Giuseppe Smorto: pezzi di Paese dati per persi

A un certo punto della conversazione si ferma un attimo, poi dice: «Il titolo di codice è rassegnazione». È l’estrema sintesi di un’analisi  lucida sul rapporto che esiste tra  l’Italia e  il suo sud, tra l’informazione e la Calabria. È anche la conferma che l’analisi è senza indulgenze: per i grandi giornali (per i quali lavora), per il sud (dal quale proviene). Giuseppe Smorto è nato a Reggio Calabria ma vive a Roma da una vita. Fa il giornalista e guarda al Paese e alla sua città da un osservatorio privilegiato: è condirettore di Repubblica.it, il principale mezzo di informazione web del Paese.

Pensiamo che esista in Italia un doppio problema: quello della rappresentazione del sud e quello dell’autorappresentazione. A noi paiono del tutto insufficienti. È d’accordo?
A casa mia  si  leggeva  Il Giorno. Lo dico per  sottolineare che è passata un’epoca e che c’era un tempo in cui al sud andavano i grandi inviati. Proprio nelle ultime settimane nella sua rubrica sull’Espresso Giorgio Bocca ha ricordato alcune vicende calabresi raccontate nei suoi viaggi.Oggi è diverso.
Senza  nulla  togliere  agli  inviati  di  oggi,  alcuni  dei quali sono molto bravi, ho l’impressione che ai tempi del grande giornalismo su carta ci fosse un maggiore investimento sul sud da parte dei grandi giornali.

Perché accadeva?
Era come se ritenessero il sud ancora una questione aperta, risolvibile. Oggi invece s’è creato un effetto di abbandono e rassegnazione che va in direzione doppia. Oggi è come se il sud, o almeno certe zone del sud, nei grandi giornali venisse considerato  un  problema  non  risolvibile  a  breve  termine. Questo, probabilmente, ha come conseguenza una più scarsa attenzione e un investimento giornalistico minore. Ma questo non accade solo per  i giornali. Recentemente ho  letto  il  libro di un magistrato che era stato in servizio a Locri: il ragionamento mi pare sempre lo stesso e riguarda il fatto che la Calabria è bella, la gente splendida ma poi bisogna andare via perché dalle nostre parti non si può combinare nulla di buono. Anche questa è rassegnazione. E in effetti la situazione è difficilissima: la procura di Reggio Calabria sotto attacco, Rosarno, il territorio ― checché se ne dica ― completamente controllato, la scarsità o forse dovrei dire assenza delle denunce. Poi succedono delle cose e la situazione cambia.

Spiegati.
In un periodo come il nostro in cui interi territori vengono considerati completamente consegnati alla criminalità succede che c’è uno scrittore che si chiama Roberto Saviano e cambia lo stato dei fatti.

Alla Calabria manca Saviano?
No,  non  è  la  risposta  da  dare.  Però  osservo  che  quando l’informazione riesce a trovare le forme ― anche artistiche ― di
raccontare un territorio alla fine la situazione cambia, i risultati  cominciano  a esserci e  i  casalesi  vengono  condannati.  In questo caso, c’è  stato un  investimento dell’informazione:  s’è parlato  più  di  casalesi  che  di  ‘ndrangheta,  eppure  sappiamo benissimo  che  la  ‘ndrangheta  è  al momento  l’organizzazione criminale più  forte. Nelle  scorse  settimane Saviano ha  scritto un articolo-provocazione  in cui  sostiene che dobbiamo essere tutti osservatori del voto sul modello di quelli Onu. La cosa viene presa come una boutade, eppure se si va in tantissimi paesi della Calabria o della Campania di osservatori ce ne sarebbe un gran bisogno. La verità è che fa paura in Italia dire che ci sono zone come l’Afghanistan. Insomma, alla Calabria manca il modo di finire in prima pagina con le idee.

I grandi giornali si sono fatti guidare da Saviano, eppure
avrebbero la forza e l’autorevolezza di fare da sé.

L’informazione non è pedagogica, è lo specchio del Paese e racconta quello che la gente vuole leggere. E poi è molto difficile mettere in pagina la tragica normalità dei fatti che, dopo il secondo o il terzo giorno, non interessa più nessuno.

Il  tuo giornale o un altro grande giornale però potrebbero decidere di lanciare una grande campagna sul sud o la Calabria.Le  statistiche  che  abbiamo  a  disposizione  ci  dicono  che quelli  sono  i  posti  di  cui  i  nostri  giornali  si  occupano  di  più.
Certo,  si potrebbe  fare  sempre meglio, ma non potrebbe essere una battaglia quotidiana. Ci  sono delle difficoltà e delle carenze  però. Oggi  innanzitutto  c’è molta meno  cronaca ―  i giornali sono stati sostituiti da internet ― per cui o si fanno dei grandi approfondimenti, come è stato per esempio su Rosarno, o fatalmente non ne parli. Oggi a volte si preferisce mandare gli  inviati  in Colombia  senza pensare che  in certi momenti  la Colombia ce  l’abbiamo alle porte di casa. E poi forse bisogna guardare a cosa è accaduto a Palermo.

Siamo più avanti a Palermo.
Forse non ce ne rendiamo conto fino in fondo, ma nei fatti a Palermo la mafia è in totale disfacimento: resta un solo capo e l’organizzazione è allo sbando tanto da non riuscire neppure a chiedere il pizzo.
A Palermo c’è tanta gente che ci mette la faccia. È un processo più avanzato,  in Calabria non  succede ancora, la situazione è molto diversa. Ma credo che ogni tanto si dovrebbe parlare delle esperienze positive e magari non considerare la situazione come irrisolvibile.

Ma sono solo i grandi media a considerare “persi” certi pezzi d’Italia o si tratta di una convinzione che appartiene
all’intera classe dirigente?

Secondo me è la stessa cosa. I grandi giornali riassumono posizioni che stanno nella classe dirigente, che vivono nell’opinione pubblica. «Certo che gli aborigeni li avete trattati davvero molto male». E lui risponde: «E voi gli zingari come li avete trattati?» Non sono più un’emergenza i rom, ci sembra normale ormai che i bambini stiano per strada, che esistano quei campi. Allo  stesso modo  sembra normale a  tutti che  la Calabria viva questa condizione.

Appare normale anche ai calabresi.
Il  titolo di codice è “rassegnazione”. È così da parte dei giornali  che  ritengono  quel  territorio  senza  possibilità  di miglioramento a breve periodo e non prendono in considerazione quello che è accaduto con la mafia. Ma c’è rassegnazione anche tra  i cittadini calabresi, divisi tra quelli che godono di questa situazione di arretratezza e assistenzialismo (senza magari essere collusi) e quelli che stanno male ma sono convinti che nulla possa cambiare, che non ce n’è la forza. Tutto questo conviene anche a chi controlla il territorio. C’è anche un problema sociale: nel momento in cui si disgrega il tessuto del lavoro, faciliti il  lavoro dei clan. Più  licenzi, meno  lavoro offri e più braccia fornisci alla criminalità organizzata. Basti pensare alla trasformazione subìta da Crotone: era una grandissima realtà operaia e contadina con un tessuto democratico importante e anche lei è  finita  in mano alla  ‘ndrangheta con  famiglie che  riescono a eleggere persino un senatore in Germania.

Sono diverse le questioni in campo.
All’inizio di gennaio ho posto la questione durante una riunione del giornale. Ho detto: c’è stato l’attentato alla procura di Reggio Calabria, a due passi c’è la Piana dove è scoppiato il caso Rosarno e dall’altra parte la Locride. È una cosa normale che una zona così vasta di territorio ― dove peraltro vogliono costruire  il ponte ― viva questa emergenza? Abbiamo parlato molto di Reggio  in quelle  settimane.  Lo  ripeto:  i  giornali potrebbero avere un ruolo e, secondo me, in determinati periodi ce l’hanno. Ma è lo Stato a dover essere più presente per prima cosa, non i giornali.

Nessun  grande  giornale  ha  una  redazione  in  Calabria.
Questo è un problema.C’è un motivo per cui tutti i giornali non hanno una redazione in Calabria. Stiamo parlando di un territorio economicamente depresso e se non hai una base di possibili inserzionisti non  apri.  E  c’è  anche  la  complicazione  che  devi  stare molto attento agli inserzionisti, a che soldi arrivano. Peraltro stiamo parlando di un mondo  in crisi  in cui  i giornali non aprono più redazioni locali. Comunque l’impressione è che ― storicamente ― l’investimento informativo sul sud sia minore che in passato.

In questo può aiutare il web?
Il web può essere utile per tutti i luoghi che non appaiono nella grande informazione: può dare visibilità se lo fai bene e in modo serio.

Per la Calabria probabilmente l’omicidio di Peppe Valarioti e Giannino Losardo hanno segnato una cesura. E anche la memoria di quelle storie si sgretola.
Accade che alcune  storie  siano valorizzate di più e altre meno. Accade  che  le  cose ―  anche  le morti ―  in  certi  posti siano considerate più normali che altrove. E poi trent’anni  fa soprattutto c’erano un altro sindacato e un altro partito, i fatti di Reggio erano ancora caldi. Diciamo che si può arrivare tranquillamente alla conclusione che, in qualche modo, tutti hanno abbandonato quel territorio: l’informazione, la politica.

La politica.
Beh,  quale  politico  abbiamo  espresso  negli  ultimi  anni, quanta Calabria  i politici hanno portato all’attenzione del Paese? Non mi  pare  affatto  che  la Calabria  abbia  prodotto  una classe politica di grande livello.

In effetti no. La Calabria però produce  tantissimi emigranti di grande qualità e successo.
È vero. E si dovrebbe trovare una modalità per valorizzare tutte le intelligenze che stanno in Calabria o fuori dalla Calabria in nome del futuro del territorio. Bisogna trovare il modo di  valorizzare  la nostra  cultura del  saper  fare  le  cose. Chi  lo fa? Difficile da  realizzare, ma  trovo affascinante  l’idea di  far ragionare il meglio che la Calabria ha prodotto su cinque o dieci grandi progetti concreti.

E  questo  fa  parte  dell’autorappresentazione.  Riguarda il modo di esprimersi e  raccontarsi della Calabria. Corrado
Alvaro a parte, se pensi alla Calabria che artisti ti vengono in mente?

Ai giornalisti più giovani dico sempre: leggete Corrado Alvaro  se volete capire come  si  scrive  in  italiano… Mi viene  in mente  Carmine Abate  che  penso  sia  un  grandissimo  scrittore anche se  forse per troppe volte ha  raccontato dei calabro-albanesi, poi Mimmo Gangemi. A lui vorrei chiedere: perché hai iniziato a scrivere solo dopo la pensione? E di registi Calopresti, Amelio.  Però  confesso  che  l’unico  film  bello  sulla  Calabria  è “Un ragazzo di Calabria”. L’ho rivisto recentemente e mi sono commosso quando il ragazzo protagonista ha vinto i giochi della gioventù. Oggi quel film non glielo farebbero nemmeno fare…

(tratta da “Il caso Valarioti”)

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