“Provincia, la sede unica è strategica” Ecco il Piano della giunta Zingaretti

Antonio-Rosati_fullTra pochi giorni scade il bando per scegliere il soggetto che dovrà vendere 12 immobili dell’ente e acquistare la torre dell’Eur che ospiterà tutti gli uffici della Provincia. Parla l’assessore al Bilancio Antonio Rosati. Valutazioni, costi, tempi e i rischi dell’operazione finita nel mirino di giornali, costruttori e centrodestra. “Risparmieremo 5 milioni di euro all’anno”. Sull’inchiesta della Corte dei conti: “Siamo sereni”

“Sì, l’operazione è stata decisa dalla giunta Gasbarra”. Inizia così questa conversazione nella stanza dell’assessore provinciale al Bilancio Antonio Rosati, l’uomo che per conto della giunta di Nicola Zingaretti ha in mano la partita delicata dell’acquisto della nuova sede unica della Provincia. Una vicenda che è stata al centro di violente polemiche giornalistiche e politiche e su cui sta indagando la Corte dei conti. Così a poco più di dieci giorni dalla scadenza (alle 12 dell’1 ottobre) del bando per l’individuazione della Società (Sgr) che dovrà gestire la vendita del patrimonio della Provincia e l’acquisto della nuova sede dell’Eur, vale la pena fare il punto. Per capire di che tipo di operazione si tratta e come la Provincia di Roma risponde alle critiche che le sono piovute addosso. “L’operazione è stata decisa dalla giunta Gasbarra”, ripete. Ma aggiunge: “Ma io c’ero già, ero assessore al Bilancio anche allora”, come a dire che non c’è nessuna intenzione né di rinnegare né di scaricare eventuali responsabilità sul passato. E precisa però: “Era il 2005 ed era un’era geologica diversa”, oggi cioè le condizioni economiche e di finanza pubblica sono diverse. Eppure la Provincia ha deciso di andare avanti. Rosati spiega perché. E parte da lontano.

SENZA PROGRAMMAZIONE – “Nel corso degli anni non c’era stata nessuna programmazione a proposito della collocazione degli uffici – sottolinea – frutto del fatto che le deleghe assegnate alla Provincia sono cresciute poco per volta”. Il risultato è stato che “ci troviamo sedi, in affitto o di proprietà, sparse per tutta la città. Abbiamo pensato allora che sarebbe stato meglio avere un’unica grande sede prevalente”. Che significa che restano soltanto Palazzo Valentini per la presidenza e il consiglio provinciale e Palazzo Incontro.

LA SCELTA DEL LUOGO – Così la Provincia, “anticipando un processo di spending reviuw ha fatto la verifica e il riordino del patrimonio”, e ha fatto un bando europeo “per cercare una zona dove realizzare 48/50mila metri quadri di uffici con parcheggi in una zona relativamente centrale”. L’advisor di questa operazione era Risorse (oggi Risorse per Roma) “di cui eravamo soci: la legge ci permetteva di fare un affidamento in house”. La scelta è caduta su un complesso di proprietà di Parsitalia (che poi ha “trasferito” l’operazione al fondo immobiliare Upside, gestito da Bnp Paribas) che si trova all’Eur nella zona di Castellaccio. Certo non al centro. “Eppure non è affatto una zona abbandonata – si difende Rosati – ma lo stesso luogo del ministero della Sanità, del palazzo della Mobilità di Atac, di molte importanti aziende: una zona di città consolidata”. Un problema, quello del luogo, che ha visto anche le proteste dei sindacati: “L’intera procedura è stata spiegata e condivisa – precisa – 1800-1900 lavoratori miglioreranno le loro condizioni”. Quanto ai trasporti “naturalmente ci saranno le navette dalla stazione della metro”.

DALL’AFFITTO ALL’ACQUISTO – La prima ipotesi prevedeva di “prendere il palazzo in affitto a circa 17/18 milioni di euro per 18 anni”. Il contratto prevede però anche l’opzione dell’acquisto. La cifra per gli uffici, racconta Rosati, è “di circa 4500 euro più iva al metro quadro in una zona da 8000 euro per abitazioni di lusso”. Alla fine il costo sarà di circa 220 milioni di euro più iva (circa 263 milioni). Una somma che non convince affatto i critici dell’operazione: “In quel momento – replica – la cifra era assolutamente vantaggiosa, oggi possiamo dire che siamo in linea con il mercato. Non voglio rispondere sul fatto che il valore è sbagliato: tutti hanno capito che si tratta di un’argomentazione pretestuosa”. Ma non è questo l’importante per Rosati, quanto “i vantaggi che introduciamo dal punto di vista energetico e dello smaltimento dei rifiuti”. E non solo: “La struttura ha una mensa, un asilo nido, 950 posti auto (alcuni dei quali possono essere anche messi a frutto) e un auditorium modulare da 50 a 600 posti”. In più, sottolinea l’assessore, “voglio precisare che stiamo parlando di luoghi assolutamente idonei per il lavoro”. Tutto questo ha anche un vantaggio economico: “A regime, nel rapporto tra manutenzione ed energia, abbiamo calcolato un risparmio di 5 milioni di euro all’anno. E non si possono quantificare il valore del tempo risparmiato per le riunioni e il migliore coordinamento del lavoro”.

L’ERA ZINGARETTI – Riprendiamo il racconto delle procedure. “Intanto la torre veniva costruita” e si arriva alla giunta Zingaretti che conferma, nell’ottobre del 2010, l’intera strategia che – nel frattempo – prevedeva l’acquisto della torre. E’ quindi il momento di elaborare un piano economico-finanziario “che aveva tre gambe: una parte dei soldi l’avremmo trovata con un mutuo e quindi con una rateizzazione a tassi molto bassi” visto che la Provincia è ritenuta “un’Amministrazione virtuosa che ha abbattuto il debito di 300 milioni e ha avuto il massimo” come rating da parte di Standard & Poor’s. La seconda gamba, invece, “era rappresentata dall’avanzo di amministrazione, la terza era data dalla vendita di una parte di patrimonio”. E’ in quest’ottica che la Provincia ha razionalizzato i suoi immobili che, come sostiene la perizia di Abaco-Gabetti, “hanno un valore di circa 245 milioni di euro e che sono in condizione di essere venduti”. E si tratta di un patrimonio “di grande pregio” come l’immobile che ospita la caserma dei carabinieri di piazza del Popolo, i palazzi di via dei Prefetti, di viale Trastevere, di via delle Tre Cannelle o quello dentro Villa Pamphilj”.

IL CAMBIO DI STRATEGIA – La giunta Zingaretti però ha dovuto cambiare ben presto i suoi piani. Come spiega lo stesso assessore al Bilancio: “La legge di stabilità ci ha cambiato le carte in tavola: non potevamo più fare mutui, non potevamo più usare l’avanzo di bilancio”. E non si poteva certo trascurare una questione che diventava sempre di maggiore attualità: ci sarebbe stato ancora l’ente Provincia? Un dibattito che ha poi portato all’abolizione delle province e alla nascita della città metropolitana. “In questa situazione ci è venuta in soccorso la Spending review – spiega Rosati – che chiarisce come fare un uso più forte del patrimonio”. Quanto invece all’abolizione della Provincia “la risposta è molto semplice: tutti i patrimoni si trasferiscono all’area metropolitana e quindi la torre dell’Eur sarà la sede dell’area metropolitana”. Forse, cambiate le carte in tavola, si poteva anche evitare di fare l’acquisto. Rosati non è d’accordo: “C’era un contratto che diceva di comprare. E c’era un possibile risarcimento danni”. Rispetto alla quantificazione del danno eventuale, Rosati si limita a dire che “in questi casi c’è il codice civile e si può arrivare persino all’intera somma”: Poi aggiunge che “su questo tema abbiamo anche sollecitato la Corte dei conti”. I giudici contabili “con estrema prudenza ci hanno detto: attenzione, c’è un contratto e va onorato”. Forse, aggiunge Rosati mostrando orgoglioso la sentenza, “sono stati convinti anche dal fatto che la sezione regionale della Corte dei conti, chiuso il monitoraggio sui nostri conti, ha affermato che siamo un’amministrazione all’avanguardia”. C’era anche una componente di natura personale in questa valutazione: “Sì, il rischio di una causa era anche per i singoli amministratori. A questo punto mi faccia ringraziare i colleghi per la fiducia”. E precisa: “Insieme ci siamo detti che stavamo facendo un’opera di modernizzazione politica e abbiamo deciso di andare avanti”.

L’INDIVIDUAZIONE DELLA SGR – Di qui la decisione di individuare la Società di gestione del risparmio (Sgr) per “prendersi cura” del patrimonio immobiliare dell’ente e per acquistare la nuova sede. E di qui, probabilmente, l’aumento degli attacchi all’indirizzo della giunta Zingaretti: “Critiche legittime, certo. Ma provenienti da un grande giornale legato al gruppo Caltagirone – sottolinea – Su questo voglio solo sottolinare che in Italia è possibile che coincidano le proprietà dei giornali con le grandi potenze economiche”. Il riferimento, naturalmente, è allo storico quotidiano della città, il Messaggero, “che vedo – sottolinea con malizia – che in questi giorni sta elogiando il tentativo del Comune di organizzare anche lui una Sgr”. Spiega: “Abbiamo fatto un Bando europeo per la Sgr che dovrà gestire il fondo immobiliare”, dentro il quale staranno i 12 immobili destinati alla vendita, che è “al 100% della Provincia e che avrà il compito di trovare sul mercato i circa 250 milioni di euro necessari per comprare la torre”. Il tutto dovrà avvenire in tempi “congrui”, cioè entro tre anni. Aggiunge Rosati: “Forti del patrimonio immobiliare – sottolinea – si rivolgeranno al sistema bancario per trovare i soldi per l’acquisto” della torre. L’indebitamento con le banche si affronterà “con l’affitto pagato al fondo” per gli immobili.

I RISCHI – Resta da capire una doppia variabile: la prima è se non si presenterà nessuno alla scadenza del bando, la seconda è se i tre anni non saranno sufficienti alla Sgr per vendere i 12 immobili e quindi non si raggiungerà una cifra sufficiente all’acquisto. Rosati si dimostra fiducioso: “Ci sono molti fondi sovrani (cinesi e arabi soprattutto) interessati a un certo tipo di mattone. E, visto che si tratta di immobili unici, pensiamo persino di potere avere un piccolo delta per fare investimenti”. E precisa: “Abbiamo prorogato la scadenza del bando perché ci sono arrivate richieste di chiarimenti. I quesiti sono pubblici”. Un interesse che rende Rosati tranquillo: “Speriamo arrivino almeno due offerte”. Se invece non si dovesse presentare nessuno “ci rivolgeremmo alla Cassa depositi e prestiti, che ci ha dato in questa procedura preziosi aiuti, o faremmo la vendita al massimo realizzo”, dice Rosati. Quello che è sicuro, sin d’ora, è che la base del bando “è di 235 milioni, al di sotto dei quali non si può andare”. Si valuterà se è più conveniente vendere l’intero pacchetto o i singoli “pezzi”. E se proprio si dovesse chiudere a quella cifra, si aprirà una trattativa con la proprietà della torre e “sono sicuro che 235 milioni in mano un accordo si troverà”. Insomma, nessuna operazione è immune dal rischio. “Certo i rischi sono sempre – ammette – ma che dovremmo dire al governo Monti che ha sbagliato una previsione sul Pil che ci è costata 30 miliardi?”.

“UNA SCELTA GIUSTA” – Su tutta la vicenda è in corso un’indagine della Corte dei conti. Un dato che Rosati considera normale (“vista la campagna di stampa che è stata fatta”) e per nulla preoccupante: “Abbiamo fornito tutti gli elementi del caso. Diciamo che sarà un ulteriore elemento di garanzia ed efficienza”. Una storia lunga e contrastata, utilizzata nella polemica politica contro Nicola Zingaretti e la sua giunta, un’operazione complessa e rischiosa. Che merita un primo bilancio. Rifare oggi, alle condizioni di oggi, la stessa scelta? L’assessore ci pensa. Poi dice: “Prenderei anche oggi questa decisione, farei l’intera operazione confortato dalla Spending review. Se non l’avessimo avuta, certo avremmo dovuto aspettare. Ma ci è stata offerta una strada concreta per mettere il patrimonio a frutto e avviare un processo di cambiamento vero per la pubblica amministrazione”. E non solo: “Lasciamo in dote una torre straordinaria, che ancora vale un po’ di più del valore di mercato”. Con un rimpianto: “Il palazzo di Tre Cannelle non avrei voluto venderlo. E infatti nella prima ipotesi”, quella precedente al patto di stabilità, “non era in vendita”. L’intervista finisce. E l’operazione della Provincia progettata da Rosati – in attesa del vaglio della Corte dei conti – passerà il vero esame: la scadenza del bando. Rosati però riprende: “Vorrei aggiungere una cosa per me importante”. Prego. “Dopo venti anni di Berlusconismo, anche il centrosinistra deve farsi carico di uno scatto di orgoglio ulteriore e di comportamenti inattaccabili. E la nostra è stata una scelta trasparente, rigorosa e lineare. Voglio dirlo ai cittadini prima ancora che ai nostri elettori: non è vero che è tutto sporco, si può amministrare bene”. Che poi è anche l’auspicio di tutti i cittadini.

Elezioni, che succede nel Pd?

La domenica è di quelle particolari e la politica che conta, una volta tanto, è lontana da Roma: Pier Luigi Bersani parla a Reggio Emilia e delinea il prossimo governo di centrosinistra che supera l’agenda Monti, Pierferdinando Casini interviene a Chianciano e dice che “dopo Monti c’è Monti”. Posizioni antitetiche, e apparentemente inconciliabili. Il premier è invece a Cernobbio e (non creduto da molti) continua a sostenere che è la primavera 2013 l’orizzonte del governo tecnico. In questo quadro, e con l’attenzione di tutti rivolta fuori dalla Capitale, nel pomeriggio una dichiarazione scuote la politica romana. Una domanda messa nero su bianco su un comunicato stampa esplicita quello che in tanti nel centrosinistra, e nel mondo dei movimenti che al centrosinistra guardano, dicono sottovoce. A porla è il consigliere provincile di Sel, Gianluca Peciola, sostenitore della prima ora di Nicola Zingaretti come candidato a sindaco di Roma. “Che succede nel Pd?”, chiede Peciola. E si spiega: “Le dichiarazioni di Gasbarra e di Marroni aprono scenari inquietanti e sembrano segnalare singolari e innaturali aperture all’Udc. Non vorremmo che il profilo civico e l’indipendenza dalle segreterie del partito da parte del presidente Zingaretti avessero creato scompensi nel sistema decisionale delle nomenclature del Pd”. Che tradotto, significa: l’apparato del Pd sta abbandonando Zingaretti? E per rendere più chiaro il suo pensiero evoca la clamorosa scontitta di Rutelli contro Alemanno.

Il riferimento è all’appello lanciato dal segretario regionale del Pd Enrico Gasbarra a “uscire dagli schemi precostituiti” nella costruzione dell’alleanza da contrapporre a Gianni Alemanno (o a chi sarà il candidato del centrodestra) alle prossime comunali. Parole che trovano il consenso di Umberto Marroni, che negli ultimi giorni s’è attirato più di qualche veleno e sospetto per una cena con il sindaco in un ristorante del centro scoperta dal Corriere della Sera. Il capogruppo Pd va oltre e traccia con precisione lo schieramento: le “forze di centro e di sinistra che oggi a Roma sono all’opposizione”.

Punti di vista certo legittimi, ma che curiosamente cadono proprio nel giorno in cui Casini e Bersani sembrano imboccare strade diverse. Punti di vista, quelli di Gasbarra e Marroni, che altrettanto curiosamente non citano mai la candidatura a sindaco di Nicola Zingaretti. E non dire, a volte, vale più di pronunciare mille parole.

Di qui la reazione pubblica di Peciola e un vorticoso giro di telefonate nel centrosinistra: che sta succedendo? E qualcosa forse accade se un politico esperto come il vicepresidente Udc della Regione Ciocchetti non si accontenta dell’apertura democratica, ma addirittura chiede l’azzeramento delle candidature in campo. Magari per proporre proprio un candidato centrista.

E se nel centrosinistra c’è una certa agitazione, non traspare nessuna reazione particolare dagli uomini più vicini al presidente della Provincia. Nessuno si stupisce delle frizioni interne al Pd, ma soprattutto si guarda con attenzione a Reggio Emilia: il fatto che Bersani abbia spinto sulle primarie nazionali non fa altro che legittimare ancora di più le primarie per la corsa a sindaco di Roma. Proprio il percorso auspicato da Zingaretti e su cui il presidente della Provincia lavora da molti mesi, sicuro della sua sintonia con i romani, nonostante le candidature di Patrizia Prestipino e di Sandro Medici, nonostante gli attacchi che provengono da pezzi dell’Italia dei valori e la freddezza di certi ambienti dentro Sinistra e libertà.

Quale che sia lo stato d’animo di Zingaretti, resta il fatto che le dichiarazioni di Marroni e Gasbarra un peso ce l’hanno e che l’aria negli ambienti politici si fa pesante. Pertanto forse non è un caso se in serata entrambi decidano di mandare alla stampa un nuovo comunicato. Gasbarra rilancia il suo progetto di alleanza oltre il centrosinistra e auspica la nascita di una “piazza democratica” che deve avviare “al più presto un grande percorso di ascolto per coinvolgere, in un programma di governo, tutte le forze politiche moderate deluse dal Pdl e alternative alla destra”. Marroni spiega che “è necessaria un’ampia alleanza di forze sociali e politiche di fronte al fallimento della destra al governo, forze che hanno collaborato all’opposizione e i tanti delusi della gestione fallimentare Alemanno”. Nessuna vera novità politica rispetto a quanto dichiarato poche ore prima. Questa volta però, in entrambi i comunicati, si fa riferimento alla candidatura di Nicola Zingaretti. “Un punto fermo”, per entrambi. Ed entrambi, curiosamente, pur facendo riferimento a percorsi di confronto democratico, non usano mai la parola primarie. Si vedrà.

E se su Zingaretti le tensioni – almeno ufficialmente – sembrano scemate nel giro di qualche ora, resta un nodo da chiarire: il rapporto con l’Udc e i confini dell’alleanza che dovrà sfidare Alemanno. Le posizioni dentro il Pd – come si evince leggendo le dichiarazioni di Gasbarra e Miccoli – partono da due punti di vista differenti, per certi versi contrapposti. La partita, anche su questo, è tutta da giocare. Sempre che i grillini non facciano brutti scherzi o che la discussione non venga rinviata al ballottaggio.

Parole chiare e fatti concreti

Ci sono due buone notizie nell’estate 2012 sul fronte del contrasto alla mafia. E, per una volta, vengono dal mondo della politica e del lavoro.

La prima è  che il Partito democratico di Roma ha presentato un libro bianco sulla presenza delle mafie nella Capitale,  la seconda è che la Cgil ha organizzato gli Stati generali della legalità del Lazio. Fatti importanti, innanzitutto perché due rilevanti forze politiche e sociali – finora a Roma non era mai accaduto – assumono la lotta alle mafie come una questione centrale delle proprie organizzazioni. Finalmente.
In secondo luogo perché questi due strumenti – il libro bianco e la discussione agli Stati generali – sono stati l’occasione per mettere da parte, almeno per un giorno, il chiacchiericcio della politica, ascoltare voci importanti e rimettere al centro (o almeno provarci) della discussione pubblica le ragioni di chi (ancora pochi) sostiene che le mafie in città non sono soltanto più un’emergenza ma un fatto strutturale con cui confrontarsi.
Ma si tratta di due fatti importanti anche perché, avviando una discussione, Pd e Cgil hanno sottolineato quanti limiti esistano ancora nell’analisi del fenomeno mafioso; quale approccio “di maniera” o assai improvvisato sia prevalso finora;quale scarsa conoscenza del fenomeno guidi alcune riflessioni o, peggio, scelte. Insomma, Pd e Cgil – in via diretta o indiretta – hanno contribuito a togliere la coltre di polvere che esiste sull’antimafia romana. Una necessità. Soprattutto se rapportata a quanto sostiene il procuratore della Repubblica Giuseppe Pignatone.
Intervenendo a una cena organizzata dalla Provincia di Roma e da Libera a sostegno della cooperativa Libera Terra-Rosario Livatino, il Procuratore ha affermato: «Dateci un anno di tempo per capire cosa c’è dietro l’arrivo a Roma di un fiume di denaro sul quale la città non s’è fatta troppe domande».Faranno bene a tenerne conto tutti i candidati a sindaco che continuano a confinare la lotta alle mafie nei dibattiti con le associazioni e non ne fanno mai un punto centrale della propria attività politica e amministrativa. Gli errori commessi in questi anni – per superficialità, difetti di analisi o malafede – e di cui oggi tutti i romani pagano il prezzo non possono ripetersi, se si vuole davvero aprire una stagione di lotta alle mafie anche nella Capitale. Ai candidati a sindaco, e agli aspiranti consiglieri comunali, alla vigilia della campagna elettorale dobbiamo chiedere parole chiare e fatti concreti. Soprattutto quando si parla di mafie.

Il fantasma di Samuele Piccolo nel giallo delle elezioni regionali

Samuele-Piccolo-02_fullSono molte le versioni che ancora si rincorrono sul perché il Pdl non riuscì a presentare la lista alle elezioni regionali del 2010. Una di queste ha sullo sfondo il consigliere comunale finito oggi agli arresti domiciliari: fu per togliere in extremis il suo nome dalla lista che il partito di Berlusconi si presentò in ritardo in tribunale. Lui commentò: “Se fosse vero sarebbe di una gravità unica”. Oggi un colpo pesantissimo alla brillante carriera del giovane politico

Dopo il pasticcio, Renata Polverini convoca la conferenza stampa e dice: “Vinceremo lo stesso”. E’ una chiamata alle armi al popolo di centrodestra, un invito all’ottimismo. Avrà ragione. E Renata Polverini diventa governatrice del Lazio. Ma cos’era successo? La lista del Pdl era appena rimasta esclusa dalle elezioni regionali nella circoscrizione della Provincia di Roma. Un mistero mai del tutto chiarito, fatto di ricorsi, scambi di accuse, dichiarazioni furibonde alla stampa, minacce più o meno velate. E un convitato di pietra: Samuele Piccolo, il consigliere comunale arrestato oggi per associazione per delinquere e finanziamento illecito ai partiti.

LA STORIA – Sono le 12 dell’ultimo giorno utile per depositare in tribunale le liste per le elezioni regionali. Si presentano a piazzale Clodio i due incaricati del Pdl di Roma: sono Alfredo Milioni, il presidente del municipio XIX, e Giorgio Polesi. Si mettono in fila. Poi succede qualcosa, perdono tempo, fanno tardi e la lista viene esclusa (nessun ricorso riuscirà a farla riammettere nonostante in quelle ore il Pdl con il responsabile elettorale Ignazio Abrignani ostenti fiducia: “’non c’è nessun motivo per escluderci”).

IL RACCONTO DI MILIONI – ”Non mi hanno fatto rientrare, hanno fatto i matti, si sono messi a urlare, mi hanno spinto… Mi hanno minacciato, altroché. Qui si configura pure un reato”. Così in un’intervista al Corriere della Sera Alfredo Milioni dà la sua versione dei fatti per evitare il linciaggio pubblico – dentro e fuori il partito – a cui è sottoposto. E aggiunge: “Polesi è rimasto in fila – dice – mentre io passeggiavo fuori”. In quelle ore s’è detto che era uscito a mangiare un panino. “Quando sono entrato per prendere il posto di Polesi, lui si e’ chinato per darmi tutta la documentazione e abbiamo visto uno col telefonino che ci stava fotografando. Uno che si e’ definito radicale. Abbiamo iniziato a discutere e, litigando, ci siamo trovati fuori dalla linea Maginot. E’ stato creato ad arte un subbuglio per impedirci di presentare la lista. Io – ribadisce – non ho sbagliato niente”.

MA C’E’ UN’ALTRA VERSIONE – Ma non tutti credono a questa storia. E su come siano andate le cose ci sono molte versioni. Una la fornisce il senatore Mario Gasbarri, del Pd, che racconta: ”Ero presente – racconta – al Tribunale di Roma e ho potuto filmare l’episodio con il cellulare. Posso perciò documentare che intorno alle ore 14, quindi due ore oltre il limite di tempo consentito, le firme non erano state consegnate e giacevano abbandonate in un corridoio”. Poi c’è almeno una terza ricostruzione e riguarda Samuele Piccolo. Si racconta nei corridoi della politica che Milioni proprio mentre stava per presentare le liste abbia ricevuto una telefonata con un ordine ben preciso: il nome di Samuele Piccolo – mr preferenze, indipendente e quindi candidato scomodissimo per la lista di ex An ed ex Forza Italia – deve uscire dalla lista. Un colpo gobbo da compiere all’ultimo momento utile, quando ormai resterà solo il tempo delle recriminazioni.

SAMUELE PICCOLO – Samuele Piccolo non si scompone quando viene a sapere di questo fatto. E commenta con Affari italiani: “Quando ho letto che la lista del Pdl sarebbe stata presentata in ritardo perché qualcuno voleva cassare il mio nome in extremis per sostituirlo con quello di chi non si sa bene di chi, sono rimasto senza parole. Se fosse vera sarebbe di una gravità unica”. E aggiunge: “Spero si tratti di una semplice voce o di un pettegolezzo dell´ultima ora”. “Che il mio nome entrava e usciva dalla lista lo sapevano tutti. Ma siccome io non avevo chiesto di essere inserito nel listino bloccato, ma di misurarmi con il consenso, ho sempre pensato che alla fine ce l’avrei fatta”. E ricostruisce i fatti. Dice di essere andato la mattina alla sede regionale del Pdl insieme a suo fratello, di avere verificato in presenza dei coordinatori regionali e di quello romano la sua presenza in lista, di essersi accertato che non mancavano i certificati. Insomma, “Era tutto ok”. Poi il fattaccio. E se qualcuno ha voluto farlo fuori, ha fatto un danno all’intero Pdl. Poi la vittoria di Renata Polverini ha messo una pezza. Oggi un colpo pesantissimo alla carriera politica del giovanissimo consigliere comunale inventore della “festa dei nonni”. Commenta Samuele Piccolo i fatti delle regionali del 2010: “Bisogna dire la verità a tutti i cittadini del Lazio e alle migliaia di romani che mi hanno sostenuto alle precedenti elezioni”. Parole che oggi varrebbero ancora di più.

Un mare d’illegalità

Il quadro viene definito di «assoluta gravità». Tanto da essere necessario «richiamare la massima attenzione da parte di tutte le istituzioni». Prima che sia troppo tardi.
Legambiente parla così del Lazio nel dossier  “Mare Monstrum 2012”, appena pubblicato per descrivere lo stato di salute del mare e delle spiagge italiane.                 Le considerazioni sono amare:  «Abbiamo spiagge e panorami mozzafiato che fanno invidia al mondo», ma «siamo anche i principali nemici della salute e della bellezza del litorale italiano.  Siamo quelli che hanno riempito le coste di cemento, che scaricano in mare acque non depurate e veleni, che rapinano il patrimonio ittico, che sfruttano in ogni modo a fini privati un bene pubblico insostituibile». Certo, è una situazione che riguarda soprattutto il Sud, ma nel Lazio la situazione sta via via peggiorando: i numeri – ottavo posto in Italia con 141 illeciti, 202 persone denunciate e 68 sequestri eseguiti – lo dimostrano. Sono tante le situazioni segnalate da Legambiente:  da Fondi a Gaeta, da Ardea a Formia. E anche zone di pregio come San Felice Circeo, all’interno del Parco nazionale, o ambite mete turistiche come Sperlonga o Sabaudia finiscono al centro del dossier con sequestri e blitz che coinvolgono spesso anche gli amministratori locali.

A Sabaudia, solo per fare un esempio, ben 8 consiglieri su 20 «hanno avuto o hanno problemi con la giustizia, con denunce, processi e procedimenti in corso, per reati che vanno dallo smaltimento illegittimo di fanghi biologici all’abusivismo e al falso ideologico». Un quadro a dir poco desolante, che riguarda al momento soprattutto la provincia di Latina. Eppure, se bisogna parlare di spiagge e località balneari, nessuno può dimenticare il caso Ostia.  Qui, già nel 2004, il presidente onorario della Fai (la Federazione antiracket) Tano Grasso, all’epoca consulente del Comune, denunciava la presenza di «organizzazioni criminali chiaramente proiettate in una prospettiva mafiosa» nei settori strategici come la gestione delle licenze e delle attività dei lidi. Per non parlare del fiume di droga che, proprio dal Lido di Roma, entra nella Capitale. Fatti e circostanze più volte denunciati dalle relazioni della Dna e dai dossier delle associazioni antimafia. Eppure la situazione non appare oggi troppo diversa. Le decine di incendi dolosi degli ultimi anni e gli omicidi, pesanti dal punto di vista dello spessore criminale di alcune delle vittime, dello scorso inverno sono lì a ricordarci che le mafie non vanno in vacanza.