Roma, la mafia, le bombe e la paura di guardarsi dentro

La-nuova-Capitale_fullSono da poco passate le 21.30 del 14 maggio di venti anni fa. Due auto, una Mercedes e una Lancia Thema, stanno percorrendo una dietro l’altra via Ruggero Fauro, nel quartiere Parioli a Roma. Sono arrivate a una quindicina di metri dall’incrocio con via Boccioni che accade una cosa impensabile. E drammatica. Salta in aria una vettura imbottita di tritolo. L’esplosione violentissima ferisce una trentina di persone e danneggia auto e palazzi. Scampano per un soffio alla tragedia gli occupanti delle due auto. Sono il giornalista Maurizio Costanzo e la sua compagna Maria De Filippi con l’autista e gli uomini della scorta. Costanzo ha appena finito di registrare una puntata del suo celebre show di Canale 5.

Cosa è accaduto? È cominciata da Roma la stagione delle stragi di mafia nel Continente, fuori dalla Sicilia. È un anno drammatico, il 1993, che s’è aperto – il 15 gennaio – con la cattura misteriosa del capo dei capi Totò Riina. Il 27 maggio Cosa nostra colpisce a Firenze, in via dei Georgofili: salta in aria una Fiat Fiorino carica di esplosivo, uccide cinque persone e provoca danni gravissimi alle opere d’arte degli Uffizi. Neppure il tempo per leccarsi le ferite per un Paese allo sbando e l’offensiva delle cosche continua. Nella notte tra il 27 e il 28 luglio 1993 un’autobomba piazzata in via Palestro a Milano provoca cinque vittime. Contemporaneamente ordigni esplodono anche a Roma davanti davanti alla basilica di San Giovanni e alla chiesa di San Giorgio al Velabro. Per fortuna non ci sono morti. E nessuna vittima c’è neppure nell’ottobre ’93 quando allo stadio Olimpico durante una partita Cosa nostra piazza un’autobomba nella zona solitamente presidiata dai carabinieri. L’attentato fallisce solo per un guasto al telecomando.

Poi nulla più, il silenzio. Cosa sia accaduto davvero quel tragico anno (e nel 1992, a Capaci e via D’Amelio) e perché a un certo punto Cosa nostra abbia deciso di interrompere le ostilità nessuno lo sa davvero. Di sicuro Roma ha guardato la morte da vicino, di sicuro una sentenza della Corte d’assise di Firenze (non ancora definitiva) stabilisce che una trattativa tra la mafia e lo Stato “indubbiamente ci fu” e “fu assunta da rappresentanti delle istituzioni” con l’obiettivo di “far cessare la sequenza delle stragi”. Di sicuro, al di là delle polemiche violente e le tifoserie, nonostante due decenni di indagini e processi e grazie ad amnesie e depistaggi, l’Italia non trova la verità. Ha paura di guardarsi dentro.

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