del 4 giugno 2009, hanno dato torto all’Ater scrivendo che “l’istanza di disapplicazione è inammissibile”.

Ma è stato solo questo notaio a fare queste vendite?

“Le alienazioni sono state poco più di 1400, lui ne ha fatte appena un centinaio. In circa 60 casi, peraltro, ci è stato indicato dagli inquilini e non è stato scelto dall’Ater”.

E le altre alienazioni?

“Le hanno fatte gli altri notai. Piuttosto, quello che è vero è che le rivendite prima dei cinque anni adesso non sono fatte da nessun notaio. Dopodiché nel 2008 il consiglio regionale ha fatto salvi i contratti stipulati in precedenza e ha ripristinato il limite dei dieci anni per la rivendita. C’è solo una possibilità in alcuni casi di vendere dopo cinque anni. Se non si rispetta questa casistica i notai non stipulano”.

Il consigliere Folgori dice di avere chiesto l’elenco delle alienazioni in base alla 571. Perché non gli è stato consegnato questo elenco?

“Mai nessuno me l’ha chiesto. Neppure il direttore generale. I nostri alloggi sono a disposizione: in tutte le pratiche veniva inserita la delibera 571”.

Il direttore generale ha detto che questo elenco è difficile da fare perché non esiste l’informatizzazione in base alla delibera 571.

“Basta una giornata di lavoro. Se mi chiedono l’elenco in 24 ore siamo disponibili a fornirlo”.

 

“Provincia, la sede unica è strategica” Ecco il Piano della giunta Zingaretti

Antonio-Rosati_fullTra pochi giorni scade il bando per scegliere il soggetto che dovrà vendere 12 immobili dell’ente e acquistare la torre dell’Eur che ospiterà tutti gli uffici della Provincia. Parla l’assessore al Bilancio Antonio Rosati. Valutazioni, costi, tempi e i rischi dell’operazione finita nel mirino di giornali, costruttori e centrodestra. “Risparmieremo 5 milioni di euro all’anno”. Sull’inchiesta della Corte dei conti: “Siamo sereni”

“Sì, l’operazione è stata decisa dalla giunta Gasbarra”. Inizia così questa conversazione nella stanza dell’assessore provinciale al Bilancio Antonio Rosati, l’uomo che per conto della giunta di Nicola Zingaretti ha in mano la partita delicata dell’acquisto della nuova sede unica della Provincia. Una vicenda che è stata al centro di violente polemiche giornalistiche e politiche e su cui sta indagando la Corte dei conti. Così a poco più di dieci giorni dalla scadenza (alle 12 dell’1 ottobre) del bando per l’individuazione della Società (Sgr) che dovrà gestire la vendita del patrimonio della Provincia e l’acquisto della nuova sede dell’Eur, vale la pena fare il punto. Per capire di che tipo di operazione si tratta e come la Provincia di Roma risponde alle critiche che le sono piovute addosso. “L’operazione è stata decisa dalla giunta Gasbarra”, ripete. Ma aggiunge: “Ma io c’ero già, ero assessore al Bilancio anche allora”, come a dire che non c’è nessuna intenzione né di rinnegare né di scaricare eventuali responsabilità sul passato. E precisa però: “Era il 2005 ed era un’era geologica diversa”, oggi cioè le condizioni economiche e di finanza pubblica sono diverse. Eppure la Provincia ha deciso di andare avanti. Rosati spiega perché. E parte da lontano.

SENZA PROGRAMMAZIONE – “Nel corso degli anni non c’era stata nessuna programmazione a proposito della collocazione degli uffici – sottolinea – frutto del fatto che le deleghe assegnate alla Provincia sono cresciute poco per volta”. Il risultato è stato che “ci troviamo sedi, in affitto o di proprietà, sparse per tutta la città. Abbiamo pensato allora che sarebbe stato meglio avere un’unica grande sede prevalente”. Che significa che restano soltanto Palazzo Valentini per la presidenza e il consiglio provinciale e Palazzo Incontro.

LA SCELTA DEL LUOGO – Così la Provincia, “anticipando un processo di spending reviuw ha fatto la verifica e il riordino del patrimonio”, e ha fatto un bando europeo “per cercare una zona dove realizzare 48/50mila metri quadri di uffici con parcheggi in una zona relativamente centrale”. L’advisor di questa operazione era Risorse (oggi Risorse per Roma) “di cui eravamo soci: la legge ci permetteva di fare un affidamento in house”. La scelta è caduta su un complesso di proprietà di Parsitalia (che poi ha “trasferito” l’operazione al fondo immobiliare Upside, gestito da Bnp Paribas) che si trova all’Eur nella zona di Castellaccio. Certo non al centro. “Eppure non è affatto una zona abbandonata – si difende Rosati – ma lo stesso luogo del ministero della Sanità, del palazzo della Mobilità di Atac, di molte importanti aziende: una zona di città consolidata”. Un problema, quello del luogo, che ha visto anche le proteste dei sindacati: “L’intera procedura è stata spiegata e condivisa – precisa – 1800-1900 lavoratori miglioreranno le loro condizioni”. Quanto ai trasporti “naturalmente ci saranno le navette dalla stazione della metro”.

DALL’AFFITTO ALL’ACQUISTO – La prima ipotesi prevedeva di “prendere il palazzo in affitto a circa 17/18 milioni di euro per 18 anni”. Il contratto prevede però anche l’opzione dell’acquisto. La cifra per gli uffici, racconta Rosati, è “di circa 4500 euro più iva al metro quadro in una zona da 8000 euro per abitazioni di lusso”. Alla fine il costo sarà di circa 220 milioni di euro più iva (circa 263 milioni). Una somma che non convince affatto i critici dell’operazione: “In quel momento – replica – la cifra era assolutamente vantaggiosa, oggi possiamo dire che siamo in linea con il mercato. Non voglio rispondere sul fatto che il valore è sbagliato: tutti hanno capito che si tratta di un’argomentazione pretestuosa”. Ma non è questo l’importante per Rosati, quanto “i vantaggi che introduciamo dal punto di vista energetico e dello smaltimento dei rifiuti”. E non solo: “La struttura ha una mensa, un asilo nido, 950 posti auto (alcuni dei quali possono essere anche messi a frutto) e un auditorium modulare da 50 a 600 posti”. In più, sottolinea l’assessore, “voglio precisare che stiamo parlando di luoghi assolutamente idonei per il lavoro”. Tutto questo ha anche un vantaggio economico: “A regime, nel rapporto tra manutenzione ed energia, abbiamo calcolato un risparmio di 5 milioni di euro all’anno. E non si possono quantificare il valore del tempo risparmiato per le riunioni e il migliore coordinamento del lavoro”.

L’ERA ZINGARETTI – Riprendiamo il racconto delle procedure. “Intanto la torre veniva costruita” e si arriva alla giunta Zingaretti che conferma, nell’ottobre del 2010, l’intera strategia che – nel frattempo – prevedeva l’acquisto della torre. E’ quindi il momento di elaborare un piano economico-finanziario “che aveva tre gambe: una parte dei soldi l’avremmo trovata con un mutuo e quindi con una rateizzazione a tassi molto bassi” visto che la Provincia è ritenuta “un’Amministrazione virtuosa che ha abbattuto il debito di 300 milioni e ha avuto il massimo” come rating da parte di Standard & Poor’s. La seconda gamba, invece, “era rappresentata dall’avanzo di amministrazione, la terza era data dalla vendita di una parte di patrimonio”. E’ in quest’ottica che la Provincia ha razionalizzato i suoi immobili che, come sostiene la perizia di Abaco-Gabetti, “hanno un valore di circa 245 milioni di euro e che sono in condizione di essere venduti”. E si tratta di un patrimonio “di grande pregio” come l’immobile che ospita la caserma dei carabinieri di piazza del Popolo, i palazzi di via dei Prefetti, di viale Trastevere, di via delle Tre Cannelle o quello dentro Villa Pamphilj”.

IL CAMBIO DI STRATEGIA – La giunta Zingaretti però ha dovuto cambiare ben presto i suoi piani. Come spiega lo stesso assessore al Bilancio: “La legge di stabilità ci ha cambiato le carte in tavola: non potevamo più fare mutui, non potevamo più usare l’avanzo di bilancio”. E non si poteva certo trascurare una questione che diventava sempre di maggiore attualità: ci sarebbe stato ancora l’ente Provincia? Un dibattito che ha poi portato all’abolizione delle province e alla nascita della città metropolitana. “In questa situazione ci è venuta in soccorso la Spending review – spiega Rosati – che chiarisce come fare un uso più forte del patrimonio”. Quanto invece all’abolizione della Provincia “la risposta è molto semplice: tutti i patrimoni si trasferiscono all’area metropolitana e quindi la torre dell’Eur sarà la sede dell’area metropolitana”. Forse, cambiate le carte in tavola, si poteva anche evitare di fare l’acquisto. Rosati non è d’accordo: “C’era un contratto che diceva di comprare. E c’era un possibile risarcimento danni”. Rispetto alla quantificazione del danno eventuale, Rosati si limita a dire che “in questi casi c’è il codice civile e si può arrivare persino all’intera somma”: Poi aggiunge che “su questo tema abbiamo anche sollecitato la Corte dei conti”. I giudici contabili “con estrema prudenza ci hanno detto: attenzione, c’è un contratto e va onorato”. Forse, aggiunge Rosati mostrando orgoglioso la sentenza, “sono stati convinti anche dal fatto che la sezione regionale della Corte dei conti, chiuso il monitoraggio sui nostri conti, ha affermato che siamo un’amministrazione all’avanguardia”. C’era anche una componente di natura personale in questa valutazione: “Sì, il rischio di una causa era anche per i singoli amministratori. A questo punto mi faccia ringraziare i colleghi per la fiducia”. E precisa: “Insieme ci siamo detti che stavamo facendo un’opera di modernizzazione politica e abbiamo deciso di andare avanti”.

L’INDIVIDUAZIONE DELLA SGR – Di qui la decisione di individuare la Società di gestione del risparmio (Sgr) per “prendersi cura” del patrimonio immobiliare dell’ente e per acquistare la nuova sede. E di qui, probabilmente, l’aumento degli attacchi all’indirizzo della giunta Zingaretti: “Critiche legittime, certo. Ma provenienti da un grande giornale legato al gruppo Caltagirone – sottolinea – Su questo voglio solo sottolinare che in Italia è possibile che coincidano le proprietà dei giornali con le grandi potenze economiche”. Il riferimento, naturalmente, è allo storico quotidiano della città, il Messaggero, “che vedo – sottolinea con malizia – che in questi giorni sta elogiando il tentativo del Comune di organizzare anche lui una Sgr”. Spiega: “Abbiamo fatto un Bando europeo per la Sgr che dovrà gestire il fondo immobiliare”, dentro il quale staranno i 12 immobili destinati alla vendita, che è “al 100% della Provincia e che avrà il compito di trovare sul mercato i circa 250 milioni di euro necessari per comprare la torre”. Il tutto dovrà avvenire in tempi “congrui”, cioè entro tre anni. Aggiunge Rosati: “Forti del patrimonio immobiliare – sottolinea – si rivolgeranno al sistema bancario per trovare i soldi per l’acquisto” della torre. L’indebitamento con le banche si affronterà “con l’affitto pagato al fondo” per gli immobili.

I RISCHI – Resta da capire una doppia variabile: la prima è se non si presenterà nessuno alla scadenza del bando, la seconda è se i tre anni non saranno sufficienti alla Sgr per vendere i 12 immobili e quindi non si raggiungerà una cifra sufficiente all’acquisto. Rosati si dimostra fiducioso: “Ci sono molti fondi sovrani (cinesi e arabi soprattutto) interessati a un certo tipo di mattone. E, visto che si tratta di immobili unici, pensiamo persino di potere avere un piccolo delta per fare investimenti”. E precisa: “Abbiamo prorogato la scadenza del bando perché ci sono arrivate richieste di chiarimenti. I quesiti sono pubblici”. Un interesse che rende Rosati tranquillo: “Speriamo arrivino almeno due offerte”. Se invece non si dovesse presentare nessuno “ci rivolgeremmo alla Cassa depositi e prestiti, che ci ha dato in questa procedura preziosi aiuti, o faremmo la vendita al massimo realizzo”, dice Rosati. Quello che è sicuro, sin d’ora, è che la base del bando “è di 235 milioni, al di sotto dei quali non si può andare”. Si valuterà se è più conveniente vendere l’intero pacchetto o i singoli “pezzi”. E se proprio si dovesse chiudere a quella cifra, si aprirà una trattativa con la proprietà della torre e “sono sicuro che 235 milioni in mano un accordo si troverà”. Insomma, nessuna operazione è immune dal rischio. “Certo i rischi sono sempre – ammette – ma che dovremmo dire al governo Monti che ha sbagliato una previsione sul Pil che ci è costata 30 miliardi?”.

“UNA SCELTA GIUSTA” – Su tutta la vicenda è in corso un’indagine della Corte dei conti. Un dato che Rosati considera normale (“vista la campagna di stampa che è stata fatta”) e per nulla preoccupante: “Abbiamo fornito tutti gli elementi del caso. Diciamo che sarà un ulteriore elemento di garanzia ed efficienza”. Una storia lunga e contrastata, utilizzata nella polemica politica contro Nicola Zingaretti e la sua giunta, un’operazione complessa e rischiosa. Che merita un primo bilancio. Rifare oggi, alle condizioni di oggi, la stessa scelta? L’assessore ci pensa. Poi dice: “Prenderei anche oggi questa decisione, farei l’intera operazione confortato dalla Spending review. Se non l’avessimo avuta, certo avremmo dovuto aspettare. Ma ci è stata offerta una strada concreta per mettere il patrimonio a frutto e avviare un processo di cambiamento vero per la pubblica amministrazione”. E non solo: “Lasciamo in dote una torre straordinaria, che ancora vale un po’ di più del valore di mercato”. Con un rimpianto: “Il palazzo di Tre Cannelle non avrei voluto venderlo. E infatti nella prima ipotesi”, quella precedente al patto di stabilità, “non era in vendita”. L’intervista finisce. E l’operazione della Provincia progettata da Rosati – in attesa del vaglio della Corte dei conti – passerà il vero esame: la scadenza del bando. Rosati però riprende: “Vorrei aggiungere una cosa per me importante”. Prego. “Dopo venti anni di Berlusconismo, anche il centrosinistra deve farsi carico di uno scatto di orgoglio ulteriore e di comportamenti inattaccabili. E la nostra è stata una scelta trasparente, rigorosa e lineare. Voglio dirlo ai cittadini prima ancora che ai nostri elettori: non è vero che è tutto sporco, si può amministrare bene”. Che poi è anche l’auspicio di tutti i cittadini.

“Mafie? Attenzione ai bank officer occulti”

Roma caput mafie come sostengono i magistrati della Dda o Roma che resiste al tentativo di infiltrazione dei clan come sostengono il prefetto, il questore e larga parte del mondo politico? Una domanda che ha un andamento carsico e che in queste ore torna di attualità per l’omicidio, pesante, di Flavio Simmi a Prati e per il sequestro alla ‘ndrangheta dello storico Caffè Chigi. Una domanda alla quale bisogna provare a dare una risposta “uscendo dagli schemi retorici”, mettendo insieme i pezzi, “costruendo uno sguardo d’insieme”. Parola di Maurizio Fiasco, sociologo ed esperto di mafie nella Capitale che il suo primo rapporto sulla criminalità romana l’ha scritto nel lontanissimo 1983. “Ci sono molti mafiologi che non studiano – dice subito – e personaggi che non vogliono che si studi”. E invece i fatti sono l’orizzonte da cui partire per tentare di decifrare le mafie romane.

“Ci sono una notizia buona e una cattiva”, dice. Quella buona è che il livello di comprensione e di investigazione oggi è molto elevato”. Che significa che sia i magistrati della procura “sia le tre forze di polizia hanno capacità, competenze e consapevolezza per affrontare il fenomeno”. La notizia cattiva rigurda invece la parte amministrativa e ispettiva: “Sta qui il vero buco, la vera falla di un sistema che mostra di essere arretrato, evanescente”. Perché, Fiasco ne è convinto, “il vero contrasto alla criminalità organizzata deve tenere insieme la risposta giudiziaria e la risposta gestionale a proposito della cosa pubblica e della programmazione degli investimenti”: se un sistema burocratico e amministrativo è impermeabile “il mafioso capisce che non deve neanche tentare di infiltrarsi”. E invece è “del tutto insufficiente l’apparato ispettivo nelle Asl, nel mercato del lavoro, nel contrasto all’abusivismo e agli illeciti ambientali. E un territorio estremamente vulnerabile come quello romano – sottolinea il sociologo – diventa estremamente attrattivo per la criminalità”. C’è poi un altro elemento che non si può sottovalutare nelle cause che aprono le porte ai clan nella Capitale: la disponibilità straordinaria di denaro liquido. “La crisi delle piccole e medie imprese ha ricreato – afferma Fiasco – un ampio mercato dell’usura e della rilevazione a prezzi da rottamazione di realtà imprenditoriali che un tempo erano redditizie e oggi sono in difficoltà”. Ma c’è una “specificità romana” che rende tutto più complesso, più vischioso, più pericoloso: “Esistono bank officer in nero, occulti” che permettono quattro tipi di operazione: “la scomparsa e poi la reimmissione nel sistema finanziario ed economico del denaro proveniente dall’evasione fiscale, quello frutto della corruzione (da parte di chi paga o di chi riceve tangenti) e che consente di riciclare il denaro sporco”. Si tratta di professionisti “senza peli sullo stomaco che sono capaci di dematerializzare la ricchezza perché, bisogna essere chiari, a certi livelli i soldi non si mettono sotto il mattone”, si tratta di professionalità “che in passato venivano offerte persino alla mafia russa”. Un quadro inquietante, su cui si fonda il sistema criminale della Capitale (che gestisce i grossi flussi di quattrini che arrivano dal Sud e dall’Europa). Concretamente. “Le ipotesi investigative su diverse inchieste romane hanno rivelato che esistevano uno specialista degli investimenti o persino una intera struttura di servizio capaci di nascondere il reddito o di impiegarlo in nero per sfuggire ai controlli”. Un quadro generale di vulnerabilità al crimine che va oltre gli stessi clan. Come non pensare, ad esempio, a servizi analoghi a quelli di consulenza che si ipotizzano per Pambianchi e socio, o per Lande, il cosiddetto “Madoff dei Parioli”?

Dall’altro lato, gli omicidi sono solo il segno di un sistema che sta cambiando, che si sta trasformando, ma è altrove che bisogna guardare. Siamo di fronte al ritorno della Banda della Magliana? Anche qui bisogna evitare inutili esercizi retorici anche se – certo – i nomi, le zone geografiche, i contatti, il gergo, molte altre cose sembrano legare la nuova criminalità romana con quella che ha caratterizzato gli anni Settanta e Ottanta. “Le rapine e la verticalizzazione dei mercati criminali hanno andamenti ciclici – spiega Fiasco – prima si forma una generazione di rapinatori che poi acquisisce nuove competenze sul territorio. A quel punto è matura per passare ad altri affari. Si tratta del ciclo evolutivo della criminalità: che prevede la formazione di un soggetto autoctono. Esso ha un riferimento antropologico che noi siamo tentati di sottovalure, mentre invece in certi mondi ha grande importanza. Il richiamo allora è mitico, ma non c’è un’affiliazione diretta nonostante una certa coincidenza di territori e di quartieri”. Di sicuro, però, per non correre il rischio di finire di nuovo nelle mani di una Banda della Magliana, è necessario, secondo Fiasco, “bloccare le opportunità che hanno permesso a quella banda di ingrandirsi”. Un esempio? Le sale da gioco: “Quando nel 1991 abbiamo lavorato alla relazione della commissione parlamentare antimafia con il presidente Gerardo Chiaromonte – spiega – il gioco d’azzardo era tutto illegale. Oggi la disseminazione sul territorio delle sale da gioco  offre occasioni sia per sviluppare il racket sul territorio sia per coprire il gioco in nero con quello legale”. Ovviamente non si tratta solo di questo. Una mappa possibile delle attività dei clan guarda a tutta la città: “l’usura legata all’abusivismo e i capitali sporchi nella creazione di case di riposo in periferia, l’occupazione degli esercizi commerciali prestigiosi al centro, le bande giovanili che riproducono un certo sistema gangeristico urbano in molti quartieri della città e le attività minori affidate alla malavita straniera”. Questo il quadro della mala romana. Con un ruolo specifico di certa borghesia e di certi professionisti. Con la miopia sconcertante della politica.

(Paesesera.it)