Accanto al museo della Magna Grecia a Locri c’è un muro che è il muro della vergogna. Proprio lì hanno trovato il corpo di Giuseppe Tizian. Lo hanno trovato dentro l’auto, sul ciglio della strada. Hanno trovato l’arma del delitto, un fucile calibro 12, con matricola abrasa, caricato a pallettoni, abbandonata dietro un cespuglio 200 metri più avanti. Poi non hanno trovato più nulla. Il muro della vergogna e della dimenticanza.
Eppure le indagini erano partite col piede giusto. A caldo gli investigatori del commissariato di Siderno dissero che Peppe era un “funzionario integerrimo”. Una dichiarazione che già spiega in sé il movente, la dinamica, gli interessi e circoscrive la rosa dei potenziali mandanti.
Certo le prove sono altro dai sospetti. Le hanno subito cercate nel posto più ovvio, seguendo la pista dell’attività bancaria. Coordinati dal magistrato Carlo Macrì, i poliziotti sono andati in banca, hanno guardato fra le carte, hanno fatto qualche domanda ai colleghi di Tizian.
Tutti spaventatissimi e arrabbiati, tanto da serrare per un giorno le banche locresi e affidare alla stampa lo sfogo amaro di una categoria che “giornalmente, in maniera certamente emblematica, viene ad essere sottoposta a pressioni o minacce che, purtroppo, la classe datoriale, volutamente o no, finge di ignorare.
Tali episodi delittuosi rappresentano il degrado socio-economico, politico e istituzionale in cui versa la Locride, nonché l’intera provincia reggina”. Era venti anni fa e sembra oggi.
Omicidio passionale?
Tizian era separato dalla moglie, tanto basta a far circolare subito le voci tossiche e vigliacche dell’omicidio passionale, come sempre accade. Si uccide per la seconda volta con il fango sul morto ancora caldo. Ecco che il fascicolo del caso si riempie di accertamenti sulla vita privata e sentimentale, e la pista principale viene quasi abbandonata.
Non si arriva da nessuna parte. Che ci siano state o meno altre donne nella vita del bancario Tizian, resta un assurdo vuoto di indagini. La verità sta ancora tra quelle carte in banca, e la vergogna su quel muro.
Dal 23 ottobre dell’89 inizia per la famiglia di Giuseppe un lungo calvario, fatto di silenzi e ostilità. Di paura e solitudine. Di sacrifici per ricominciare e andare avanti. Le indagini a rilento, le strane richieste ai parenti impegnati nella fabbrica di famiglia. Fino all’incendio che ha distrutto tutto e ha imposto l’esilio volontario e la colpa di essere vittime.
I Tizian vivono oggi a Modena e tornano a Bovalino ogni estate. Per anni si sono tenuti dentro il dolore e la vergogna assurda e tutta calabrese di dover giustificare un morto ammazzato, colpevole fino a prova contraria.
Per anni, fino a un giorno come tutti gli altri di sei anni fa quando all’improvviso sono arrivate le lacrime: il figlio di Peppe, Giovanni, ha pianto per la prima volta a 21 anni, e da allora ha iniziato un coraggioso percorso di verità e di giustizia, personale e collettivo, facendo pace col passato.
Ha voluto studiare criminologia e dedicare mesi e sacrifici a un’ottima tesi sulla ‘ndrangheta (che è on line sull’archivio web Stopndrangheta.it), ha iniziato la carriera di giornalista e oggi si occupa di criminalità organizzata scrivendo per un quotidiano di Modena, dove nel frattempo la ‘ndrangheta ha messo radici.
Una ricerca di verità che è personale, ma anche e soprattutto collettiva. La voglia di dare un senso alla giustizia negata ha spinto Giovanni a cercare alleati. Ecco che inizia la collaborazione con Democrazia e Legalità, Liberainformazione.org e Rivistaonline.com, tre siti di informazione tematici.
Ecco che nel 2008 arriva la Lunga Marcia della Memoria – la manifestazione promossa dall’associazione daSud per ricordare le vittime della ‘ndrangheta – e il 22 luglio si va in processione a Pietra Cappa in Aspromonte. È un luogo mistico, che ha fatto innamorare i colonizzatori della Magna Grecia.
Lassù hanno trovato dopo dieci anni dal sequestro i resti di Lollò Cartisano. Dal 2003 la famiglia lo ricorda con una cerimonia semplice e toccante. Nel luglio di due estati fa insieme ai Cartisano c’erano i ragazzi stranieri del campo di volontariato di Libera Locride e quelli di daSud.
C’erano Deborah Cartisano e Stefania Grasso, due ragazze splendide e coraggiose che hanno deciso di proseguire le orme dei padri impegnandosi con l’associazione Libera. C’era Giovanni, che per la prima volta ha deciso di parlare davanti a tutti della sua storia. E la scorsa estate è toccato a Mara raccontarsi e ricucire i fili della memoria. Episodi intensi e commoventi di un lungo percorso di crescita e condivisione tra i familiari delle vittime, riuniti in tanti con Libera Memoria.
Per lo Stato Giuseppe Tizian è solo il nome di un fascicolo riposto in un archivio polveroso a Locri, tanto nascosto che ci è voluto un anno per ritrovarlo e consegnarlo alla famiglia. Un caso irrisolto, uno dei tanti. Un’altra ingiustizia da riparare.
Il primo passo è la richiesta del riconoscimento dello status di vittima della mafia, con le pratiche preliminari che la famiglia ha deciso adesso, e faticosamente, di avviare. Per fare chiarezza e per dare un po’ di sollievo al dolore.
Per la Calabria Giuseppe Tizian è ancora il nome dal sapore forestiero di uno sconosciuto. È per questo che la scorsa estate, durante la Lunga Marcia della Memoria 09 di daSud, vie e piazze di decine di città italiane sono state dedicate a Giuseppe e alle altre vittime delle mafie.
A Modena insieme ai Tizian e a Bologna con i parenti di Rocco Gatto (ucciso nel ’77 a Gioiosa Ionica), a Milano come a Roma, a Reggio Calabria come a Pordenone, Palermo e Napoli. Azioni pacifiche e colorate per intitolare simbolicamente i luoghi principali delle nostre città ai nostri migliori concittadini, quelli che hanno detto no e sono stati uccisi.
Per ridare vita alla meglio gioventù di questo sconsolato Paese occorre non dimenticare. Sono i Tizian ad insegnarci come fare. Ce lo hanno insegnato i ragazzi di Bovalino Libera, che con Deborah Cartisano, l’attore teatrale Nino Racco e Totò Speranza seppero scendere in piazza nel 1993 e dire al mondo che il loro non era un paese di sequestratori, ma di sequestrati.
Ce lo hanno insegnato don Luigi Ciotti e Libera, la grande associazione di associazioni che ha appena chiuso a Roma gli Stati generali dell’antimafia-Contromafie. Ce lo insegnano i risultati della Lunga Marcia della Memoria, di daSud, di Stopndrangheta.it. Basta volerlo e mettersi insieme.
Resta la vergogna su quel muro a Locri, nella terra che ci ricorda i fasti magnogreci. È lì da venti anni esatti. E va rimossa.
(scritto con Alessio Magro, pubblicato su Il Manifesto)