“La Mafia ormai sta nelle maggiori città italiane dove ha fatto grossi investimenti edilizi, o commerciali e magari industriali. Vede, a me interessa conoscere questa “accumulazione primitiva” del capitale mafioso, questa fase di riciclaggio del denaro sporco, queste lire rubate, estorte che architetti o grafici di chiara fama hanno trasformato in case moderne o alberghi e ristoranti a la page. Ma mi interessa ancora di più la rete mafiosa di controllo, che grazie a quelle case, a quelle imprese, a quei commerci magari passati a mani insospettabili, corrette, sta nei punti chiave, assicura i rifugi, procura le vie di riciclaggio, controlla il potere”.
“Che segreto di Pulcinella è? Le banche sanno benissimo da anni chi sono i loro clienti mafiosi”.
“Ho capito una cosa, molto semplice ma forse decisiva: gran parte delle protezioni mafiose, dei privilegi mafiosi certamente pagati dai cittadini non sono altro che i loro elementari diritti. Assicuriamoglieli, togliamo questo potere alla Mafia, facciamo dei suoi dipendenti i nostri alleati”
Carlo Alberto Dalla Chiesa, da vivo.
Era il 10 agosto 1982
Eppure c’è chi, davvero troppi, ancora oggi, con le mafie ci gioca, ci parla o ci fa affari. Pensando che sia utile chiudere gli occhi, concentrarsi su “ben altro”, pensare all’immagine dei territori. O magari facendo dibattiti improvvisati, pensando ossessivamente ai beni confiscati, agitando bandierine rassicuranti. Come se stessimo parlando di un fantasma da tenere lontano, di una coscienza da tenere a posto, di un posizionamento da perfezionare, di un’immagine da costruire. Come se le parole senza il pensiero, l’azione e l’assunzione di responsabilità possano avere un senso.
E invece l’antimafia è una cosa tremendamente seria, per nulla settoriale. Che ha a che fare con l’organizzazione economica e sociale di questo Paese (e non solo). Che ha a che fare con la politica e la società civile di questo Paese (e non solo). Che ci interroga da vicino, che mette in crisi le nostre certezze, che è strettamente connessa con la vita quotidiana delle persone, con le opportunità e i diritti. Con la libertà e la ricchezza. Con le nostre contraddizioni e le nostre debolezze. Con la nostra responsabilità.
Altro che la retorica delle commemorazioni, utili soltanto a celebrare il nostro essere buoni, il nostro essere impegnati, il nostro essere giovani, il nostro essere diversi. O anche il nostro essere uomini delle istituzioni