Sicurezza e legalità. Sulla sicurezza si sono giocate le elezioni comunali del 2008 che hanno portato Gianni Alemanno in Campidoglio. Sulla legalità, invece, è clamorosamente franata l’esperienza di Renata Polverini in Regione. Tanto basta per fare un ragionamento serio sull’idea di sicurezza e legalità. Su come siano ormai decisivi nell’opinione pubblica e su come i partiti fino a oggi abbiano utilizzato (storpiandoli in maniera opportunistica e colpevole) questi due concetti.
Giocando in maniera irresponsabile sulle paure delle persone, Gianni Alemanno è riuscito a convincere i romani a farsi votare nel ballottaggio con Francesco Rutelli, salvo poi capire a proprie spese che non è sufficiente fare i raid notturni in moto a caccia di prostitute per soddisfare la giusta esigenza dei cittadini di vivere tranquilli. Continue reading
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Antimafia, il prerequisito per la politica
Sicurezza e legalità. Sulla sicurezza si sono giocate le elezioni comunali del 2008 che hanno portato Gianni Alemanno in Campidoglio. Sulla legalità, invece, è clamorosamente franata l’esperienza di Renata Polverini in Regione. Tanto basta per fare un ragionamento serio sull’idea di sicurezza e legalità. Su come siano ormai decisivi nell’opinione pubblica e su come i partiti fino a oggi abbiano utilizzato (storpiandoli in maniera opportunistica e colpevole) questi due concetti.
Giocando in maniera irresponsabile sulle paure delle persone, Gianni Alemanno è riuscito a convincere i romani a farsi votare nel ballottaggio con Francesco Rutelli, salvo poi capire a proprie spese che non è sufficiente fare i raid notturni in moto a caccia di prostitute per soddisfare la giusta esigenza dei cittadini di vivere tranquilli. Su Renata Polverini il discorso è diverso: pur non avendo commesso (al momento non ne emergono) reati, si è circondata di personaggi che ne hanno provocato la caduta. Ma non sono state solo le violazioni della legalità – i reati (ancora presunti) – di Fiorito a determinare la fine del suo governo. Perché i cittadini sono rimasti sconvolti anche da comportamenti assolutamente legali (come le spese pazze della giunta o dei gruppi regionali) ma contrari a qualsiasi etica e opportunità. Ecco che allora né il richiamo al concetto di sicurezza, né a quello di legalità è sufficiente per governare bene un territorio.
Ed ecco perché il prossimo sindaco o il prossimo governatore dovranno ribaltare i paradigmi usati finora, ripartendo dall’analisi della realtà e dall’obiettivo di praticare la giustizia sociale. Un quadro di riferimento dentro il quale nessun sindaco o governatore, a destra o sinistra, ha guardato davvero. Seppure con gradazioni diverse, tutti hanno nascosto la presenza delle mafie e hanno costruito una macchina amministrativa piena di incrostazioni e opacità.
Oggi, alla vigilia di una lunga stagione elettorale, c’è una grande opportunità per Roma e il Lazio: costruire percorsi di normalità, trasparenza, welfare di prossimità e buona amministrazione. Che non facciano della sicurezza e della legalità dei vessilli, ma buone pratiche concrete, che non sfruttino i simboli dell’antimafia ma lavorino perché l’impegno contro i clan diventi diffuso. L’antimafia non può essere un capitolo del programma elettorale o un nome da sfoggiare come uno spot: deve essere il punto di vista attraverso cui governare, il prerequisito per l’agire pubblico e politico. O la realtà che colpevolmente avremo costruito avrà la meglio su di noi.
Un compromesso al ribasso
Un anno in 14 pagine. Il racconto della vita di un Paese in bilico, il tutto letto attraverso cinque parole chiave, quelle che «ridisegnano la nuova Italia»: credibilità, coesione, responsabilità, legalità e visione.
Mario Monti ha voluto celebrare così, con un documento dal titolo “Un anno dopo – Appunti di viaggio” pubblicato sul sito di Palazzo Chigi il suo primo anno al governo. Ha rivendicato per la sua squadra di tecnici il merito di aver salvato l’Italia dal baratro e di averla proiettata nel futuro. Un futuro che nell’analisi del premier sembra non potere prescindere da lui visto che, durante il suo viaggio in Kuwait a caccia di investimenti arabi, lo stesso Monti sul “dopo Monti” ha avuto modo di dire: «Dopo il voto non garantisco sull’Italia». Una caduta di stile. Continue reading
Radio, è crisi a Popolare Roma. Tagli a news, si dimette la direttrice
Fase di grande difficoltà per l’emittente nata grazie all’accordo tra l’ex centro sociale Brancaleone e il network milanese: cassa integrazione per i lavoratori, tagli di tutti i contratti precari. Porte spalancate per l’intrattenimento, si riduce drasticamente lo spazio per l’informazione. E lascia Marta Bonafoni.
Le dimissioni della direttrice, lo stop a tutti i contratti a tempo determinato e alle collaborazioni, la cassa integrazione al 75% per i dipendenti e il cambio del “suono” con la contrazione drastica dello spazio dedicato all’informazione. E’ crisi a Radio Popolare Roma, l’emittente che in questi anni è stata un punto di riferimento certo per la sinistra romana. Una crisi nera a tal punto che qualunque esito oggi appare possibile. Nel bene e nel male.
L’INFORMAZIONE NEGATA – Gli ascoltatori se ne sono accorti da tempo: il suono di Radio Popolare Roma è cambiato. Da mesi il palinsesto ha ridotto drasticamente lo spazio per l’informazione – che da sempre caratterizza Radio Popolare nel suo “originale” milanese e anche nell’esperienza romana – per spalancare le porte alla musica e all’intrattenimento. Una sorta di tradimento della vocazione informativa della radio che pure è stata capace di raccontare con originalità e apertura i cambiamenti di Roma. Un tradimento frutto delle valutazioni della proprietà di fronte alla crisi economica e all’incertezza del quadro politico (con la conseguente carenza di entrate). Una scelta che pare abbia creato non poche frizioni tra il socio di maggioranza (la cooperativa Impact riconducibile al Brancaleone, il locale romano, ex centro sociale, noto per le serate di musica elettronica) e Radio Popolare di Milano, titolare della minoranza delle quote. E una scelta che ha avuto anche delle conseguenze concrete sulla redazione.
I TAGLI – La società editrice infatti già da alcuni mesi ha operato dei tagli importanti: non sono stati riconfermati infatti i tre contratti a tempo determinato e sono state interrotte tutte le collaborazioni autoriali. La conseguenza, naturalmente, oltre che sui lavoratori è stata quella di impoverire la forza informativa della radio. Che, dal 15 ottobre, ha avuto un altro brusco colpo: i cinque lavoratori a tempo indeterminato sono stati mandati in cassa integrazione al 75%. Che tradotto, vuol dire che la redazione – già ridotta – lavora soltanto il 25% del tempo previsto dal contratto. Il risultato, purtroppo, è che si contrae ancora di più lo spazio per l’informazione. E questa situazione di tensione e difficoltà ha avuto anche altre conseguenze.
LE DIMISSIONI – La più importante è che il 30 ottobre scorso la direttrice editoriale della radio, Marta Bonafoni – la giornalista che aveva contribuito a fondare l’emittente romana e che l’aveva portata a diventare un luogo di sintesi per tante realtà della città – ha inviato la sua lettera di dimissioni al consiglio d’amministrazione della società editrice (con più di un anno di anticipo rispetto al mandato che le era stato assegnato). Dimissioni che saranno operative a partire dalla fine di dicembre e che potrebbero avere delle conseguenze anche sulla trasmissione del mattino della Bonafoni, “due.zero.tredici”, lo spazio che oggi rappresenta il volto informativo della radio, che è stato già ridotto da tre a due ore e che rischia di sparire. Il futuro, insomma, è incerto. Per i palinsesti e anche per il personale: non è difficile immaginare che per contrarre ancora le spese si decida per ulteriori tagli. Decisioni che spetteranno al consiglio di amministrazione che dovrà valutare il da farsi. Sullo sfondo la prossima tornata elettorale – dalle comunali alle politiche – che naturalmente ha un peso. Per gli equilibri interni alla radio. E anche per gli ascoltatori che – senza l’informazione di Radio Popolare Roma – perderebbero una bussola.
Ultimo appello per la politica
Inutile mentire a noi stessi: l’emergenza democratica del Lazio non dipende dal caso Fiorito. Non solo almeno. Piuttosto è il frutto del crollo della credibilità della politica e delle istituzioni. Che “prendono” e non sanno dare le risposte politiche che le cittadine e i cittadini si aspettano per migliorare le proprie condizioni di vita. Il nodo, insomma, non è soltanto legato alle inchieste della magistratura. E’ tutto politico e sociale.
Le cittadine e i cittadini, per esempio, non hanno più fiducia nella maggioranza che ha governato fino a ieri la Regione (con Renata Polverini che da dimissionaria, in maniera spregiudicata, continua ad approvare delibere, distribuire incarichi e appalti) e che sarà ricordata per tagli scriteriati, cadute di stile e il Piano Casa. E faticano a credere anche nell’opposizione: che non ha visto o ha visto tardi, ha taciuto, non ha avanzato proposte convincenti. Ma le cittadine e i cittadini non riescono a considerare credibile neppure il lavoro del commissario per l’emergenza rifiuti, Goffredo Sottile: che non sa decidere e, quando lo fa, sembra ripercorrere le strade che hanno già portato allo sfascio e continuano a passare per il re delle discariche Manlio Cerroni, di recente indagato per associazione a delinquere, estorsione, truffa e traffico illecito di rifiuti. Continue reading