1980-2010, fatti della storia d’Italia (che parlano all’oggi)/5

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Mimmo Beneventano

In Campania nel 1980 cadono Marcello Torre e Mimmo Beneventano.

Uccisi per l’impegno politico. E la scelta rigorosa di difendere il territorio, la trasparenza amministrativa, la dignità di un popolo. Sono Mimmo Beneventano e Marcello Torre, che la camorra ha voluto morti nel 1980. Due morti che dopo 30 anni richiamano al sindaco di Pollica, Angelo Vassallo, ucciso quest’anno.
Mimmo Beneventano è un medico con la passione per la poesia, «il medico dei poveri, che ha la porta sempre aperta», spiega Raffaele Sardo il giornalista che delle vittime della camorra ha dedicato il libro “Al di là della notte” (Pironti editore). Mimmo vive a Ottaviano, il paese del boss Raffaele Cutolo, e compie la scelta scomoda di impegnarsi nel sociale e di fare politica nel Pci. Diventa consigliere comunale nel 1975, viene riconfermato nel 1980. Lo ammazzano a 32 anni, la mattina del 7 novembre. È presto, Mimmo esce di casa per andare a lavoro. Lo freddano mentre sale a bordo dell’auto, davanti agli occhi increduli di sua madre Dora che vede tutto dalla finestra. I colpevoli del suo omicidio sono rimasti tra i segreti della Nuova camorra organizzata di Cutolo. Che non esiste più. Di certo, paga il suo impegno contro le speculazioni edilizie e gli appetiti dei clan in un territorio che si appresta a entrare nel parco nazionale del Vesuvio, paga la sua popolarità. Troppo per una camorra che nella gestione del consenso sociale ha una parte importante della forza. Dopo poche settimane, il 23 novembre, c’è il terremoto in Irpinia: una tragedia con migliaia di morti e intere città distrutte. L’affare del secolo per la camorra, che non può certo accettare resistenze. Per questo viene eliminato Marcello Torre, sindaco dc di Pagani (Salerno). «Gli propongono di entrare nel patto tra camorra e politica – spiega Sardo – per gestire la partita del terremoto. Lui non ci sta». È la miccia di una bomba innescata da tempo. Torre è un politico di razza (è stato consigliere provinciale) e viene minacciato già prima di diventare sindaco tanto da scrivere una eloquente lettera-testamento: «Temo per la mia vita. […] Torno alla lotta soltanto per un nuovo progetto di vita… Sogno una Pagani civile e libera». Troppo libera. Lo uccidono a 48 anni, l’11 dicembre. Il mandante è Raffaele Cutolo.
«Va ancora scritta questa pagina di storia della Campania – osserva Sardo – questi due importanti omicidi per molti anni sono stati sottovalutati: per la debolezza della società civile e della politica, perché la camorra veniva letta solo in chiave strettamente criminale». Un errore. Subito dopo quegli omicidi, «il modello Cutolo, dell’uomo solo al comando non regge più e gli scontri tra i clan si acuiscono» e nel 1984 scoppia la guerra con la Nuova famiglia, il cartello degli Alfieri e i Nuvoletta. «Si afferma un nuovo modello con un rapporto sostanziale con la politica», sottolinea Sardo. Sono gli stessi anni in cui una nuova generazione di campani comincia a vedere nell’anticamorra un motivo di impegno importante.

1980-2010, fatti della storia d’Italia (che parlano all’oggi)/3

valarioti

 

In Calabria uccidono Valarioti e Losardo.


Un doppio colpo alla democrazia. E il destino della Calabria cambia per sempre. Accade nel 1980, quando ormai da qualche anno, strada per strada, si combatte un corpo a corpo feroce tra la ‘ndrangheta e l’anti-‘ndrangheta.
Da una parte le cosche che ormai stanno nell’economia, hanno messo i propri uomini nella politica, hanno persino cambiato le regole per entrare nella massoneria. Dall’altra parte quello il più forte movimento anti-‘ndrangheta della storia della Calabria con giovani, movimenti e pezzi della chiesa protagonisti e con un punto di riferimento politico ben preciso, il Partito comunista.
L’11 giugno 1980 cade sotto i colpi dei killer il 30enne Peppe Valarioti. Muore tra le braccia del suo amico e padre politico Peppino Lavorato. È il segretario della sezione comunista di Rosarno, Peppe. Gli sparano due colpi di lupara all’uscita da un ristorante in cui ha appena finito di festeggiare la vittoria del partito alle elezioni provinciali e regionali. La sua morte chiude una fase politica complicata, di scontri e di maldicenze, una campagna elettorale tesissima che hanno il loro culmine quando, nel mese di maggio, proprio mentre si celebrano i funerali della madre del boss di Rosarno Peppe Pesce, il Pci è in piazza a gridare contro la ‘ndrangheta e Peppe Valarioti pronuncia il suo testamento morale: “I comunisti non si piegheranno”. Peppe è un professore precario e un politico anomalo. È ambientalista, meridionalista e appassionato di archeologia. È un giovane intellettuale che si sporca le mani con l’impegno politico e civile: «Tocca a noi. Se non lo facciamo noi chi deve farlo?». 

Passano appena dieci giorni e il 21 giugno ammazzano Giannino Losardo, 54enne segretario della procura di Paola, assessore ai lavori pubblici a Cetraro. Lo uccidono di ritorno a casa dopo un consiglio comunale infuocato in cui annuncia le sue dimissioni dalla giunta e denuncia relazioni pericolose tra ‘ndrangheta e politica. Giannino è un politico con la schiena dritta, uno che quando incontra per strada il boss Franco Muto neppure lo saluta. Denuncia pubblicamente un coacervo di interessi che coinvolge magistrati, imprenditori, funzionari, uomini delle forze dell’ordine. Ai funerali di Losardo arriva Enrico Berlinguer. Pronuncia parole chiare, denuncia i pericoli per la democrazia e chiama in causa i partiti sani a fare fronte comune. Non viene ascoltato. La situazione sta precipitando, la ‘ndrangheta ha colpito al cuore la Calabria e il partito che più di ogni altro rappresenta l’argine ai clan. Il giugno del 1980 segna il passaggio simbolico dalla battaglia al riflusso (anche perché i processi finiscono entrambi con un nulla di fatto) e la ‘ndrangheta (già entrata nella stanza dei bottoni) rompe gli argini, impone il consenso, si impadronisce della Calabria e inizia la sua scalata verso l’Italia e il mondo. Inizia quel lungo cammino che la porta a diventare quella che conosciamo noi oggi.

1980-2010, fatti della storia d’Italia (che parlano all’oggi)/1

Avete mai pensato a quanti fatti sono accaduti nel 1980? E a quanto parlano all’Italia di oggi? Questo un lavoro pubblicato dal Quotidiano della Calabria domenica 18 dicembre. Un anniversario, il trentesimo, su cui riflettere.
Sono cinque pezzi: un riassunto dei fatti più importanti (che messi insieme fanno impressione per l’attualità che conservano), un’intervista allo storico Piero Bevilacqua, e tre pezzi di approfondimento su tre fatti di mafia avvenuti in Calabria, Sicilia e Campania.

Fatti che parlano all’Italia di oggi. Che magari hanno cambiato il corso della nostra storia e nessuno se ne è reso davvero conto. Fatti che hanno aperto scenari inaspettati e modificato equilibri politici. Che sono l’inizio, o l’inizio della fine, di un modello positivo. Che hanno ucciso e non hanno insegnato niente. Che hanno tracciato una strada dalla quale non si riesce a uscire. Che ci devono delle risposte e non ce le hanno date. Che raccontano un Paese che c’era e uno che c’è.

Fatti che sono accaduti tutti nel 1980. Per caso, certamente. Eppure, come dice nelle pagine successive il professore Piero Bevilacqua, «il caso fa parte della storia e non bisogna stupirsi se esiste una coincidenza di eventi che si somigliano, creano coerenza». Non sarà importante come il 1948 per la Costituzione, non come il ‘60 celebrato da Gabriele Salvatores, non come il 1968 o il 1977. Eppure il 1980 è importante. E a trent’anni di distanza, basta leggere d’un fiato i fatti, le date per capire che è stato un anno straordinario. Nel bene e nel male.
Parla, e parla molto, all’Italia di oggi, alle sue regioni con i conti disastrati (Calabria in testa), il fatto che il primo gennaio 1980 entra in vigore il Servizio sanitario nazionale che diventa presto un modello per mezzo mondo.

Il 6 gennaio viene assassinato a Palermo il presidente della Regione Siciliana Piersanti Mattarella, uomo nuovo della Dc. Guarda a sinistra e chiude le porte a Cosa nostra. Una bella differenza con la Sicilia di oggi. Sarebbe diventato vice di Zaccagnini e avrebbe continuato il dialogo con il Pci. La sua morte e il “preambolo” anticomunista di Carlo Donat Cattin hanno cambiato il corso delle cose.
Il 12 febbraio le Br uccidono il vicepresidente del Csm Vittorio Bachelet. Non è l’unica vittima del terrorismo. Cade anche il giornalista Walter Tobagi, molti altri. Una scia che va avanti fino al 31 dicembre quando viene ucciso il generale dei carabinieri Enrico Galvaligi. Il 22 febbraio viene assassinato dai fascisti lo studente Valerio Verbano. A marzo scoppia lo scandalo del calci-scommesse, probabilmente la prima crepa nello sport più amato dagli italiani.
Mettendo in parallelo il 1980 e il 2010 forse non è proprio un’eresia sostenere che idealmente Fiat ha iniziato a scrivere trent’anni fa la storia di Fabbrica Italia, dei diritti negati a Pomigliano, dei licenziamenti alla Sata di Melfi. Da maggio a ottobre succede di tutto, e sembra oggi: le vendite crollano, il duro Cesare Romiti (che pure non accetta il parallelo con Marchionne) prende il timone dell’azienda e annuncia subito migliaia di licenziamenti e di operai da mandare in cassa integrazione. Spunta persino l’idea di vendere all’estero l’Alfa Romeo. Il 14 ottobre accade l’incredibile: per le strade di Torino sfilano i 40mila colletti bianchi di Mirafiori. Naufragano le battaglie sindacali sotto i colpi dei vertici Fiat.

A giugno cambia il destino della Calabria e della ‘ndrangheta: l’11 viene assassinato il segretario del Pci di Rosarno Peppe Valarioti, dieci giorni dopo cade sotto i colpi dei killer l’assessore comunista del comune di Cetraro Giannino Losardo.
Poi è tempo di misteri, intrighi e verità nascoste. Il 13 giugno viene arrestato a New York il faccendiere vicino alla mafia Michele Sindona, il 27 giugno scoppia la guerra (?) sui nostri cieli e nella zona di Ustica un missile abbatte un aereo che trasporta 81 persone da Bologna a Palermo. Il 18 luglio viene trovato – e non si capisce il perché – un mig libico sulla Sila. La mattina del 2 agosto una bomba distrugge la stazione ferroviaria di Bologna e uccide 83 persone. L’8 agosto muore in un incidente d’auto il comandante della base aerea di Grosseto, primo di una serie di strani incidenti legati a Ustica. Pagine buie, a distanza di trent’anni, che raccontano di un Paese a democrazia limitata.

L’estate del 1980 è anche l’estate dell’omicidio (il 6 agosto) del procuratore della Repubblica di Palermo Gaetano Costa, ennesimo capitolo della strategia stragista di Cosa nostra.
C’è un altro evento importante nel 1980, che punta dritto al cuore dell’Italia di oggi: il 30 settembre appare per la prima volta su uno schermo televisivo il logo di Canale 5. Il presidente di Fininvest Silvio Berlusconi inizia la sua avventura di tycoon che lo porterà a monopolizzare il settore, a cambiare il linguaggio e le abitudini del Paese e poi a varcare il portone di Palazzo Chigi. Per la televisione italiana è un’annata da ricordare per almeno altri due motivi: il 21 aprile c’è la prima puntata di Mixer, il bel programma di Giovanni Minoli, a settembre Raitre invece manda in onda il Processo del lunedì di Aldo Biscardi che segna la nascita del calcio parlato.

Poi il protagonismo della camorra. Il 7 novembre a Ottaviano, il regno di Raffaele Cutolo, viene ammazzato il medico dei poveri e giovane consigliere comunale del Pci Mimmo Beneventano: si oppone alle speculazioni edilizie. L’11 dicembre viene ucciso il sindaco di Pagani, il democristiano Marcello Torre che paga il suo rifiuto di fare affari con i clan. In mezzo, il 23 novembre, la tragedia del terremoto dell’Irpinia che fa migliaia di morti, decine di migliaia di sfollati, miliardi di danni. È la sublimazione del sistema perverso che esiste tra inefficienze di Stato, appalti truccati, politica corrotta e dominio dei clan. Le notizie sinistre che arrivano oggi dall’Aquila, con i cittadini esasperati e le cricche e i clan a fare da padroni non sono proprio incoraggianti. Neppure a trent’anni di distanza l’accorato appello del presidente della Repubblica Sandro Pertini («Non vi lasceremo soli», disse ai campani terremotati) serve come insegnamento.