1980-2010, fatti della storia d’Italia (che parlano all’oggi) / 4

Copertina - Le carte in regola

E’ il giorno dell’epifania quando viene ammazzato Piersanti Mattarella, il democristiano presidente della Regione Sicilia. Un omicidio grave, gravissimo. Che sconvolge la vita dell’isola e parla al Paese intero.

Piersanti Mattarella è un big, figlio di un big. «È figlio di Bernardo – ricorda Pierluigi Basile, autore del libro “Le carte in regola” (pubblicato dal centro studi Pio La Torre) – l’uomo di potere che ha costruito la Dc nell’isola».

«Essere un Mattarella lo svantaggiava – sostiene Basile – dentro il partito e all’esterno, dove il Pci lo guardava con pregiudizio». Fa una carriera fulminea Mattarella: nel 1967 viene eletto deputato regionale, nella seconda metà degli anni 70 «si rende protagonista di una nuova stagione di battaglie meridionaliste». Divenuto assessore al Bilancio, poi, «inizia un percorso di trasparenza amministrativa, quella che lui chiama “la politica delle carte in regola”. Prova cioè a rompere i lacci e i laccioli del potere politico peggiore e della mafia, a pulire i luoghi del clientelismo». Supera le diffidenze, avvia il dialogo con il Pci (del segretario regionale Achille Occhetto) e fa crescere una generazione di giovani tra cui emerge Leoluca Orlando. Il processo trova sbocco nel ‘78 quando diventa presidente della Regione a capo di un governo che ha anche il sostegno del Pci (che non entra in giunta): “la politica delle carte in regola” diventa quella ufficiale. Punta sulla programmazione e le risorse locali (scrive a Zaccagnini per motivare il suo “no” al Ponte), controlla le spese degli assessorati. Interviene anche nell’edilizia «opponendosi allo scempio del territorio che aveva portato al “sacco di Palermo”». Provvedimenti concreti che restringono gli ambiti di manovra delle cosche e dei ras della Dc. Nell’autunno ‘79 dispone un’inchiesta sugli appalti di sei scuole che a Palermo sono finiti in mano a sei ditte riconducibili al boss Rosario Spatola. Fatti su cui indaga anche il procuratore di Palermo Gaetano Costa, ucciso il 6 agosto.

La situazione è tesa, e Mattarella lo capisce. Ne parla anche al ministro dell’Interno Virginio Rognoni. Si impone la strategia dei corleonesi di Totò Riina e Cosa nostra nel ‘79 uccide il giornalista Mario Francese, il capo della squadra mobile di Palermo Boris Giuliano, il magistrato Cesare Terranova. Il cerchio si chiude con Mattarella.

«Se ragionassimo di fantastoria dovremmo chiederci cosa sarebbe successo se Mattarella non fosse stato ucciso?», si chiede Basile. La storia non si fa con i sé. Ma la Dc, che con Zaccagnini (e Mattarella, destinato a fargli da vice) sembrava orientata a continuare il dialogo col Pci, scelse invece Bettino Craxi.

Chi ha ucciso Mattarella? Si conoscono i mandanti (la commissione di Cosa nostra, i cittadini e i corleonesi, che interrompono il nuovo corso della Regione) ma resta un mistero sugli esecutori materiali. La moglie di Mattarella, Irma Chiazzese, riconosce come killer il terrorista nero Giusva Fioravanti che finisce anche in un’inchiesta di Giovanni Falcone. Forse Cosa nostra e terroristi hanno l’interesse comune a indebolire lo Stato e pensano di poter condizionare gli eventi. Forse non ci riescono, ma certo la Sicilia di Mattarella era diversa da quella di Cuffaro o di Lombardo.

1980-2010, fatti della storia d’Italia (che parlano all’oggi)/3

valarioti

 

In Calabria uccidono Valarioti e Losardo.


Un doppio colpo alla democrazia. E il destino della Calabria cambia per sempre. Accade nel 1980, quando ormai da qualche anno, strada per strada, si combatte un corpo a corpo feroce tra la ‘ndrangheta e l’anti-‘ndrangheta.
Da una parte le cosche che ormai stanno nell’economia, hanno messo i propri uomini nella politica, hanno persino cambiato le regole per entrare nella massoneria. Dall’altra parte quello il più forte movimento anti-‘ndrangheta della storia della Calabria con giovani, movimenti e pezzi della chiesa protagonisti e con un punto di riferimento politico ben preciso, il Partito comunista.
L’11 giugno 1980 cade sotto i colpi dei killer il 30enne Peppe Valarioti. Muore tra le braccia del suo amico e padre politico Peppino Lavorato. È il segretario della sezione comunista di Rosarno, Peppe. Gli sparano due colpi di lupara all’uscita da un ristorante in cui ha appena finito di festeggiare la vittoria del partito alle elezioni provinciali e regionali. La sua morte chiude una fase politica complicata, di scontri e di maldicenze, una campagna elettorale tesissima che hanno il loro culmine quando, nel mese di maggio, proprio mentre si celebrano i funerali della madre del boss di Rosarno Peppe Pesce, il Pci è in piazza a gridare contro la ‘ndrangheta e Peppe Valarioti pronuncia il suo testamento morale: “I comunisti non si piegheranno”. Peppe è un professore precario e un politico anomalo. È ambientalista, meridionalista e appassionato di archeologia. È un giovane intellettuale che si sporca le mani con l’impegno politico e civile: «Tocca a noi. Se non lo facciamo noi chi deve farlo?». 

Passano appena dieci giorni e il 21 giugno ammazzano Giannino Losardo, 54enne segretario della procura di Paola, assessore ai lavori pubblici a Cetraro. Lo uccidono di ritorno a casa dopo un consiglio comunale infuocato in cui annuncia le sue dimissioni dalla giunta e denuncia relazioni pericolose tra ‘ndrangheta e politica. Giannino è un politico con la schiena dritta, uno che quando incontra per strada il boss Franco Muto neppure lo saluta. Denuncia pubblicamente un coacervo di interessi che coinvolge magistrati, imprenditori, funzionari, uomini delle forze dell’ordine. Ai funerali di Losardo arriva Enrico Berlinguer. Pronuncia parole chiare, denuncia i pericoli per la democrazia e chiama in causa i partiti sani a fare fronte comune. Non viene ascoltato. La situazione sta precipitando, la ‘ndrangheta ha colpito al cuore la Calabria e il partito che più di ogni altro rappresenta l’argine ai clan. Il giugno del 1980 segna il passaggio simbolico dalla battaglia al riflusso (anche perché i processi finiscono entrambi con un nulla di fatto) e la ‘ndrangheta (già entrata nella stanza dei bottoni) rompe gli argini, impone il consenso, si impadronisce della Calabria e inizia la sua scalata verso l’Italia e il mondo. Inizia quel lungo cammino che la porta a diventare quella che conosciamo noi oggi.

1980-2010, fatti della storia d’Italia (che parlano all’oggi)/2 – Intervista allo storico Bevilacqua

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Considera la casualità come un dato di partenza per partecipare a questo ragionamento sul 1980: «Diamola per scontata», avverte. È un gesto di prudenza assolutamente necessario per uno studioso. Poi però concede: «Bisogna fare una riflessione di metodo: il caso fa parte della storia e non bisogna stupirsi se esiste una coincidenza di eventi che si somigliano, creano coerenza, appaiono collegati». E allora con il professore Piero Bevilacqua, ordinario di Storia contemporanea alla Sapienza di Roma, inizia una rassegna sui tratti distintivi del 1980. A partire dallo scenario internazionale. «È indubbio che il 1980 segna una fase nuova – dice – e non solo perché come storici, simbolicamente, vediamo il punto di partenza di una nuova fase del capitalismo e di riorganizzazione dello Stato», ma anche perché «effettivamente si entra in un decennio che segna una svolta di molti elementi». Spiega infatti che soprattutto negli Usa e in Gran Bretagna «si manifesta una crisi fiscale dello Stato sociale, i ceti medio-alti considerano sbagliata la progressività del sistema fiscale e troppo caro il welfare. Accusano di parassitarismo le fasce deboli». Basti pensare che «il sussidio di disoccupazione in Gran Bretagna è talmente ricco da disincentivare la ricerca del lavoro» e che complessivamente «la popolazione invecchia e pesa molto sul sistema pensionistico». Un quadro – che si aggiunge al fatto che il modello dell’Urss di Breznev «è incapace di indicare prospettive nemmeno per se stesso» – che «favorisce la politica di Margaret Thatcher (iniziata nel ‘79)» e spalanca le porte a Ronald Reagan nel 1980.

Ecco quindi l’analisi dello storico di origine calabrese: «Gli anni 80 sono l’avvio di una fase storica nuova – spiega – in cui il capitalismo e l’elite borghese propongono un nuovo progetto di società». Ricorda Bevilacqua: «Quando Reagan si insedia – insiste – pronuncia la famosa frase “Lo Stato non è la soluzione, lo Stato è il problema” che rappresenta una novità storica assoluta per l’Occidente». Su queste basi, unite a «un’economia bloccata», nasce una svolta, spiega Bevilacqua. «A questo punto qualcuno tira fuori dalla tasca una grande suggestione: la proposta neoliberista». Che significa «meno Stato e più libertà ai privati». Un messaggio di «promessa di arricchimento» che «si articola in liberalizzazioni e nella vendita di pezzi importanti dell’economia pubblica, un messaggio di libertà dalla burocrazia e dai vincoli». Un messaggio che fa presa su larga parte della società ed esercita la sua fascinazione anche «sui partiti della sinistra».

Naturalmente la situazione internazionale non può non esercitare la sua influenza anche sul nostro Paese: «In Italia c’è il blocco dei partiti – afferma Bevilacqua – con una Dc che è diventata partito-Stato e un Pci che è cresciuto ma non appare in grado di essere alternativa». La soluzione, sottolinea lo storico, «viene intravista in Craxi e in un piccolo partito che si presenta come portatore di un messaggio di modernizzazione neoliberista, di esaltazione del privato, dell’effimero, dell’arricchimento individuale». Lungo queste linee teoriche «nascono le famose esortazione di Craxi (“Italiani arricchitevi”) o realtà come “la Milano da bere”», rileva. Soprattutto lungo queste linee teoriche e politiche nasce il fenomeno Silvio Berlusconi. «Berlusconi si inserisce nell’alveo di questo mutamento epocale di cultura, psicologia, immaginario – osserva Bevilacqua – che inizia nel 1980 e si chiude con la crisi del 2008, come dimostra anche la “Breve storia del neoliberismo” scritta da David Harvey che, tra l’altro, dimostra che il Pil mondiale nell’ultimo trentennio sia cresciuto molto meno che nelle epoche precedenti». Su questo, il Bevilacqua-studioso precisa: «Voglio dire però che in nessuno degli scritti su Berlusconi, anche quelli molto seri, sono davvero evidenti i legami con il neoliberismo e la sfida che i ceti dominanti hanno lanciato alla sinistra e al movimento operaio». Aggiunge un’annotazione che andrebbe considerata nei commenti in voga in queste settimane sulla crisi di un’era politica: «Berlusconi finisce anche perché è finito il neoliberismo».

Poi il discorso torna agli eventi del 1980, ai tanti fatti importanti accaduti in quell’anno. «Diciamo che questa temperie storica – sottolinea Bevilacqua – unisce realmente gli episodi, li rende meno casuali, più figli dello stesso periodo». Poi aggiunge che visto che «dobbiamo calcolare la nostra soggettività e dobbiamo osservare anche che siamo portatori di idee di connessione» e visto che «conosciamo il sottofondo mondiale», possiamo «avere una lettura meno ingenua della casualità». Sono fatti importanti quelli del 1980, che – magari forzando un po’ le parole di Piero Bevilacqua – potrebbero avere (o trovare) una connessione. Quel che appare evidente è l’incidenza che hanno sulla realtà contemporanea, la capacità di proiettarsi nel 2010. Eppure, secondo lo storico, purtroppo parlano «pochissimo all’Italia di oggi. Perché viviamo in nell’epoca della dittatura del presente, in cui le notizie vengono consumate subito per vendere le nuove». Se questa classe dirigente avesse scelto di guardarsi indietro forse avrebbe capito qualcosa in più. «La storia aiuta sempre – sentenzia con un certo orgoglio Bevilacqua – e gli anni 80 fanno capire molte cose». È in quel periodo che «in Italia si arriva a un elevato grado di benessere ma con un crescente debito pubblico». In quel periodo cresce il mito individualistico «che ha impedito di fare due cose fondamentali: una legge urbanistica in grado di impedire il saccheggio del territorio e una legge per progettare i trasporti collettivi nelle città e tra le città e le periferie». Gli anni 80 mostrano insomma tutti «i limiti di una politica che esalta l’individualità privata e che fallisce». Non una battuta, ma un pezzo di un ragionamento più ampio, di un percorso di studio che l’ha portato a scrivere un libro (“Capitalismo distruttivo” in uscita per Laterza a gennaio) in cui «provo a fare il resoconto dell’ultimo trentennio». Il risultato è demoralizzante: «C’è meno crescita e più disuguaglianza», ci sono «il saccheggio del territorio, lo sfruttamento delle risorse del pianeta e il peggioramento della qualità della vita». E questa crisi strutturale, prevede, «è un disastro che durerà a lungo».

Ci sono altre due cose che alla fine della conversazione Piero Bevilacqua dice. La prima riguarda la partecipazione politica, e gli viene fuori sul filo del ricordo, della passione: «Nel 1980 siamo dopo l’omicidio di Aldo Moro: le Br entrano in crisi e tutta la responsabilità viene messa sulle spalle della sinistra, delle lotte per i diritti. Ricordo come fosse ieri – aggiunge – che pensare a una manifestazione di massa era considerato un atto politico osceno». La seconda si riferisce ai troppi misteri d’Italia, che nel 1980 hanno in Ustica e nella strage di Bologna due capitoli essenziali: «I misteri incidono sempre rapporto di sfiducia nelle classi dirigenti», tanto che «qualcuno ha teorizzato l’esistenza di un doppio Stato, uno reale e l’altro segreto». E in questo Paese «c’è un grande deficit di democrazia. Parte della classe dirigente è sempre stata infedele allo Stato e nei momenti di crisi ha cercato l’eversione. Vale per il fascismo, per i tentativi di colpo di Stato, per la strategia della tensione, per la P2». E chiude: «Anche Berlusconi è eversivo». Parola di storico.

1980-2010, fatti della storia d’Italia (che parlano all’oggi)/1

Avete mai pensato a quanti fatti sono accaduti nel 1980? E a quanto parlano all’Italia di oggi? Questo un lavoro pubblicato dal Quotidiano della Calabria domenica 18 dicembre. Un anniversario, il trentesimo, su cui riflettere.
Sono cinque pezzi: un riassunto dei fatti più importanti (che messi insieme fanno impressione per l’attualità che conservano), un’intervista allo storico Piero Bevilacqua, e tre pezzi di approfondimento su tre fatti di mafia avvenuti in Calabria, Sicilia e Campania.

Fatti che parlano all’Italia di oggi. Che magari hanno cambiato il corso della nostra storia e nessuno se ne è reso davvero conto. Fatti che hanno aperto scenari inaspettati e modificato equilibri politici. Che sono l’inizio, o l’inizio della fine, di un modello positivo. Che hanno ucciso e non hanno insegnato niente. Che hanno tracciato una strada dalla quale non si riesce a uscire. Che ci devono delle risposte e non ce le hanno date. Che raccontano un Paese che c’era e uno che c’è.

Fatti che sono accaduti tutti nel 1980. Per caso, certamente. Eppure, come dice nelle pagine successive il professore Piero Bevilacqua, «il caso fa parte della storia e non bisogna stupirsi se esiste una coincidenza di eventi che si somigliano, creano coerenza». Non sarà importante come il 1948 per la Costituzione, non come il ‘60 celebrato da Gabriele Salvatores, non come il 1968 o il 1977. Eppure il 1980 è importante. E a trent’anni di distanza, basta leggere d’un fiato i fatti, le date per capire che è stato un anno straordinario. Nel bene e nel male.
Parla, e parla molto, all’Italia di oggi, alle sue regioni con i conti disastrati (Calabria in testa), il fatto che il primo gennaio 1980 entra in vigore il Servizio sanitario nazionale che diventa presto un modello per mezzo mondo.

Il 6 gennaio viene assassinato a Palermo il presidente della Regione Siciliana Piersanti Mattarella, uomo nuovo della Dc. Guarda a sinistra e chiude le porte a Cosa nostra. Una bella differenza con la Sicilia di oggi. Sarebbe diventato vice di Zaccagnini e avrebbe continuato il dialogo con il Pci. La sua morte e il “preambolo” anticomunista di Carlo Donat Cattin hanno cambiato il corso delle cose.
Il 12 febbraio le Br uccidono il vicepresidente del Csm Vittorio Bachelet. Non è l’unica vittima del terrorismo. Cade anche il giornalista Walter Tobagi, molti altri. Una scia che va avanti fino al 31 dicembre quando viene ucciso il generale dei carabinieri Enrico Galvaligi. Il 22 febbraio viene assassinato dai fascisti lo studente Valerio Verbano. A marzo scoppia lo scandalo del calci-scommesse, probabilmente la prima crepa nello sport più amato dagli italiani.
Mettendo in parallelo il 1980 e il 2010 forse non è proprio un’eresia sostenere che idealmente Fiat ha iniziato a scrivere trent’anni fa la storia di Fabbrica Italia, dei diritti negati a Pomigliano, dei licenziamenti alla Sata di Melfi. Da maggio a ottobre succede di tutto, e sembra oggi: le vendite crollano, il duro Cesare Romiti (che pure non accetta il parallelo con Marchionne) prende il timone dell’azienda e annuncia subito migliaia di licenziamenti e di operai da mandare in cassa integrazione. Spunta persino l’idea di vendere all’estero l’Alfa Romeo. Il 14 ottobre accade l’incredibile: per le strade di Torino sfilano i 40mila colletti bianchi di Mirafiori. Naufragano le battaglie sindacali sotto i colpi dei vertici Fiat.

A giugno cambia il destino della Calabria e della ‘ndrangheta: l’11 viene assassinato il segretario del Pci di Rosarno Peppe Valarioti, dieci giorni dopo cade sotto i colpi dei killer l’assessore comunista del comune di Cetraro Giannino Losardo.
Poi è tempo di misteri, intrighi e verità nascoste. Il 13 giugno viene arrestato a New York il faccendiere vicino alla mafia Michele Sindona, il 27 giugno scoppia la guerra (?) sui nostri cieli e nella zona di Ustica un missile abbatte un aereo che trasporta 81 persone da Bologna a Palermo. Il 18 luglio viene trovato – e non si capisce il perché – un mig libico sulla Sila. La mattina del 2 agosto una bomba distrugge la stazione ferroviaria di Bologna e uccide 83 persone. L’8 agosto muore in un incidente d’auto il comandante della base aerea di Grosseto, primo di una serie di strani incidenti legati a Ustica. Pagine buie, a distanza di trent’anni, che raccontano di un Paese a democrazia limitata.

L’estate del 1980 è anche l’estate dell’omicidio (il 6 agosto) del procuratore della Repubblica di Palermo Gaetano Costa, ennesimo capitolo della strategia stragista di Cosa nostra.
C’è un altro evento importante nel 1980, che punta dritto al cuore dell’Italia di oggi: il 30 settembre appare per la prima volta su uno schermo televisivo il logo di Canale 5. Il presidente di Fininvest Silvio Berlusconi inizia la sua avventura di tycoon che lo porterà a monopolizzare il settore, a cambiare il linguaggio e le abitudini del Paese e poi a varcare il portone di Palazzo Chigi. Per la televisione italiana è un’annata da ricordare per almeno altri due motivi: il 21 aprile c’è la prima puntata di Mixer, il bel programma di Giovanni Minoli, a settembre Raitre invece manda in onda il Processo del lunedì di Aldo Biscardi che segna la nascita del calcio parlato.

Poi il protagonismo della camorra. Il 7 novembre a Ottaviano, il regno di Raffaele Cutolo, viene ammazzato il medico dei poveri e giovane consigliere comunale del Pci Mimmo Beneventano: si oppone alle speculazioni edilizie. L’11 dicembre viene ucciso il sindaco di Pagani, il democristiano Marcello Torre che paga il suo rifiuto di fare affari con i clan. In mezzo, il 23 novembre, la tragedia del terremoto dell’Irpinia che fa migliaia di morti, decine di migliaia di sfollati, miliardi di danni. È la sublimazione del sistema perverso che esiste tra inefficienze di Stato, appalti truccati, politica corrotta e dominio dei clan. Le notizie sinistre che arrivano oggi dall’Aquila, con i cittadini esasperati e le cricche e i clan a fare da padroni non sono proprio incoraggianti. Neppure a trent’anni di distanza l’accorato appello del presidente della Repubblica Sandro Pertini («Non vi lasceremo soli», disse ai campani terremotati) serve come insegnamento.

Il 2 Gennaio ospite del Premio Fava

Il 2 gennaio si apre a Palazzolo Acreide (Sr) il premio Giuseppe Fava, dedicato al direttore de “I siciliani” assassinato dalla mafia. Nel corso della prima giornata, alle 17,30 nella sala del comune, ci sarà anche un mio intervento. Con un’intervista in cui parlerò dell’associazione daSud, dell’archivio Stopndrangheta.it e dei libri Il caso Valarioti e Dimenticati. Vittime della ‘ndrangheta.
Il giorno dopo è prevista la presentazione del fumetto su Pippo Fava, di daSud e Round Robin Editrice, realizzato da Luigi Politano e Luca Ferrara.Ecco il programma completo:2 Gennaio 2011
– 10:30 Aula Consiliare del comune
[VISIONI URBANE: SQUARCI DI RESISTENZA]
Sonia Giardina – Documentarista, giornalista
– 17:30
[1991-2011 APA: 20 ANNI DI ANTIRACKET]
Paolo Caligiore – Presidente associazione palazzolese anti-racket “Pippo Fava”
Leonardo Licitra – Presidente giovani imprenditori confindustria Ragusa
Giorgio Straquadanio – Libera Coordinamento Ragusa
AddioPizzo Catania e Filippo Casella – Imprenditore che ha detto no al racket
Modera Massimiliano Perna – IlMegafono.orgIntervista a Danilo Chirico – giornalista, associazione “daSud”

– 21:30 BLOB – Contenitore Multiuso – Via Maestranza 28/30 Palazzolo Acreide
[MUSICA CONTRO LE MAFIE] – ingresso libero
Peppe Qbeta
LaPazzi

3 Gennaio 2011
– 10:30 Aula Consiliare del Comune
[GRAPHICNOVEL – L’ANTIMAFIA A FUMETTI]
Luca Ferrara – Fumettista
Lelio Bonaccorso – Fumettista e disegnatore
Luigi Politano – Giornalista
– 16:30
[Premiazione II Concorso scuole G. Fava: “La verita` in immagini e scritti”]
– 17:30
[PRESENTAZIONE DEL FUMETTO “Pippo Fava, lo spirito di un giornale” di L. Politano e L. Ferrara]
Luigi Politano – Giornalista
Luca Ferrara – Fumettista
Avv. Adriana Laudani
– 18:30
[DAL BENE AL MEGLIO: USO SOCIALE DEI BENI CONFISCATI ALLE MAFIE]
Armando Rosstitto – gia` dirigente scolastico ed assessore alla legalità ed alle politiche giovanili del comune di Lentini
Alfio Curcio – Cooperativa “Beppe Montana”
Giusy Aprile – Coordinatrice provinciale Libera
– 21:30 BLOB – Contenitore Multiuso – Via Maestranza 28/30 Palazzolo Acreide
[TEATRO CONTRO LE MAFIE] ingresso libero
“I Siciliani” – Magma Teatro

4 Gennaio 2011
– 10:30 Aula Consiliare del Comune
[GIORNALISMO A SUD: FORUM DI INFORMAZIONE LIBERA IN SICILIA]
Lavori in corso: UCuntu, StepOne, La periferica, I Cordai – Catania possibile – Magma – Il Clandestino – adEst – CorleoneDialogos – IlMegafono.org – La Civetta
– 17:30
[MISTERI E STRAGI, DA PORTELLA DELLA GINESTRA ALL’AGENDA ROSSA]
Claudio Fava – Giornalista, scrittore
Francesco Viviano – Giornalista per La Repubblica
Alessandra Ziniti – Giornalista per La Repubblica
Riccardo Orioles – Redattore de “I Siciliani”
Coordina Pino Finocchiaro – Giornalista di RaiNews24
– a seguire
[“IO HO UN CONCETTO ETICO DEL GIORNALISMO…”]
Gaetano Alessi – AdEst
Pino Maniaci – TeleJato
Gianluca Floridia – Coordinatore provinciale Libera Ragusa
Gabriella Galizia – Coordinamento Fava
Consegna del V premio Giuseppe Fava sezione Giovani “Scritture ed immagini contro le mafie”