“C’è chi dice no” – Dossier racket

Nel 2009 non era la prima volta che un calabrese si opponeva al pizzo e denunciava i suoi estortori. Ha sbagliato il Corriere della Sera nel gennaio dell’anno scorso a titolare così (“Calabria, la prima rivolta contro chi impone il pizzo”) un interessante pezzo – che infatti ripubblichiamo – sulla testimonianza importantissima che l’imprenditore Rocco Mangiardi tenne in tribunale contro i suoi aguzzini a Lamezia Terme. Sono tante le storie di cittadini che non hanno pagato la mazzetta e denunciato gli estortori. Rocco Gatto lo fece negli anni 70, Cecè Grasso negli anni 80, Nicodemo Panetta e Nicodemo Raschillà negli anni 90. E sono solo alcuni dei nomi di martiri calabresi del racket o delle persone che hanno resistito a fronte di problemi gravissimi.

Non è per inutile pignoleria allora che facciamo questa precisazione, ma per la profonda convinzione che – se vogliamo avere una qualche speranza di sconfiggere la ‘ndrangheta – è indispensabile conoscere il nostro passato, individuare i punti di forza e capire dove abbiamo sbagliato.
E se un buco esiste nella coscienza civile calabrese riguarda proprio il rapporto con la propria storia, la capacità di ricordare e reinterpretare la propria parte migliore. Questa amnesia individuale e collettiva si traduce spesso in un’informazione sbiadita e fuori fuoco, in una narrazione inefficace e incompleta di se stessi.
Siamo perfettamente consapevoli che la Calabria oggi vive una situazione complicata, una delle più difficili della sua storia. La ‘ndrangheta aumenta ogni giorno la sua forza e prepotenza, il numero di attentati ai commercianti e agli imprenditori è spaventosamente alto, le modalità di estorsione sono sempre nuove e invadenti (alla tradizionale richiesta del pizzo si affiancano l’imposizione delle forniture e del personale, l’acquisto di quote societarie fino alla sostituzione stessa delle proprietà) e siamo lontani anni luce dal fermento della Sicilia contro i clan. Tuttavia è necessario trovare le energie per avviare un percorso di riappropriazione delle libertà più elementari in Calabria. E questo percorso non può non passare dal recupero della memoria e da un’analisi della realtà che si fondi sulla conoscenza delle informazioni.
Nel dossier “C’è chi dice no” proviamo a restituire verità sulle estorsioni in Calabria e giustizia a chi non ha pagato la mazzetta. Abbiamo messo insieme vecchie e nuove storie, articoli di giornale, fotografie e video, documenti istituzionali e di associazioni, le parole dei testimoni e le analisi degli esperti. Proviamo a costruire tassello dopo tassello un quadro del racket – e soprattutto del movimento antiracket – calabrese. Raccontiamo le storie dei martiri e quelle di chi ancora oggi resiste, pubblichiamo la storia della prima associazione antiracket (l’Acipac di Cittanova) e i rapporti di Sos impresa, le foto delle lettere di intimidazione a Bovalino e le testimonianze di nostri concittadini onesti che hanno deciso di tenere la schiena dritta e di non pagare (Gaetano Saffioti su La7, Tiberio Bentivoglio e Filippo Cogliandro intervistati da Francesca Chirico e Patrizia Riso per Stopndrangheta.it). Nel nostro archivio troverete anche i materiali della nuova campagna contro il pizzo lanciata da Libera a Reggio Calabria (il dossier viene pubblicato proprio in occasione della presentazione) e il modello Addio pizzo analizzato in una tesi di laurea, la legge sull’antiracket e l’analisi dell’avvocato Giovanna Fronte, gli allarmanti dati contenuti in un’indagine di Confindustria Calabria dai quali emerge che troppi imprenditori pagano la mazzetta e soprattutto che troppo pochi vengono assistiti dallo Stato. Lo Stato, appunto. Quello Stato sul quale i calabresi troppe volte non possono fare affidamento.

(introduzione al dossier sul racket di Stopndrangheta.it)

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