«Violenza efferata». Si esprime così nella relazione sul 2011 la Direzione nazionale antimafia a proposito della realtà di Roma. E tutti i cittadini che nell’ultimo anno hanno assistito a decine di omicidi e gambizzazioni non possono che essere d’accordo. Ma non c’è solo questo nella nuova relazione della Dna. Dall’analisi dei magistrati, infatti, emerge un quadro complesso e tutt’altro che lineare, che dimostra anche quanto siano ancora parziali le conoscenze sul nuovo crimine romano. La Dna spiega che molti omicidi del 2011 (ancora troppi senza una soluzione!) non sarebbero da ricondurre alla criminalità organizzata. Tuttavia, subito dopo, ammette che molte aggressioni «per le modalità esecutive, o per le caratteristiche soggettive delle vittime, o per l’esito delle attività di indagine, risultano invece maturate a seguito di contrasti insorti in un contesto criminale». A proposito delle organizzazioni criminali, la Dna chiarisce che non si può parlare di «nuova Banda della Magliana» perché non si segnalano egemonie e sottolinea la brutalità d’azione di gruppi autoctoni che si dedicano a usura, gioco d’azzardo e traffico di stupefacenti. Nello stesso tempo, la Dna elenca con preoccupazione le attività delle mafie: «L’edilizia, le società finanziarie e immobiliari e nell’ambito del commercio – la ristorazione, l’abbigliamento e le concessionarie di auto». Una presenza significativa dimostrata dall’arresto dei latitanti, «circostanza che presuppone la necessaria presenza di un “dispositivo criminale” idoneo ad assicurare la clandestinità degli stessi» e dai «provvedimenti di sequestro patrimoniale o di confisca», che servono «a dare la misura dell’infiltrazione criminale nel tessuto economico e finanziario».
La cornice appare unica (seppure certamente non omogenea), ma i magistrati continuano a leggere i fatti in maniera frammentaria e disorganica. Non è un caso forse che non esista una vera indagine sul quadro criminale romano, che le forze dell’ordine abbiano mezzi e organici ridotti all’osso, che le inchieste più rilevanti siano quelle delle procure del sud, che sui 201 procedimenti aperti dalla Dda romana nel 2011 in appena 10 – dato allarmante, vista la massiccia presenza dei clan – viene ipotizzato il 416 bis, cioè il reato di associazione mafiosa. Partendo da tutto questo, sarà interessante capire che direzione prenderà il lavoro della Procura con l’arrivo del nuovo procuratore, Giuseppe Pignatone, uno specialista – da Palermo a Reggio Calabria – di indagini antimafia.
(Mammasantissima, Paese Sera anno 2 n. 3, Marzo 2012)