Mafie straniere e alleati in casa

La città dei patti. Tra la ‘ndrangheta e i sudamericani, tra la camorra e la mafia cinese, tra le gang capitoline e i croati. Roma è uno straordinario crocevia per gli affari delle mafie, nazionali e internazionali. Non è un mistero per nessuno ormai che tra le cosche calabresi e i narcotrafficanti messicani e colombiani si è stabilito un asse di ferro: grazie ai suoi rapporti privilegiati con l’America latina, la ‘ndrangheta importa (praticamente in regime di monopolio) tonnellate di cocaina da immettere sul mercato della Capitale. Il giro d’affari è spaventoso.

Esiste un patto anche tra la camorra e la mafia cinese, che gode di una grandissima liquidità di denaro contante da investire sul mercato. Lo ha detto recentemente il prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro, lo avevo già sostenuto nel 2006 il colla- boratore di giustizia Salvatore Giuliano, chiamato a deporre in queste settimane in un processo aperto nella Capitale. Il patto appare solido e riguarda il quartiere Esquilino e la zona di San Giovanni. Cinesi e campani, che avrebbero il quartier generale nello studio di un commercialista di piazza Vittorio, gestiscono la compravendita e l’affitto di appartamenti e immobili, controllano le attività commerciali, producono e vendono migliaia e migliaia di capi di merce contraffatta, fanno gigantesche operazioni di riciclaggio. C’è da tenere gli occhi bene aperti. Un patto criminale è stato siglato anche tra i Croati e i clan della mala romana. E si fonda su un imponente e tetro import/export: i carabinieri hanno infatti scoperto che una parte significativa delle armi usate nella Capitale veniva dall’ex Jugoslavia. Era possibile acquistare pistole, mitra, bombe e persino kalashnikov, esplosivo al plastico e missili terra-aria (a “soli” 40mila euro). A capo dell’organizzazione, secondo gli inquirenti, un ex calciatore di fama internazionale: l’ex difensore della Stella Rossa di Belgrado e della nazionale jugoslava Jasminko Hasanbasic, finito ad allenare una squadra nata sui campi di Tor di Quinto.

L’elenco delle mafie straniere che fanno affari in città non si chiude qui, ovviamente. La Direzione nazionale antimafia segnala anche le attività dei gruppi serbo-montenegrini, nigeriani, albanesi, rumeni che si occupano soprattutto di droga, prostituzione e rapine. E ci sono i nuovi ricchi che vengono dalla Russia e stanno nei circuiti finanziari e immobiliari più importanti. Ma la mafia a Roma non esiste.

(Mammasantissima, Paese Sera n. 6, Novembre 2011)

Mafie, Veltroni: “A Roma un soggetto nuovo”

Walter Veltroni è stato sindaco di Roma e oggi fa parte della commissione parlamentare Antimafia. Il suo, insomma, è un punto di osservazione privilegiato sulla Capitale. Parla di «infiltrazione di criminalità organizzata, della camorra e della ‘ndrangheta, particolarmente efferata e violenta» e aggiunge che «Roma e il litorale Pontino sono investite probabilmente dalla nascita di un soggetto nuovo».

Onorevole Veltroni, che cosa sta succedendo?

Roma è una città che purtroppo si sta ritrovando a vivere un incubo ad occhi aperti. Una Capitale in cui la destra ha investito sulla paura per vincere le elezioni e in cui si è voluto spezzare la coesione sociale tra le persone. Una situazione che tanto più lascia atterriti i nostri cittadini quanto più nei mesi della campagna elettorale dell’2008 furono ingannati sulla risposta che la amministrazione Alemanno voleva dare: il mito fasullo dell’ordine e disciplina. Oggi la situazione è insostenibile e la città è impoverita socialmente ed economicamente: i reati sono in aumento e toccano tutte le fasce sociali e i quartieri, senza distinzioni.

Dal punto di vista investigativo la sensazione è che ci sia un ritardo. Per un problema di uomini e mezzi. E forse perché si privilegia l’impiego delle risorse per l’ordine pubblico e perché manca un’analisi di sistema. Che ne pensa?

Il problema della carenza di personale e strutture c’è sempre stato ma nonostante questo l’impegno delle forze dell’ordine e della polizia amministrativa è stato sempre altissimo e capace anche di rimediare a questo: il nodo qui è di altro tipo visto anche che di fondi con i patti per la sicurezza ne sono stati messi in campo diversi. In primis esiste un tema politico di sottovalutazione del problema e di errata analisi: la repressione come la intende la destra è una misura superata e non più adeguata visto che la vera sicurezza oggi è quella basata sull’abbattimento dei fattori di rischio potenziale e sulla prevenzione a tutti i livelli e per tutti le tipologie di reato: dalla rapina alla criminalità organizzata. E poi non dimentichiamo la tendenza di questi anni da parte dell’amministrazione a negare il problema, facendo finta che non fosse mai esistito.

Che rapporti esistono tra l’imprenditoria, il mondo delle professioni, le banche e la criminalità organizzata?

La cronaca di questi mesi sta confermando anche a tanti “scettici” quello che da tempo stiamo dicendo in commissione antimafia: Roma è stata negli ultimi anni attraversata da una forte penetrazione mafiosa che coinvolge il tessuto economico ed imprenditoriale della nostra città trasformata dalla crisi in una gigantesca torta da spartire tra i clan adoperando la macchina del riciclaggio.

(nuovo Paese Sera – Ottobre 2011 – Intervista contenuta nell’inchiesta Capitale in nero)

 

Capitale in nero – L’analisi: sulle tracce dei killer

L’ultimo fatto riguarda Tor Bella Monaca e una bambina di dieci anni. Ferita, mentre cercavano di uccidere suo padre. Siamo arrivati fin qui, al sangue dei più piccoli. «Li abbiamo fermati in tempo», tranquillizza a giugno il prefetto Pecoraro parlando delle «piccole» ban- de che uccidono per le strade di Roma. Forse. Perché tra gli investigatori più esperti cresce la convinzione che «siamo di fronte a un innalzamento di livello» e soprattutto al fatto «che sono troppo pochi i casi risolti» (da ultimo, solo l’ag- guato del 2009 al boss della Banda della Magliana Emidio Salomone). L’errore, dice il segretario del Silp Cgil di Roma, Gianni Ciotti è «trattare l’omicidio come semplice omicidio, non andare a controllare cosa si sta muovendo dietro la città». E invece mettendo uno dietro l’altro gli omicidi, confrontando le dinamiche, incrociando vecchie e nuove inchieste appaiono con sufficiente chiarezza alcuni elementi che tengono insieme i fatti di sangue. Sono comuni i contesti criminali, sono analoghe le modalità delle esecuzioni: due perso- ne con casco integrale su uno scooter, la chiamata per nome della vittima, gli spari. «Così uccide la camorra», si lascia sfuggire un investigatore. Che avverte: «Ma a morire sono i romani».

Avviene con una certa regolarità almeno dal primo febbraio 1997. Da quando resta vittima di lupara bianca in uno scontro tra calabresi e campani un trafficante di droga come Salvatore Nigro, uomo vicino al cassiere della Magliana Enrico Nicoletti. A incontrarlo per ultimo è l’imprenditore Umbertino Morzilli, anche lui in affari con Nicoletti, coinvolto nel crack di Danilo Coppola e ucciso nel febbraio 2008 a Cen- tocelle. Un contesto torbido, fatto di droga e rapporti con le mafie, nel quale restano uccisi anche Gennaro Senese (anche lui nel 1997), Giuseppe Carlino (settembre 2001), il vecchio boss della Magliana Paolo Frau (18 ottobre 2002) e Michele Settanni (22 novembre 2002). Una scia di sangue che ci porta dritti al 2011. All’omicidio di Angelo Di Masi (al Prenestino, il 19 gennaio), all’assassinio di Simone Colaneri, il 27 luglio a Torrevecchia. All’agguato di Flavio Simmi, figlio di un gioielliere con contatti con la Banda della Magliana ma prosciolto da ogni accusa, freddato a Prati il 5 luglio.

«Lo stesso contesto di sempre», dice chi di morti a Roma ne ha visti tanti. Di sicuro «roba seria». Più in generale, «possono essere sgarri che finiscono nel sangue o una vera guerra tra bande», dice un investigatore. Magari per consolidare i rapporti con ‘ndrangheta e camorra. Di sicuro c’entra la droga, di sicuro molti – per via diretta o indiretta – lavoravano per le mafie. Di sicuro, se si vuole capire, sono fatti che per essere meglio compresi andrebbero inseriti in un quadro generale. Ancora non è così, purtroppo.

(Capitale in nero, Paese Sera n. 5, Ottobre 2011)


Sorpresa, a Roma ci sono i mafiosi

E’ la storia che si ripete. Seguendo in maniera mal- destra il canovaccio di sempre. A Roma si spara, si sequestrano locali in pieno centro, si ricicla denaro per miliardi e le reazioni sono sempre le stesse. Da venti anni, forse di più. Ripetitive, irresponsabili, sorprese. Eppure che anche a queste latitudini le mafie siano una realtà può essere una novità solo per chi finora non ha saputo o, peggio, voluto vedere. È il lontano 1991 quando la commissione parlamentare Antimafia scrive: «I fatti, meglio sarebbe dire i cadaveri che insanguinano la Capitale, danno ragione a chi sostiene l’esistenza in Roma di una criminalità organizzata operante secondo gli stilemi delle associazioni mafiose». Fa anche nomi la Commissione, spiega fatti e circostanze, ricostruisce scenari. Parole pesanti, che avrebbero dovuto mettere in guardia sin da allora. S’è preferito invece chiudere gli occhi, parlare di sensazionalismo, gridare al complotto contro l’immagine ferita della città. Come quando la Direzione nazionale antimafia – ormai chissà quante volte – ha rilanciato l’allarme nelle sue relazioni annuali, come quando (per fermarsi soltanto agli ultimi anni) nel 2009 Libera informazione di Roberto Morrione ha pubblicato il dossier dal provocatorio titolo “Mafia e cicoria”, come quando l’Osservatorio regionale presieduto da Enzo Ciconte ha mappato la presenza dei clan, come quando a sistematizzare l’influenza delle cosche ci ha pensato il Silp Cgil. O, ancora, tutte le volte che le inchieste dei magistrati capitolini hanno svelato nuovi intrecci e interessi. Fino all’audizione del procuratore Diana De Martino davanti alla Commissione criminalità del Consiglio regionale del Lazio, in primavera, agli arresti di Enrico Nicoletti e di Giuseppe De Tomasi (ma non era morta la Banda della Magliana?), alla confisca definitiva del Cafè de Paris.

Qualcosa non va se stupisce così tanto che a Roma si può sparare e uccidere in pieno giorno, se quasi nessuno va a fondo ai nodi economici e sociali legati ai clan. Non bastano le manifestazioni rituali, le parole di circostanza, gli allarmi generici, l’invocazione di più pattuglie per strada. Serve un’assunzione piena di responsabilità. Che ancora non c’è. Forse è per questa ragione che appare così grottesco vedere il sindaco Alemanno, in piena emergenza criminalità, saltare sulla moto e “andare a caccia” di squillo, chiedendo a gran voce una legge contro la prostituzione.

(Mammasantissima, Paese Sera n. 4, Settembre 2011)