La tragedia del Ponte

VILLA SAN GIOVANNI – Stava parlando del suo territorio, con l’amore e la passione di sempre. In mattinata era già intervenuto, quando il corteo doveva ancora partire. All’arrivo ha sentito il dovere di riparlare, per rivolgersi ai giovani. Franco Nisticò è morto ieri sul palco della manifestazione No Ponte, a Villa San Giovanni. Un attacco cardiaco. Erano da poco passate le 15. Inutile il tentativo dei compagni di rianimarlo, inutile la richiesta di un’ambulanza: non c’era. Inutile la corsa in ospedale («su un mezzo della polizia non equipaggiato adeguatamente», spiega un medico) a Reggio Calabria. L’attore Ulderico Pesce era a due passi da lui, aveva appena aperto la maratona (subito annullata) degli artisti contro il Ponte. Racconta: «È gravissimo: eravamo circondati dalle forze dell’ordine, c’erano elicotteri, camionette, una motovedetta e non c’era uno schifo di ambulanza – attacca ancora scosso – vogliono spendere 6 miliardi di euro per un’opera in un territorio dove si può morire per un calo di pressione. Ho visto quell’uomo cadere con i miei occhi, l’ho coperto con il mio giubbino blu. Sembrava il “Cristo del Mantegna”: suscitava disperazione e pietà e se ne stava lì a morire senza Stato, leggi e regole». È stato Pesce a placare la rabbia dei manifestanti inferociti per il ritardo dei soccorsi: «I ragazzi se la sono presa con i poliziotti e capisco la loro esasperazione – sottolinea – ma non c’entravano niente, il primo soccorso l’ha fatto proprio un poliziotto».

Franco Nisticò coordinava il comitato di lotta per i problemi del Basso Jonio catanzarese, era stato candidato a sindaco di Badolato, un paese simbolo, divenuto famoso per avere spalancato le porte al popolo kurdo. La sua è una morte assurda, «sulla quale – chiedono i manifestanti ancora increduli – bisogna fare chiarezza: ognuno deve assumersi le sue responsabilità». Una tragedia, che rende ancora più demenziale l’idea del Ponte.
Fino a quel momento era stata «una festa nonostante le difficoltà», secondo Peppe Marra della Rete No Ponte. Un modo per ribadire il No al Ponte e chiedere opere utili, «a partire – gli fa eco Maurizio Marzolla del No Ponte – dalla messa in sicurezza del territorio». Non era scontato, per il maltempo e per una sorta di campagna di criminalizzazione del corteo con tanto di evocazione strumentale dei black bloc. Non è successo nulla, eppure la partecipazione dei villesi è stata scarsa e i commercianti hanno tenuto le saracinesche abbassate. Una festa in un deserto, che neppure la presenza degli ultimi tre sindaci – Cosimo Calabrò, Rocco Cassone e Giancarlo Melito – ha evitato. «È stata una scelta del commissario prefettizio quella di avvisare i cittadini – spiega Melito – forse è stata caricata un po’ troppo». Tant’è.
All’imbocco della discesa che porta al lungomare gli ultimi dubbi s’erano dissolti: il movimento No Ponte c’è. Ci sono associazioni e partiti, studenti e precari della scuola, anche la chiesa valdese. Dissotterra subito l’ascia di guerra il segretario dei Verdi Angelo Bonelli. Prima attacca Di Pietro («se da ministro non si fosse opposto allo scioglimento della Stretto di Messina spa oggi non saremmo qui», dice), poi affonda i colpi contro Altero Matteoli: «L’inizio dei lavori della variante ferroviaria di Cannitello è solo un trucco per dire che non si torna indietro: non è così, faremo una vertenza legale».
Quella che il governo considera «la prima pietra del Ponte» sarà posata il 23 dicembre. Doveva arrivare anche Berlusconi ma lo show, dopo i fatti di Milano, è rinviato. Inizieranno comunque i lavori. Spiega Nuccio Barillà, del direttivo nazionale di Legambiente: «Berlusconi vuole riproporre una pratica che da queste parti è tristemente nota», dice. Il riferimento è al 1975, quando Giulio Andreotti a Gioia Tauro pose la prima pietra di un altro grande inganno: il quinto centro siderurgico. «I calabresi andarono a Roma a restituire quella prima pietra – sottolinea Barillà – Noi faremo lo stesso e chiederemo la restituzione delle risorse sperperate». Ormai, conclude, «è chiaro che l’alternativa non è più tra sì e no al Ponte – sottolinea – ma tra due idee inconciliabili di sviluppo». I cittadini calabresi, spiega il segretario della Cgil reggina Francesco Alì, «hanno bisogno di uscire dall’isolamento: bisogna concludere i lavori dell’A3, rendere sicura la Statale 106 e competitivo l’aeroporto dello Stretto, potenziare il trasporto pubblico locale, sostenere i pendolari dello Stretto». Via via sfilano le associazioni (dai comitati di Giampilieri a quelli contro i veleni a Crotone, dal comitato Natale de Grazia di Amantea al reggino Gruppozero), ci sono i centri sociali e l’onda anomala di Cosenza, i sindacati dei marittimi e l’Arci. La denuncia antimafia è di Magnolia (in piazza con le tute bianche del Ris e la scritta “Stretto di Messina scena del crimine”) e dell’associazione Rita Atria, della “20 luglio” di Palermo e di daSud, di Mario Congiusta, padre di Gianluca, ucciso dalla ‘ndrangheta. Risuona la musica proposta dai Pirati dello Stretto, sfila anche il Popolo viola («il ponte amplifica i problemi economici e sociali a livello locale»), si vedono anche Marco Ferrando e le bandiere di Sinistra e Libertà, gli ex parlamentari e sindaci coraggio Mommo Tripodi e Peppino Lavorato, i Cobas e Sinistra euromediterranea. Giorgio Cremaschi (Fiom Cgil) spiega che «il ponte è solo una fonte di speculazione», mentre il Wwf (c’è anche l’ex senatrice Anna Donati) denuncia con Raniero Maggini il rischio «che, come tra gli anni 60 e 90, il Paese sia devastato da tronconi di grandi opere incompiute». C’è un corposo spezzone della Federazione della sinistra. Avverte il segretario regionale del Prc Nino De Gaetano: «Per opporci al Ponte siamo pronti anche a compiere gesti eclatanti». Sfilano, per la prima volta in via ufficiale, anche le istituzioni locali. C’è la Provincia di Reggio Calabria con l’assessore Michele Tripodi: «Le nostre scelte strategiche non prevedono il Ponte». E aggiunge: «Dividendo i 6 miliardi di euro per 2 milioni di calabresi – sottolinea – avremmo tre milioni di euro per ogni mille abitanti: tutti i problemi dei comuni sarebbero risolti». La Regione Calabria (uscita di recente dalla Stretto di Messina spa e pronta a ricorrere al Tar contro la variante di Cannitello) è ben rappresentata. Spiega Silvio Greco, assessore all’Ambiente: «Trovo amorale fare campagne pubblicitarie sulle spalle dei calabresi e sperperare così i soldi pubblici». Già che si trova, Greco spiega che «finché ci siamo noi» il governo non potrà fare la «centrale a carbone di Saline». Demetrio Naccari, Pd e assessore ai Trasporti, spiega che «questa opera del faraone serve solo a mantenere nominalmente al 40% i fondi Fas impiegati per il Sud. Alla fine scopriremo che si tratta di appena il 10». Commenta Michelangelo Tripodi, Pdci e assessore all’Urbanistica: «Nonostante il tentativo di creare un clima di paura e di isolare la manifestazione – spiega – è stato un successo che ci dà fiducia per continuare la battaglia per un’idea di sviluppo diversa». Che passa anche dai servizi per i cittadini, che possono salvare la vita ai cittadini.

(pubblicato su Il Manifesto)

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