Cacun, reportage per Terra

daSud con Rigas (la Rete italiana per la giustizia ambientale e sociale) è a Cancun per il vertice Onu sui cambiamenti climatici (e i relativi controvertici). Ecco il mio reportage per Terra.
Sul sito reteambientalesociale.org gli aggiornamenti quotidiani e tutti gli articoli. La manifestazione del 7 dicembre è stata ripresa in tutto il mondo. Ecco la Bbc

rigas_resizeCANCUN – I giornali locali dicono che fa freddo. Alcuni lo strillano persino in prima pagina che quest’ondata durerà ancora per qualche giorno. A leggere i quotidiani di Cancun sembra di stare nel Nord Europa bloccato dalla neve. La realtà, naturalmente, è che le “rigide” settimane del vertice mondiale Cop 16 sul clima prevedono solo poche nubi e qualche raffica di vento. Sarà per questo presunto maltempo che i governi di tutto il mondo in arrivo in Messico non riescono a cogliere l’urgenza di trovare un accordo che arresti il riscaldamento globale?
Ironia a parte, è sufficiente che ministri e capi di governo alzino gli occhi al cielo o respirino un po’ più profondamente per cogliere il livello impressionante di smog nell’aria e capire che siamo ben oltre il livello di guardia.

Cancun è probabilmente la città più adatta dal punto di vista delle infrastrutturale a ospitare il Cop16 con centinaia di delegazioni provenienti da ogni parte del mondo, tuttavia è anche quella che – forse meglio di altre – esprime appieno le mille contraddizioni messicane e, in fondo, può essere portata a paradigma di un sistema economico e sociale da cambiare. A livello mondiale, e dalle fondamenta. Appena qualche decennio fa, infatti, Cancun, nello stato di Quintana Roo, era un tranquillissimo centro di pescatori che avevano trovato la loro dimensione in una zona quasi disabitata formata da una duna a forma di sette a due passi dai Caraibi. Un villaggio della penisola dello Yucatan, famosa in tutto il mondo per gli straordinari insediamenti Maya che (a Tulum o a Chiche-itza) resistono imponenti fino ai giorni nostri.
Poco più di trent’anni fa, la svolta repentina: il governo messicano per allentare la pressione su Acapulco decide di fare Cancun in una zona ad alta densità turistica. Bastano pochi anni e l’intera area con le paludi, le spiagge bianche e una vegetazione mozzafiato che si specchia sulla bellissima Isla Mujeres, diventa una città (con più di mezzo milione di abitanti) e si trasforma in una delle capitali mondiali del turismo, meta privilegiata di migliaia di ricconi soprattutto statunitensi e canadesi.

Lo capisci subito, appena scendi dall’aereo, dove ti trovi. Ad accogliere i turisti c’è un clima di festa che si materializza sotto forma di un gruppo di suonatori messicani con tanto di poncho, baffo e sombrero. Appena fuori dallo scalo, è un’invasione di taxi (migliaia girano tutta la città per pochi spicci) e pullman pronti a servire al meglio singoli o intere comitive. Percorrendo i pochi chilometri che separano l’aeroporto dalla città entri subito nel clima del vertice. La città è completamente militarizzata: ci sono decine di posti di blocco, controlli, rallentamenti. E la polizia federale si mostra fiera solcando le strade a bordo di suv Ford che sul retro trasportano cinque uomini in divisa blu armati di mitra rivolti in maniera inutilmente imprudente verso le auto o i pedoni. Quasi inutile precisare quanto sia presidiata la cosiddetta zona rossa, l’area del vertice ufficiale dei governi che – piccola curiosità – si scorge da lontano grazie a una pala eolica (la stessa del vertice di Copenaghen?) che gira a vuoto da giorni e vuole rappresentare il simbolo del cambiamento. Ci sono poi altre cinque zone – tutte lontane tra loro – che Cancun ha destinato al vertice. C’è Cancunmesse, l’area della fiera ufficiale, e Villa climatica, attrezzata dal governo per fare la faccia pulita e dimostrare al mondo il proprio impegno per l’ambiente (assolutamente deficitario per tutta la società civile messicana). Ci sono poi le aree riservate ai tre (!?) controvertici (una novità la divisione, dovuta alle scelte del movimento del Paese ospitante): il Klimaforum delle ong a Puerto Moleros, Dialogo climatico che ha allestito il villaggio a due passi dal palasport della scherma e via Campesina che sta al centro sportivo Canek. Spazi che non comunicano ma che potrebbero trovare nella manifestazione convocata per domani (7 dicembre) un punto di contatto. Per le strade, come sempre in questi giorni, anche Rigas, la Rete italiana per la giustizia ambientale e sociale, tra i protagonisti del controvertice.

Ma se si dovesse indicare la zona di Cancun più interessata dal vertice, forse paradossalmente, si dovrebbe indicare la zona hotelera: una striscia di terra stretta e lunga una manciata di chilometri – che sta in mezzo al mare di Cancun e collegata alla terra ferma da due ponti – su cui sembrano poggiati come giganteschi mattoncini della Lego ben 93 (novantatre!) hotel di lusso alti anche venti piani, casinò (ce n’è anche uno immenso, inaugurato poche ore fa, con fuori in bella mostra il coniglietto di Playboy), discoteche e ristoranti. Costruzioni imponenti che hanno alle spalle l’acqua della laguna con gli approdi per i motoscafi e davanti l’oceano Atlantico. Un unicum impressionante che ha modificato l’ecosistema, l’orizzonte, la stessa identità della città. È qui che alloggia la gran parte delle delegazioni ufficiali del vertice (davanti a ogni porta d’albergo è presente una pattuglia della polizia) ed è qui che lavora una parte davvero consistente della popolazione di Cancun impegnata come cuochi, camerieri, personale di hall, addetti alle pulizie. A questo proposito, i giornali sottolineano che il vertice ha salvato una stagione invernale che rischiava di essere fallimentare dal punto di vista delle presenze (e quindi dell’economia locale). Per la gente comune, l’unica possibilità di respirare la stessa aria dei ricchi.
Mano a mano che dalla zona hotelera ci si sposta verso l’interno, questa città priva di un centro storico diventa la zona residenziale della classe media. Fuori dal centro due diverse realtà: andando verso sud, si trovano decine di resort d’elite, parchi dei divertimenti e campi da golf. Andando invece verso l’interno, verso le sterminate periferie, ci sono i quartieri della stragrande maggioranza della popolazione locale che vive in abitazioni che somigliano più a capanne che a case. È in questa dicotomia che si mostrano tutti i paradossi, la sproporzione tra ricchezza e povertà del sistema economico e sociale messicano (e, in fondo, anche mondiale). Secondo una ricerca pubblicata nel 2006, il Messico – un solo dato può essere significativo in questo senso – è la seconda nazione al mondo, dietro gli Usa, per numero di obesi (il 24% della popolazione). Un dato eloquente sulla situazione generale, che diventa ancora più eclatante se accompagnato da alcune considerazioni. La prima riguarda il sistema sociale: per le strade di Cancun – tra minuscoli carretti di venditori ambulanti di cibo, Coca cola e bevande Nestlé, curiosi infopoint e minimarket – si vede una moltitudine di giganteschi centri estetici, palestre, farmacie e parafarmacie. Solo contarli produce un certo effetto di straniamento. La seconda è esemplificativa di un sistema economico alla deriva: il Messico, per le conseguenze nefaste sull’economia del Nafta (l’accordo di libero scambio firmato nel ‘94 con Usa e Canada), è oggi primo produttore al mondo di mais e, pure, è costretto a importare il 33% del suo fabbisogno.
Su questa problematica situazione strutturale, a Cancun proprio in questi giorni è caduta la tegola dell’allarme rifiuti. E interi pezzi di città somigliano molto alla peggiore Napoli. Molte zone periferiche e persino alcune mete turistiche (il visitatissimo mercato 28) sono letteralmente invase dalla spazzatura e circondate da discariche a cielo aperto. Un colpo ben assestato all’immagine patinata costruita sul lusso degli hotel sottolineato anche da alcuni giornali locali che polemicamente invitano a fare un giro virtuale per Cancun godendosi i cumuli di rifiuti anche attraverso Google Earth. Per questo è alta la tensione contro la società – la Domos Tierra – che ha avuto in concessione (per 37 milioni di pesos messicani) la raccolta dei rifiuti e che mostra tutte le sue insufficienze. Ma è solo una delle tessere del puzzle della precarietà di Cancun, di Quintano Roo e dell’intero Messico. Basti prendere a prestito le parole di Mario Herrera Moro, presidente dell’ordine dei geologi del Messico. Intervenendo al forum Cento proposte concrete per il cambiamento climatico, Herrera ha sottolineato la fragilità del territorio dello Yucatan, denunciato la presenza di discariche abusive e parlato di un sistema fognario al collasso e di corsi d’acqua contaminati. Un quadro ambientale pericoloso che determina un altissimo rischio di esplosioni – superficiali o sotterrane – di gas metano (già avvenute in alcuni villaggi attorno a Cancun) e che mettono a rischio la salute di centinaia di migliaia di persone. Gli ha fatto eco Jose Luis Luege Tamargo, direttore generale della commissione nazionale dell’Acqua: nonostante lo Yucatan sia la regione mondiale con più abbondanza di acqua, ha spiegato, gli abitanti rischiano di non averne più a disposizione. Almeno di quella buona. I veleni delle fabbriche e dei rifiuti accatastati nelle discariche abusive stanno contaminando in maniera irreparabile le falde acquifere e i corsi d’acqua. Con le conseguenze immaginabili per chiunque. È questo il Messico che ospita il Cop 16. Di questo sistema che precipita – qui e altrove – dovrebbero occuparsi i governi del mondo. Per capirlo, è sufficiente guardarsi attorno. Anche nella luccicante Cancun.

 

Cancun e il controvertice triplo

CANCUN – L’immagine più chiara la fornisce, forse involontariamente, Christina Figueres, la responsabile dell’Onu sui cambiamenti climatici. È il suo pianto a spiegare in maniera eloquente lo stato dell’arte al vertice Cop 16 di Cancun durante il quale i governi di 194 Paesi de mondo sono riuniti per affrontare la crisi ecologica e il riscaldamento del Pianeta. Figueres parla con i giovani che sono venuti al vertice messicano da tutto il mondo e a un certo punto scoppia in lacrime. Dice: «Non importa quale sarà l’accordo – commenta riferendosi all’intesa che potrà uscire dal vertice – perché è comunque pateticamente insufficiente». Introduce anche un elemento di umanità, raccontando di avere due figli di 21 e 22 anni, rivelando il suo sogno di farli vivere in un mondo migliore. Poi si asciuga gli occhi, spiega ai ragazzi che sarà la prossima settimana quella decisiva e chiarisce che non si dà per vinta, che si spenderà fino in fondo per cercare di convincere i governi della necessità di un impegno vincolante per il clima e a salvaguardia della Terra. Non ci crede Christina Figueres e in fondo non ci crede nessuno alla possibilità di un’intesa vera. Sono troppi i segnali negativi: dal fallimento della Cop 15 di Copenaghen alle deludenti attività preparatorie delle riunioni internazionali di Bonn (in Germania) e Tianjin (in Cina). Una situazione sempre più preoccupante, che riguarda tutti e che tutti pensano di risolvere semplicemente non affrontandola come se la crisi ecologica ed economica non fosse già realtà, non fosse già il frutto amaro di un sistema mondiale al collasso.
E stanno arrivando in migliaia a Cancun, da tutte le parti del mondo, a ricordare ai potenti del Pianeta che il sistema mondiale è ormai vicino al collasso, che è necessaria un’assunzione di responsabilità da parte di tutti. In queste ore sono già iniziate le prime proteste: un miniblitz di Greenpeace Messico ha sollevato il caso della zona di Quintana Roo, dell’aggressione delle attività petrolifere e turistiche, gli agricoltori hanno già lanciato l’allarme «ecocidio» a proposito del cementificio costruito nella zona dio Veracruz mentre alcuni movimenti di Cancun sono stati ieri mattina a protestare davanti al municipio. Sono solo le prime avvisaglie. Infatti il movimento ambientalista mondiale è arrivato in forze a Cancun e non mancherà di farsi sentire.

È diviso in tre tronconi, però, il movimento. Per tre controvertici con tre programmi e tre diverse attività (che probabilmente potrebbero trovare qualche punto di contatto in occasione della manifestazione convocata per il 7 dicembre per le strade di Cancun). Il primo dei controvertici è quello dei movimenti dei contadini e delle vittime ambientali che fanno capo a Via Campesina. Nel villaggio allestito nello stadio della città sono arrivate tre carovane – organizzate da Via Campesina e dell’Assemblea nazionale delle vittime ambientali (un’organizzazione che raccoglie centinaia di vertente ambientali messicane) – partite il 27 novembre e che hanno attraversato i luoghi simbolo del Messico convogliando i movimenti studenteschi e dei lavoratori. La prima carovana è partita da San Luis Potosì per denunciare la presenza di una miniera a cielo aperto che dovrebbe fare la ricchezza del territorio e invece, naturalmente, è un concentrato di veleno per il terreno e le falde acquifere. La seconda carovana è quella di Salto, luogo altamente contaminato per la presenza di un gigantesco polo industriale e di una discarica di ben 71 ettari che non rispetta nessuna norma di sicurezza. Alle carovane di via Campesina ha partecipato anche una delegazione italiana di Rigas (Rete italiana per la giustizia ambientale e sociale, che raccoglie oltre 60 organizzazioni da nord a sud). Via Campesina ha organizzato anche mobilitazioni dei movimenti di agricoltori in ogni parte del mondo «per creare migliaia di Cancun», mentre altre due carovane autonome sono partite in segno di solidarietà da Oaxaca e dal Chiapas. Il secondo troncone del movimento è quello di Dialogo climatico (che si riunisce in un villaggio allestito a due passi dal palasport della scherma), una realtà composta da centinaia di associazioni e comitati di base provenienti da ogni parte del mondo, che ha a cuore le sorti del Pianeta e che organizza un fitto programma di confronti e dibattiti sulla crisi ecologica mondiale provando anche a declinarla nelle realtà nazionali e locali. Il 5 dicembre uno dei panel principali – promosso da Rigas – è dedicato all’Italia e alla crisi (che naturalmente non è soltanto quella politico-parlamentare di questi giorni) del nostro Paese nell’era di Berlusconi. Significative rappresentanze italiane sono presenti anche nel terzo troncone del movimento ambientalista che dà vita al controvertice Klimaforum che ha trovato la sua sede nella zona di Puetro Morelos. Ci sono le delegazioni di numerose associazioni e ong tra cui Legambiente, Wwf e Greenpeace che s’è già fatta notare per la presenza della sua nave e perché il 29 novembre in apertura del forum ha lanciato un gigantesto pallone aerostatico nei cieli dell’antica città Maya Chichenitza con la scritta inequivocabile “Rescue the Climate”.
In questo clima si svolgono i lavori della Cop 16. Con il cuore e la mente che sta dentro i controvertici e l’economia che guida le scelte dei governi. Che sono a Cancun, ma che già puntano al Cop17 del prossimo anno a Johannesburg. A meno che le lacrime di Christina Figueres non facciano il miracolo.
4 dicembre 2010
Pubblicato sul quotidiano Terra