Che farà l’Udc? Cinque certezze e 5 domande

Le elezioni si vincono al centro. E’ attorno a questo mantra che discute in maniera ossessiva il Partito democratico: meglio allearsi con l’Udc e lavorare al Monti bis oppure aprire alla sinistra di Nichi Vendola e, magari, Tonino Di Pietro? Su questo discutono i dirigenti nazionali misurandosi su formule e alchimie che poco o nulla hanno a che fare con il consenso popolare. Sulla rottura di questa discussione sta provando a rafforzare la sua leadership Pier Luigi Bersani, su una forte caratterizzazione di centrosinistra e con il baricentro fondato sul contatto con i cittadini aveva costruito la sua candidatura al Campidoglio Nicola Zingaretti, capace di parlare ai moderati senza però cedere sui principi.

L’IMPROVVISA EMERGENZA LAZIO ha cambiato le carte in tavola. Una volta spostate alcune pedine nella scacchiera, è infatti del tutto naturale che si riaprano discorsi che sembravano ormai archiviati. E questo anche perché a Roma e nel Lazio conta forse più che altrove il peso del mondo cattolico e delle gerarchie vaticane. Così tra Campidoglio e Regione torna centrale la discussione su che cosa farà l’Udc, su dove troveranno la loro collocazione i centristi, i moderati, i cattolici. Uno scenario che avrà naturalmente ripercussioni anche a livello nazionale dove Bersani e Casini continuano a darsele di santa ragione.

IN QUESTE ORE CONVULSE, nelle quali il quadro si complica, almeno cinque cose sono chiare (anche se non tutte hanno lo stesso segno) e possono servire a leggere le prossime mosse dei partiti, dei candidati, degli schieramenti. La prima è che il perimetro dell’alleanza a cui faceva riferimento la candidatura di Nicola Zingaretti a sindaco era formato da quattro partiti: Pd, Sel, Idv e Psi. C’era l’ambizione di aprire a esperienze civiche e ai moderati, c’erano spinte da parte di alcuni democratici all’apertura all’Udc ma il baricentro era chiaro. La seconda è che l’Udc nazionale punta a decidere la sua collocazione un minuto dopo il voto, quello regionale – sulla spinta del vicepresidente uscente della giunta Luciano Ciocchetti – è nel centrodestra, mentre a livello comunale (soprattutto tra quelli che stanno all’opposizione di Alemanno) in molti guardano a sinistra. La terza è che il Messaggero, giornale vicinissimo a Casini, ha scelto (per ora) di sostenere Gianni Alemanno e di contrastare Nicola Zingaretti. La quarta è che le gerarchie cattoliche sono state decisive nella fine dell’esperienza Polverini. La quinta è che la candidatura (probabile) del cattolicissimo Andrea Riccardi scuoterà gli equilibri della politica romana.

IN QUESTO QUADRO CONFUSO e suscettibile di repentini cambiamenti (come dimostrano le ultime ore), per capire il destino dell’Udc bisogna rispondere essenzialmente a cinque domande. La prima: la chiesa cattolica decidendo la fine del governo di Renata Polverini che prospettiva politica ha dato all’impegno dei cattolici in politica nel Lazio e a Roma. La seconda: Nicola Zingaretti nella costruzione dell’alleanza regionale che lo sosterrà (la sua candidatura dovrebbe passare dalle primarie di coalizione) ha intenzione di ripartire dallo stesso perimetro politico che lo voleva sindaco? La terza: quando il segretario regionale del Pd Enrico Gasbarra (da sempre favorevole a costruire una coalizione con i casiniani) dice durante la direzione regionale “Vi chiedo mandato per proporre alla coalizione di opposizione di poter mettere a disposizione” la risorsa Zingaretti “che puo’ guidare il nuovo percorso di cambiamento” si riferisce all’opposizione di Renata Polverini (e quindi non all’Udc) o all’opposizione di Gianni Alemanno (e quindi anche all’Udc)? La quarta: quanto la definizione della candidatura di Andrea Riccardi passa dalle gerarchie cattoliche e quanto dal governo Monti? La quinta: le primarie saranno ancora lo strumento per scegliere il candidato a sindaco del centrosinistra?

E’ SCIOGLIENDO QUESTI NODI (per nulla semplici) che si capirà dove andranno l’Udc e i pezzi della chiesa che non guardano direttamente al Pd. È sciogliendo questi nodi che il centrosinistra costruirà il suo futuro (e il rapporto con la sua gente), dal Comune alla Regione. Fino a Palazzo Chigi.

Elezioni, quote di genere e di generazione

Siamo nel Paese che discute della candidatura a premier del 76enne Silvio Berlusconi e del possibile governo bis di un signore, Mario Monti, che a marzo compirà 70 anni, in cui per i giornali è una notizia (sic!) la decisione di non ricandidarsi dell’ultraottantenne presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Siamo nel Paese in cui Giorgio La Malfa è deputato dal 1972 e in cui la trasmissione tv più nuova la conduce Pippo Baudo (classe 1936). Siamo nel Paese in cui un dibattito viene percepito come credibile solo se lo lanciano personaggi come Eugenio Scalfari (classe 1924) e il festival della politica come serio solo se parla Emanuele Macaluso (89 anni). Siamo nel Paese in cui Assunta Almirante (87 anni) è sui giornali tutte le settimane e Giorgio Albertazzi, a un passo dal compiere 90 anni, partecipa (vincendoli) ai bandi pubblici per la gestione di festival teatrali.

Storie di personaggi che (quasi tutti) hanno dato molto. E che adesso, se davvero hanno a cuore il destino dell’Italia, devono mettersi a disposizione del cambiamento. Davvero, e cioè mettendosi da parte. Un fatto che presupporrebbe lungimiranza e intelligenza di una classe dirigente che, complessivamente, è delegittimata dai fatti. Un fatto che presupporrebbe nello stesso tempo grinta e capacità di protagonismo da parte dei più giovani.

Dopo la crisi deprimente che ha travolto la giunta e il consiglio regionale del Lazio, dopo l’assalto rozzo di Beppe Grillo e furbissimo di Matteo Renzi, è partita una discussione – ancora parziale, soprattutto ipocrita – sulla necessità di cambiare il Paese rinnovando la classe dirigente. Le contestuali elezioni per il Campidoglio, per la Regione e per il Parlamento offrono una straordinaria occasione. Che, come cittadini, non possiamo sprecare.

Per questo i giovani romani e laziali devono ritrovare la speranza, lanciare la sfida e imporsi sulla scena pubblica. Contemporaneamente, però, i partiti si impegnino a fare la propria parte. Praticando la discontinuità, non enunciandola. Intervenendo in maniera decisa sulla questione di genere e su quella generazionale.

Ecco allora due proposte, semplici semplici, rivolte ai partiti (anche per le Politiche), ai candidati a sindaco – in primo luogo Gianni Alemanno e Nicola Zingaretti – e agli aspiranti governatori (che speriamo davvero siano scelti con le primarie). Due impegni che potrebbero essere assunti già in campagna elettorale. Nella compilazione delle liste si tenga conto di una quota di genere (per il 50%) e di una quota di generazione (ci sia una metà di candidati under 40). Gli stessi criteri siano adottati per la scelta degli assessori. Non si tratta naturalmente di avere una particolare passione per le quote (anzi!), né di cedere al banale ed estetico giovanilismo, quanto piuttosto di raccogliere il meglio delle sfide che vengono dalla società, dalle persone in carne e ossa (magari non quelle cresciute con il mito di Corneliu Codreanu). Piccoli gesti, per grandi cambiamenti. O la politica resterà travolta da se stessa. Per sempre.

Elezioni, che succede nel Pd?

La domenica è di quelle particolari e la politica che conta, una volta tanto, è lontana da Roma: Pier Luigi Bersani parla a Reggio Emilia e delinea il prossimo governo di centrosinistra che supera l’agenda Monti, Pierferdinando Casini interviene a Chianciano e dice che “dopo Monti c’è Monti”. Posizioni antitetiche, e apparentemente inconciliabili. Il premier è invece a Cernobbio e (non creduto da molti) continua a sostenere che è la primavera 2013 l’orizzonte del governo tecnico. In questo quadro, e con l’attenzione di tutti rivolta fuori dalla Capitale, nel pomeriggio una dichiarazione scuote la politica romana. Una domanda messa nero su bianco su un comunicato stampa esplicita quello che in tanti nel centrosinistra, e nel mondo dei movimenti che al centrosinistra guardano, dicono sottovoce. A porla è il consigliere provincile di Sel, Gianluca Peciola, sostenitore della prima ora di Nicola Zingaretti come candidato a sindaco di Roma. “Che succede nel Pd?”, chiede Peciola. E si spiega: “Le dichiarazioni di Gasbarra e di Marroni aprono scenari inquietanti e sembrano segnalare singolari e innaturali aperture all’Udc. Non vorremmo che il profilo civico e l’indipendenza dalle segreterie del partito da parte del presidente Zingaretti avessero creato scompensi nel sistema decisionale delle nomenclature del Pd”. Che tradotto, significa: l’apparato del Pd sta abbandonando Zingaretti? E per rendere più chiaro il suo pensiero evoca la clamorosa scontitta di Rutelli contro Alemanno.

Il riferimento è all’appello lanciato dal segretario regionale del Pd Enrico Gasbarra a “uscire dagli schemi precostituiti” nella costruzione dell’alleanza da contrapporre a Gianni Alemanno (o a chi sarà il candidato del centrodestra) alle prossime comunali. Parole che trovano il consenso di Umberto Marroni, che negli ultimi giorni s’è attirato più di qualche veleno e sospetto per una cena con il sindaco in un ristorante del centro scoperta dal Corriere della Sera. Il capogruppo Pd va oltre e traccia con precisione lo schieramento: le “forze di centro e di sinistra che oggi a Roma sono all’opposizione”.

Punti di vista certo legittimi, ma che curiosamente cadono proprio nel giorno in cui Casini e Bersani sembrano imboccare strade diverse. Punti di vista, quelli di Gasbarra e Marroni, che altrettanto curiosamente non citano mai la candidatura a sindaco di Nicola Zingaretti. E non dire, a volte, vale più di pronunciare mille parole.

Di qui la reazione pubblica di Peciola e un vorticoso giro di telefonate nel centrosinistra: che sta succedendo? E qualcosa forse accade se un politico esperto come il vicepresidente Udc della Regione Ciocchetti non si accontenta dell’apertura democratica, ma addirittura chiede l’azzeramento delle candidature in campo. Magari per proporre proprio un candidato centrista.

E se nel centrosinistra c’è una certa agitazione, non traspare nessuna reazione particolare dagli uomini più vicini al presidente della Provincia. Nessuno si stupisce delle frizioni interne al Pd, ma soprattutto si guarda con attenzione a Reggio Emilia: il fatto che Bersani abbia spinto sulle primarie nazionali non fa altro che legittimare ancora di più le primarie per la corsa a sindaco di Roma. Proprio il percorso auspicato da Zingaretti e su cui il presidente della Provincia lavora da molti mesi, sicuro della sua sintonia con i romani, nonostante le candidature di Patrizia Prestipino e di Sandro Medici, nonostante gli attacchi che provengono da pezzi dell’Italia dei valori e la freddezza di certi ambienti dentro Sinistra e libertà.

Quale che sia lo stato d’animo di Zingaretti, resta il fatto che le dichiarazioni di Marroni e Gasbarra un peso ce l’hanno e che l’aria negli ambienti politici si fa pesante. Pertanto forse non è un caso se in serata entrambi decidano di mandare alla stampa un nuovo comunicato. Gasbarra rilancia il suo progetto di alleanza oltre il centrosinistra e auspica la nascita di una “piazza democratica” che deve avviare “al più presto un grande percorso di ascolto per coinvolgere, in un programma di governo, tutte le forze politiche moderate deluse dal Pdl e alternative alla destra”. Marroni spiega che “è necessaria un’ampia alleanza di forze sociali e politiche di fronte al fallimento della destra al governo, forze che hanno collaborato all’opposizione e i tanti delusi della gestione fallimentare Alemanno”. Nessuna vera novità politica rispetto a quanto dichiarato poche ore prima. Questa volta però, in entrambi i comunicati, si fa riferimento alla candidatura di Nicola Zingaretti. “Un punto fermo”, per entrambi. Ed entrambi, curiosamente, pur facendo riferimento a percorsi di confronto democratico, non usano mai la parola primarie. Si vedrà.

E se su Zingaretti le tensioni – almeno ufficialmente – sembrano scemate nel giro di qualche ora, resta un nodo da chiarire: il rapporto con l’Udc e i confini dell’alleanza che dovrà sfidare Alemanno. Le posizioni dentro il Pd – come si evince leggendo le dichiarazioni di Gasbarra e Miccoli – partono da due punti di vista differenti, per certi versi contrapposti. La partita, anche su questo, è tutta da giocare. Sempre che i grillini non facciano brutti scherzi o che la discussione non venga rinviata al ballottaggio.