Roma non più città aperta. La Capitale ai tempi di Alemanno

imagesI blitz squadristi dentro i licei “Giulio Cesare” e “Mameli”, gli insulti antisemiti sul web all’assessore del Municipio XI Carla Di Veroli, l’attacco al circolo Mario Mieli: sono soltanto gli ultimi episodi di intolleranza, razzismo e di apologia del fascismo che sono sempre più frequenti e preoccupanti. L’estrema destra si sente a suo agio in città e opera in maniera spavalda. E dalla destra istituzionale, che dall’estrema destra molte volte proviene, le prese di distanza appaiono soltanto di maniera e mai di sostanza.

Tutto nasce il giorno in cui Gianni Alemanno ha messo piede in Campidoglio, quando cioè festeggia in piazza la sua vittoria alle elezioni circondato senza troppo imbarazzo da tanti giovani, e meno giovani, che fanno il saluto romano. È quello il momento in cui la destra estremista o neofascista cittadina ha ritrovato (dopo la straordinaria sponda fornita da Francesco Storace governatore del Lazio) il crisma della legittimazione politica in città.

IL SALOTTO BUONO – È l’ingresso nel salotto buono. Così un numero impressionante di amici del sindaco, di vecchi camerati e missini, di esponenti della destra extraparlamentare o neofascista vanno a occupare posti chiave nella città che conta. Non è questo il luogo per raccontare le fin troppo note biografie di personaggi importanti come Antonio Lucarelli e Mario Vattani, Stefano Andrini e Francesco Bianco, Riccardo Mancini e Vincenzo Piso, Ugo Cassone e Alessandro Cochi, Vincenzo Piso e Giuliano Castellino, tuttavia è del tutto evidente che la macchina politica e amministrativa vicina al sindaco Alemanno (piena di crepe e che non ha certo dato prova di grandi capacità) è targata estrema destra. Non un reato, certo. Ognuno sceglie gli amici e i collaboratori che vuole. Ma un elemento significativo, pesante che ha creato un ambiente in cui i gruppi di neofascisti – tanti – che vivono in città si sentono a proprio agio, sanno di poter contare su punti di riferimento sicuri nel mondo delle istituzioni, dell’economia, della politica. Se a questo si aggiunge il modo criminogeno con cui la destra ha cavalcato il tema della sicurezza in campagna elettorale, le sortite intolleranti di Alemanno (e degli uomini e delle donne della sua giunta e del suo partito) nei confronti di migranti, rom e prostitute, il modo sprezzante e tutto mediatico di affrontare il disagio sociale seguendo una grottesca linea di “legge e ordine”, il disprezzo malcelato per i simboli dell’antifascismo e per la storia dei partigiani, le condanne di maniera (o le tirate d’orecchie) per i gesti razzisti o che incitano al fascismo, le conversioni sulla via di Damasco (che non hanno convinto nessuno) e il quadro è fatto.

UN QUADRO DEPRIMENTE – Ed è un quadro preoccupante e deprimente: racconta di una città che viveva una grande difficoltà e che – in preda all’ebrezza dell’evento – ha trascurato o voluto ignorare le sue fragilità e debolezze sociali ed economiche, politiche, pubbliche e private. In questa situazione precaria, l’arrivo della destra al governo ha dato un colpo fatale a Roma. Che sembra avere del tutto smarrito il senso di sé, non ha più rispetto per i suoi abitanti, oltraggia persino luoghi sacri come la scuola, tradisce la sua stessa comunità, prevarica e umilia i deboli, soffoca le differenze e le creatività, perseguita gli irregolari. Una città nera, in ogni senso.

TUTTO IN UN GIORNO – Succede allora che nella stessa giornata lo storico circolo omosessuale Mario Mieli denunci, ancora una volta, che “un gruppo di 4 ragazzi dalle teste rasate ha lanciato sacchetti di calce o gesso liquidi contro la facciata esterna del Circolo”. Succede che alcuni giovani che fanno capo a Blocco studentesco facciano blitz dal sapore squadrista nelle scuole “Giulio Cesare” e “Mameli” irrompendo al grido di “viva il duce” a volto coperto e armati di bastoni nei corridoi e nelle aule lanciando fumogeni. Succede che estremisti di destra vengano segnalati anche alla scuola “Avogadro”. E succede anche che sul web si trovino minacce gravissime per l’assessore del Municipio XI Carla Di Veroli che sul sito neonazista Stormfront viene definitita “omosessualista sfegatata” e “coccolanegri”. Ha una doppia colpa Di Veroli: s’è opposta all’intitolazione di una strada a Giorgio Almirante ed è nipote di Settimia Spizzichino, unica donna superstite della retata al Ghetto di Roma del 16 ottobre del 1943 (a cui, ha finalmente annunciato Alemanno, sarà dedicato il ponte dell’Ostiense). Tutti responsabilità del sindaco? Tutti fatti riconducibili alla macchina di destra che governa la città? Certamente no, non c’è nessun collegamento diretto. Ma non può essere una coincidenza se si contano a decine gli episodi di intolleranza, violenza, razzismo. Ci deve essere qualcosa che non funziona nell’ideologia che guida le scelte di questa giunta e di questa maggioranza, al di là delle dichiarazioni di queste ore (sul Mieli, peraltro, non ce ne sono state poi tante).

LA MOZIONE NON VOTATA – Meglio di qualunque commento, può spiegarlo la scelta – segnalata dal consigliere comunale del Pd, Paolo Masini – del gruppo Pdl e della Destra di non “sottoscrivere la mozione firmata da tutti gli altri gruppi che esprimeva solidarietà all’assessore Carla di Veroli e a tutta la comunità ebraica e che chiedeva inoltre la chiusura del sito Stormfront ed impegnava il sindaco di farsi promotore presso il Parlamento per l’approvazione di una legge che dia gli strumenti per perseguire i crimini informatici e la diffusione di idee che incitano all’odio razionale, all’antisemitismo e all’omofobia”. Replica il capogruppo Pdl Luca Gramazio: «Masini dice il falso. Ci mancherebbe altro: siamo pronti a votare la mozione di solidarietà a Carla di Veroli, vittima di attacchi inqualificabili e offensivi che meritano la condanna di tutta la città di Roma, anche nella prossima seduta consiliare. Perciò, preferiamo non rispondere ad inutili polemiche». Eppure la firma in calce alla mozione, che avrebbe permesso il voto ieri, non l’ha apposta. Nessuna parola di più. Solo che c’era una volta Roma città aperta. E che deve esserci ancora.