Io mi chiamo Giovanni Tizian

Sostenere un giornalista minacciato dalle mafie e sotto scor- ta significa anche diffondere il più possibile le sue parole. Mammasantissima questo mese è scritta da Giovanni Tizian.

«Ispettore, ha visto che siamo brave persone, i beni ce li hanno restituiti!». Quei volti Leonardo ce li ha impressi nella mente fin da quando tirava calci al pallone per le strade del suo piccolo paese della Locride. Strade sterrate, bucate, lasciate in balia di voragini che devastano le sospensioni delle auto. Qui la cappa di ‘ndrangheta c’è, si vede, si respira. Quella stessa cappa che a Roma c’è ma non si vuole vedere. Che governa settori di eco- nomia legale e illegale. Per molti non esiste. Neppure quando gestisce la “dolce vita” romana, il fenomeno preoccupa, neppure quando il sindaco Alemanno finisce, senza saperlo e ignaro di tutto, a un party elettorale al Cafè de Paris – da qualche mese confiscato agli Alvaro di Sinopoli – con una potente famiglia di ‘ndrangheta. Perché preoccuparsi? “Non possiamo conoscere i loro trascorsi, i loro rapporti”, rispondono ormai numerosi i politici d’ogni parte d’Italia. Nel dubbio, i voti non hanno odore. Politici, anche indagati, che urlano «non sapevamo fossero boss», e ‘ndranghetisti che sanno benissimo chi hanno davanti. Sulla sicurezza si fanno campagne elettorali, sulle politiche antimafia no. Nonostante la ‘ndrangheta scippi il futuro nel silenzio di tutti, lo rubi al Paese, ai romani e a Roma, non solo ai calabresi. Ecco, appunto i calabresi, ne conosco tanti di onesti, a dire la verità conosco solo calabresi onesti, perché a nessun ‘ndranghetista ho stretto mani.

L’ispettore di quel piccolo borgo della Locride, era una persona onesta. E con il suo meticoloso lavoro aveva sco- perto che la ‘ndrangheta di San Luca, cuore dell’Organizzazione, aveva messo le mani nel petto della capitale d’Italia. Ha scritto rapporti, compilato informative, sequestrato beni e ristoranti. Quell’ispettore, nato e cresciuto nella Locride, sa di cosa sono capaci quei mammasantissima di San Luca che si fanno chiamare imprenditori, e godono di appoggi “imbarazzanti” nella Capitale. Oggi lavorano e investono in mezzo mondo i soldi guadagnati sulla pelle degli onesti. Talmente importanti che la spada della Legge si piega e non può nulla contro di loro, e all’ispettore non resta che subire il ghigno dei due “imprenditori” liberi e con i beni dissequestrati. La ‘ndrangheta a Roma non deve esistere, l’ispettore se ne faccia una ragione. Ma per altri che hanno letto quel rapporto, e numerose altre relazioni investigative, beh, a Roma la ‘ndrangheta c’è, e per chi l’ha vissuta nella provincia di Reggio Calabria, si vede anche.

Contro la mafia istituzioni nel caos

Gianni Alemanno che apre finalmente gli occhi, la richiesta di militarizzare la città, le strumentalizzazioni dell’opposizione, gli allarmi dei magistrati e le frenate del prefetto. I cittadini scossi per il duplice omicidio di Ostia non devono affrontare solo le mafie ma an- che il caos istituzionale. E se ne preoccupano, giustamente. Tuttavia devono abbandonare per sempre l’idea della delega antimafia, impegnarsi e provare a ripartire da questo big bang tentando innanzitutto di mettere in ordine i fatti e le analisi. A partire dal litorale: punta dell’iceberg e luogo in cui sembrano più forti e radicati i clan. Basta mettere in fila nomi come quelli dei Cuntrera-Capuano, dei Triassi, dei Senese, dei Fasciani per capirlo. Poi c’è la questione del duplice omicidio: “Sorcanera” e “Baficchio” erano uomini “di peso” e con rapporti stretti con gli uomini della Banda della Magliana (un fantasma che torna) come Paolo Frau ed Emidio Salomone entrambi uccisi. C’è anche il nodo delle istituzioni. Che sembrano vivere un momento di scollamento pesante. Con il capo della Dda Giancarlo Capaldo che alza il livello della preoccupazione e il prefetto Giuseppe Pecoraro che invece continua a parlare di “piccole bande”. Una dicotomia che genera smarrimento. E c’è la questione del mondo delle professioni e dell’impresa di cui colpisce il silenzio.

Poi la politica. E se appare persino imbarazzante l’osservazione del minisindaco di Ostia Giacomo Vizzani («sarebbe potuto accadere anche a Berlino»), si registra finalmente il capovolgimento di posizione di Gianni Alemanno. Che ammette che le spiegazioni (finora difese irresponsabilmente) della guerra tra bande sono «inaccettabili», che parla di rischio mafia e ipotizza persino che si paghi il pizzo (come solo Paese Sera ha soste- nuto per mesi). Certo, creano sconcerto la giustificazione del ritardo («mi era stato detto che si trattava di episodi isolati»), ma insomma meglio tardi che mai. Purché sia conseguente e spieghi la nuova posizione tra i suoi sodali. Dall’opposizione, salvo rare eccezioni, arrivano strali sguaiati e nessuna proposta vera. Adesso è davvero finito il tempo delle parole ed è giunto quello delle scelte, delle pratiche, delle posizioni inequivocabili. La politica deve assumersi fino in fondo le proprie responsabilità e fare della lotta ai clan una precondizione per l’agire. Con un’avvertenza, però: reiterare la richiesta di più poliziotti per le strade è una posizione rituale e stanca, che ha tanto il sapore dell’alibi.

(Mammasantissima, Paese Sera n.7, Dicembre 2011)

Il delegato antimafia rimasto nel cassetto

A Roberto Morrione, grande giornalista, che ha dimostrato il senso della parola libertà. Un riferimento vero per l’antimafia. Già ci manca.

 

«Mi sembra una proposta interessante», dice Gianni Alemanno. Poi aggiunge: «Non la conosco, la voglio approfondire». È il 28 ottobre 2010 e il sindaco risponde così a chi lo interpella sulla proposta di delibera del centrosinistra capitolino (primo firmatario Paolo Masini del Pd) che porta in Campidoglio – finalmente – il tema delle mafie. In tre modi: chiedendo l’istituzione del Delegato alla lotta alle mafie, di un Osservatorio permanente contro le mafie, di un corso di formazione ad hoc per politica e dirigenti del Campidoglio e dei municipi.

Sono passati più di sette mesi da quel 28 ottobre e della proposta del centrosinistra non si sa nulla. È sparita, se- polta in chissà quale polveroso cassetto, «nonostante il regolamento del consiglio comunale all’articolo 52 preveda il parere degli uffici competenti entro 15 giorni e il succes- sivo confronto in Commissione», sostiene l’opposizione. Un ritardo preoccupante, al di là delle norme regolamentari. Il sindaco non deve necessariamente concordare con la proposta: non è certo in discussione la sua autonomia di giudizio. Sarebbe però utile e opportuno capire cosa ne pensa (visto che l’ha giudicata «interessante» e da «approfondi- re») e soprattutto conoscere qual è la strategia antimafie dell’Amministrazione.

Perché l’emergenza è già realtà. La Direzione nazionale antimafia, nell’ultima relazione, descrive Roma come uno «snodo essenziale per tutti gli affari leciti ed illeciti» e spie- ga come i clan nella Capitale acquisiscano «anche a prezzi fuori mercato, immobili, società e attività commerciali nelle quali impiegano i capitali illecitamente acquisiti». Un’atti- vità che funziona proprio perché c’è basso allarme sociale: incomprensibile, visti gli arresti di boss, i sequestri di locali storici, l’aumento dei reati e persino dei fatti di sangue. Di fronte a tutto questo, cosa si segnala dal Campidoglio? Quasi nulla. A proposito dei soldi sporchi, Alemanno dice: «Il prefetto e la Camera di commercio devono costituire una task force per elaborare uno schema di controllo sulle attività economiche che possono risultare sospette». E una delibera di giunta lo autorizza a siglare un accordo con la prefettura. Davvero troppo poco.

(Paese sera, mensile giugno 2011)