L’impegno antimafia a giorni alterni

A Fondi comandano i Tripodo. Prima lo sostenevano tra mille difficoltà soltanto le associazioni, qualche uomo politico e alcuni funzionari dello Stato. Adesso è scritto nero su bianco nella sentenza del processo Damasco 2 emessa dal tribunale di Latina nei giorni scorsi: le condanne sono state 23 (anche di politici, imprenditori e funzionari), dieci le assoluzioni.

Il quadro che emerge è inquietante. E ricostruisce le attività della cosca della ‘ndrangheta guidata dai fratelli Venanzio e Carmelo Tripodo che, scappati ormai qualche decennio fa dalla Calabria dopo avere perso la guerra contro i potentissimi De Stefano, hanno trovato nel basso Lazio il loro eden. Fatto di politici corrotti, funzionari accondiscendenti, imprenditori complici. Un sistema capace di incidere nella macchina comunale e di far proliferare gli affari dentro il mercato ortofrutticolo della città. Una classica storia di mafia e politica, in apparenza. Come tante in Italia. Ma in realtà una grande questione nazionale. Perché proprio a Fondi s’è consumata una delle pagine politiche più gravi dell’era berlusconiana.

Era il 2008 quando l’allora prefetto Bruno Frattasi sollevò il caso con una commissione d’accesso che chiese lo scioglimento del consiglio comunale targato Popolo delle libertà. Non andò così. Il consiglio dei ministri decise infatti di respingere la richiesta di scioglimento. Una decisione clamorosa, che trasformò il caso Fondi in una grande polemica nazionale e costrinse il centrodestra a cercare una exit strategy. L’escamotage trovato dal sindaco Luigi Parisella – uomo del potentissimo senatore del Pdl Claudio Fazzone – e dai “suoi” consiglieri fu quello delle dimissioni anticipate. Era l’ottobre del 2009. L’idea era quella di allentare la tensione e andare subito a elezioni. Strategia vincente, visto che anche il nuovo consiglio è a maggioranza Pdl e la rottura con il passato non appare così netta se è vero che il nuovo sindaco Salvatore De Meo commenta così la sentenza: “Non credo che l’Amministrazione comunale debba adottare nell’immediato alcun provvedimento, proprio in ragione del fatto che l’iter giudiziario non è ancora concluso”. Un’umiliazione per il ruolo della politica. In questo contesto, la sentenza di Latina restituisce un po’ di giustizia ai cittadini. E solleva un’altra questione: il silenzio di questi giorni, anche di chi in passato di Fondi s’era occupato, fa crescere la sensazione sgradevole che in politica è sempre più diffuso il cosiddetto impegno antimafia a giorni alterni, quello strumentale. Il peggiore che possa esserci.

Contro la mafia istituzioni nel caos

Gianni Alemanno che apre finalmente gli occhi, la richiesta di militarizzare la città, le strumentalizzazioni dell’opposizione, gli allarmi dei magistrati e le frenate del prefetto. I cittadini scossi per il duplice omicidio di Ostia non devono affrontare solo le mafie ma an- che il caos istituzionale. E se ne preoccupano, giustamente. Tuttavia devono abbandonare per sempre l’idea della delega antimafia, impegnarsi e provare a ripartire da questo big bang tentando innanzitutto di mettere in ordine i fatti e le analisi. A partire dal litorale: punta dell’iceberg e luogo in cui sembrano più forti e radicati i clan. Basta mettere in fila nomi come quelli dei Cuntrera-Capuano, dei Triassi, dei Senese, dei Fasciani per capirlo. Poi c’è la questione del duplice omicidio: “Sorcanera” e “Baficchio” erano uomini “di peso” e con rapporti stretti con gli uomini della Banda della Magliana (un fantasma che torna) come Paolo Frau ed Emidio Salomone entrambi uccisi. C’è anche il nodo delle istituzioni. Che sembrano vivere un momento di scollamento pesante. Con il capo della Dda Giancarlo Capaldo che alza il livello della preoccupazione e il prefetto Giuseppe Pecoraro che invece continua a parlare di “piccole bande”. Una dicotomia che genera smarrimento. E c’è la questione del mondo delle professioni e dell’impresa di cui colpisce il silenzio.

Poi la politica. E se appare persino imbarazzante l’osservazione del minisindaco di Ostia Giacomo Vizzani («sarebbe potuto accadere anche a Berlino»), si registra finalmente il capovolgimento di posizione di Gianni Alemanno. Che ammette che le spiegazioni (finora difese irresponsabilmente) della guerra tra bande sono «inaccettabili», che parla di rischio mafia e ipotizza persino che si paghi il pizzo (come solo Paese Sera ha soste- nuto per mesi). Certo, creano sconcerto la giustificazione del ritardo («mi era stato detto che si trattava di episodi isolati»), ma insomma meglio tardi che mai. Purché sia conseguente e spieghi la nuova posizione tra i suoi sodali. Dall’opposizione, salvo rare eccezioni, arrivano strali sguaiati e nessuna proposta vera. Adesso è davvero finito il tempo delle parole ed è giunto quello delle scelte, delle pratiche, delle posizioni inequivocabili. La politica deve assumersi fino in fondo le proprie responsabilità e fare della lotta ai clan una precondizione per l’agire. Con un’avvertenza, però: reiterare la richiesta di più poliziotti per le strade è una posizione rituale e stanca, che ha tanto il sapore dell’alibi.

(Mammasantissima, Paese Sera n.7, Dicembre 2011)

Ostia, il prefetto: solo piccole bande. Ma il pm: gruppi di alto livello

Quel che è certo è che i fatti di Ostia preoccupano, tutti. E lo si capisce immediatamente per il numero di reazioni, commenti, per il cambio di opinione repentino del sindaco della città Gianni Alemanno (che adesso, finalmente, non considera più la guerra tra bande una spiegazione soddisfacente su quanto accade), per la riunione ieri rinviata (e oggi subito convocata e svolta) del Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica a Ostia. L’esecuzione di “Sorcanera” e “Baficchio” in pieno giorno ha creato un terremoto: la speranza è che serva almeno ad affrontare finalmente il problema mafie in città e a non considerare il lido di Roma come un luogo che deve vivere di vita propria e risolvere da sé i suoi problemi. Pare ovvio in queste ore concitate in cui la procura antimafia e la polizia (con la task force investigativa per il litorale annunciata dal questore Tagliente) stanno facendo le indagini. Eppure non è per nulla scontato in una città in cui il fronte dei negazionisti (sulla presenza dei clan) è forte e influente, in cui la politica trasversalmente (da destra a sinistra, fatte le dovute e pochissime eccezioni) parla di problema sicurezza invocando soltanto l’intervento del ministro dell’Interno e chiedendo più poliziotti per le strade.

LE ANALISI ANTITETICHE – In queste ore si sprecano le analisi sui fatti di Ostia, emergono i legami strettissimi dei due uccisi con vecchi boss della zona (e della Banda della Magliana) come Paolo Frau ed Emidio Salomone (entrambi uccisi a Ostia dentro una scia di sangue che risale almeno al 1997 e iniziata con la lupara bianca per Salvatore Nigro), si fa la conta degli omicidi (33 dall’inizio dell’anno di cui una decina almeno di criminalità vera), si prova a tenere insieme (o a tenere incredibilmente staccati) i fatti più preoccupanti. Due – oltre a quella del sindaco Gianni Alemanno – tra le tante analisi sono interessanti. E servono a capire cosa accade in città, e nelle istituzioni della città. La prima analisi è del prefetto Giuseppe Pecoraro, che commenta con queste parole i fatti di Ostia uscendo dalla riunione del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza: “Il duplice omicidio di ieri mi preoccupa e non poco”, dice. Poi spiega: “Si tratta di piccole bande che cercano di occupare il territorio per avere l’esclusiva sullo spaccio di droga o comunque per fatti connessi al traffico di droga”. E aggiunge, per non essere in alcun modo frainteso: “Non é vero che le vittime appartenevano alla banda della Magliana. La banda della Magliana oggi non esiste più. Questi soggetti sono stati implicati in fatti legati al traffico di droga che é stato per loro letale. Le vittime erano giovani, per essere collegati alla banda della Magliana avrebbero dovuto avere almeno 70 anni. Non sono cani sciolti, ma neanche legati alla criminalitá organizzata. E’ una sorta di consorterie dedite al traffico della droga e al gioco”. Ribadisce infine: “Non c’è criminalità organizzata. Non siamo nè a Chicago nè nel Far West”. Del tutto antitetica, dissonante, diversa l’analisi del procuratore aggiunto di Roma e capo della Direzione distrettuale antimafia Giancarlo Capaldo: “Si è trattato di uno scontro evidente tra due gruppi criminali molto forti, uno scontro di un certo livello. Non vi è allo stato alcun collegamento con i fatti di sangue avvenuti negli ultimi mesi”. A proposito delle vittime chiarisce che “sono due personaggi profondamente inseriti nel contesto della criminalità organizzata di un certo significato, non marginale, insediata anche a Roma nel traffico di droga e usura già coinvolti in episodi di sangue e conflitti tra bande”. E infine: non si tratta di un “episodio da legare al controllo del territorio” ma da collegare “ai grossi affari economici tra soggetti in conflitto tra loro”.

QUALE ROMA – Sembra di leggere ragionamento, analisi, discorsi che riguardano fatti, luoghi, personaggi e crimini differenti. E la cosa fa un certo effetto, preoccupante. Intanto, mentre la preoccupazione e la tensione per gli abitanti di Ostia crescono vertiginosamente, l’allarme sociale comincia a diffondersi, a livello istituzionale la confusione regna sovrana. E crea disagio e smarrimento. Finora dal ministero dell’Interno targato Maroni l’analisi su Roma è stata completamente sbagliata, la speranza è che Anna Maria Cancellieri (che proprio ieri ha indicato nella lotta alle mafie una sua priorità) nell’incontro di domani ad Alemanno indichi la strada giusta. Il resto spetta alla politica, che deve partire da sé, non dalla richiesta di militarizzare le strade della Capitale.

(Paesesera.it)

Dimenticati vince il premio Indro Montanelli

“A fare l’Italia alcuni pochi italiani ci sono, senza e contro i più, riusciti. A fare gl’italiani, l’Italia, in centocinquant’anni, non c’è riuscita; anzi non ci s’è nemmeno provata”. Da “La stanza di Montanelli”, (Corriere della Sera, 19 giugno 1997). Italiani oggi. Cronache, inchieste, ritratti da un Paese tra sfiducie e voglia di speranza. Era questo il tema dell’edizione 2011 del premio di scrittura Indro Montanelli che è stato assegnato per la sezione giovani a Danilo Chirico e Alessio Magro, autori del libro “Dimenticati. Vittime della ‘ndrangheta” (Castelvecchi editore, 2010) e per la sezione alla carriera a Gianantonio Stella, inviato del Corriere della Sera.

Il riconoscimento, giunto alla quinta edizione, è organizzato con cadenza biennale dalla Fondazione Montanelli Bassi, con il patrocinio della Regione Toscana e del Comune di Fucecchio. Il premio è stato istituito nel 2001 per ricordare Indro Montanelli, giornalista e storico, e per riconoscere i meriti di personalità che si siano distinte nella divulgazione storica, nella memorialistica e nel giornalismo.

La giuria per l’edizione 2011 è composta da Francesco Sabatini, presidente onorario dell’Accademia della Crusca; Paolo Mieli, in rappresentanza della Fondazione Corriere della Sera; Marco Ballarini, per la Biblioteca Ambrosiana di Milano; Giovanni Sartori, accademico dei Lincei; Ferruccio de Bortoli, delegato dal presidente della Fondazione Montanelli.

La cerimonia di consegna del premio si svolgerà il prossimo 3 dicembre alle ore 11 a Fucecchio (Fi), città natale di Indro Montanelli.

La soddisfazione dell’associazione antimafie daSud: “Il premio a Danilo e Alessio è un riconoscimento importante per il lavoro articolato e faticoso svolto in questi anni per raccontare la verità sulla Calabria, la ‘ndrangheta – la più potente e sconosciuta delle mafie – le centinaia di vittime innocenti e dimenticate, l’anti-‘ndrangheta. Soprattutto sono premiati il nostro percorso e i nostri progetti, che tentano di ragionare sulla costruzione di un nuovo immaginario antimafia e di nuova identità meridionale”.