Un nuovo libro: Roma tagliata male

Roma tagliata maleAbbiamo scritto un libro (è un ebook che potete comprare sul sito della casa editrice Terrelibere.org e su tutti i principali store online), si intitola “Roma tagliata male” e ha un sottotitolo eloquente: “Il sistema droga: così le mafie succhiano il sangue della Capitale”, la cura è mia. Per la prima volta si pubblica un’inchiesta completa sul sistema della droga a Roma. E’ un lavoro collettivo, importante. E voglio ringraziare tutti quelli che hanno scritto: ci sono gli interventi di Igiaba Scego e Luca Manzi e ci sono i testi di Rosamaria Aquino, Diego Carmignani, Marco Carta, Danilo Chirico, Lara Facondi, Eleonora Farnisi, Chiara Gelato, Vincenzo Imperitura, Lorenzo Misuraca, Ambra Murè, Luigi Politano, Luca Salici e Carmen Vogani.
Tutti gli introiti vanno alla Mediateca antimafie intitolata a Giuseppe Valarioti che si trova nella sede di daSud in via Gentile da Mogliano 170 a Roma, nella zona del Pigneto.

Questa è la quarta di copertina di “Roma tagliata male”:

Un libro collettivo racconta per la prima volta l`impero della droga a Roma. I distributori, lo spaccio e il consumo. Ma anche un`economia parallela che alimenta e distrugge periferie e piccoli spacciatori, diffonde eroina, impone nuovi prodotti chimici. E mentre i cittadini chiedono “sicurezza”, non si parla di antiproibizionismo e le carceri sono piene di consumatori

Biscotto, Biondino e Pippetto girano su maxiscooter, pistole in mano come a Scampia. «Pjiamose Roma» è il loro motto. Sono i distributori. ‘Ndrangheta e camorra fanno arrivare la coca dal Sudamerica. I siciliani di Ostia si occupano dell`eroina. È la filiera della droga. All`ultimo livello, manovalanza violenta, poveracci che arrotondano, ma anche ultras e neofascisti. Maneggiano coca, menano e non contano niente. Cani da guardia con licenza di gambizzare. C`è chi garantisce impunità: «Le guardie sanno chi va bevuto e chi va lasciato stare». Le mafie non stanno nelle piazze di spaccio, le governano con i soldi. Non le fermeranno le videocamere o l`ossessione securitaria.

I monumenti della città turistica nascondono le cittadelle della droga. San Lorenzo e Pigneto. San Basilio e Tor Bella Monaca. Nel 2012 sono stati sequestrati nella capitale 5500 chili di coca. Un fiume bianco che stravolge la società e l`economia. La droga si sta mangiando Roma e succhia il sangue della città che in Italia ne consuma di più. I soldi del commercio illegale controllano pezzi sempre più consistenti di economia. Intere periferie vivono con le briciole dei traffici.

Eppure l`argomento è ancora tabù.  Non si parla di antiproibizionismo e le carceri sono piene di consumatori.

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Perché / #fattidimafia

Se loro spacciano abbiamo perso tutti – di Igiaba Scego

1.

1.1. La caduta degli dei

1.2. Un fiume in piena verso la città

1.3. Boss, broker, ultras e pesci piccoli: il sistema “a strati”

1.4 Prigione o vacanza dorata?

2.

2.1 Le piazze dello spaccio

2.2 Un funerale celebrato troppo presto

2.3. Tirare tutti, bene e finché dura

2.4. Chemical revolution

2.5. Alla ricerca di una nuova identità

3.

3.1. La droga dietro le sbarre

3.2. Leggi da buttare

4.

4.1. Trainspotting alla romana

4.2. La Roma delle pere e degli schizzetti

5.

5.1. Un sistema da rifare

Roma, la mafia, le bombe e la paura di guardarsi dentro

La-nuova-Capitale_fullSono da poco passate le 21.30 del 14 maggio di venti anni fa. Due auto, una Mercedes e una Lancia Thema, stanno percorrendo una dietro l’altra via Ruggero Fauro, nel quartiere Parioli a Roma. Sono arrivate a una quindicina di metri dall’incrocio con via Boccioni che accade una cosa impensabile. E drammatica. Salta in aria una vettura imbottita di tritolo. L’esplosione violentissima ferisce una trentina di persone e danneggia auto e palazzi. Scampano per un soffio alla tragedia gli occupanti delle due auto. Sono il giornalista Maurizio Costanzo e la sua compagna Maria De Filippi con l’autista e gli uomini della scorta. Costanzo ha appena finito di registrare una puntata del suo celebre show di Canale 5.

Cosa è accaduto? È cominciata da Roma la stagione delle stragi di mafia nel Continente, fuori dalla Sicilia. È un anno drammatico, il 1993, che s’è aperto – il 15 gennaio – con la cattura misteriosa del capo dei capi Totò Riina. Il 27 maggio Cosa nostra colpisce a Firenze, in via dei Georgofili: salta in aria una Fiat Fiorino carica di esplosivo, uccide cinque persone e provoca danni gravissimi alle opere d’arte degli Uffizi. Neppure il tempo per leccarsi le ferite per un Paese allo sbando e l’offensiva delle cosche continua. Continue reading

L’intervento al congresso nazionale di Md

Il 2 febbraio scorso sono stato invitato come presidente dell’Associazione daSud al congresso nazionale di Magistratura democratica (era al centro congressi Frentani di Roma). Un congresso difficile, di rilancio.
Qui il video del mio intervento.
Un congresso attraversato dalle polemiche sull’impegno dei magistrati (Ingroia su tutti) in politica. E con l’intervento straordinario, tra gli altri, di Luigi Ferrajoli.

Sulle tracce della banda

La Direzione nazionale antimafia nella sua relazione sul 2011 non ha espresso nessun dubbio: non si può parlare a Roma di una nuova banda della Magliana. E certamente non si può dire che la vecchia sia ancora quella di un tempo, non fosse altro che perché molti dei boss sono morti ammazzati.
Eppure mettendo in fila alcuni episodi degli ultimi mesi – e delle ultime settimane – si avvertono ancora forti e inquietanti i fantasmi della banda sulla vita della città.Il primo fatto è, naturalmente, la riesumazione della salma di Enrico “Renatino” De Pedis nella basilica dell’Opus dei di Sant’Apollinare al centro delle indagini per il rapimento della giovane Emanuela Orlandi, che ha visto negli ultimi giorni l’iscrizione nel registro degli indagati anche dell’ex rettore don Piero Vergari.

Ma a questa storia potrebbe essere collegato anche Giuseppe De Tomasi, alias “Sergione”, considerato il telefonista della Banda proprio nel caso Orlandi (anche se lui nega con forza come ha fatto da ultimo minacciando la giornalista di Chi l’ha visto Federica Sciarelli) che, pochi mesi fa, è finito sotto processo per usura ed estorsione.  Ma non c’è soltanto il caso Orlandi. A far discutere la città anche la scoperta che Raffaele Pernasetti, “er Palletta”, uscito dal carcere, faccia il cuoco a Testaccio in una trattoria dove, secondo un pentito, si riuniva la banda. Per non parlare,poi, del cassiere della banda Enrico Nicoletti (uomo che vanta, o millanta, rapporti con la politica e non solo, da Andreotti al Vaticano): per gli investigatori, non è mai uscito dal giro tanto che, nell’ultimo anno, è finito due volte in carcere.

Personaggi vicini alla banda sono stati protagonisti, recentemente, di altri episodi di cronaca. Come Angelo Angelotti, l’uomo che ha indicato De Pedis al killer che lo ha ucciso nel ‘90, assassinato durante una rapina a Spinaceto.  O come Vittorio Di Gangi, “Er Nasca”, considerato vicino a Nicoletti, arrestato con l’accusa di essere il capo di un’organizzazione di usurai. O, ancora, come Fabiola Moretti, la pentita della Magliana, arrestata per droga. Certo, si tratta di vicende scollegate, frutto di dinamiche diverse. Eppure forse non è un caso che sullo sfondo ci sia sempre la banda che ha spadroneggiato a Roma tra gli anni 80 e 90. E neppure che tutto questo torni d’attualità, ciclicamente. Come se la città non avesse risolto mai del tutto i suoi conti con il passato. Anche per questo, forse, è bene guardare dritto in faccia le mafie, senza suggestioni e dietrologie. Oggi, prima che sia troppo tardi.

“Mafie? Attenzione ai bank officer occulti”

Roma caput mafie come sostengono i magistrati della Dda o Roma che resiste al tentativo di infiltrazione dei clan come sostengono il prefetto, il questore e larga parte del mondo politico? Una domanda che ha un andamento carsico e che in queste ore torna di attualità per l’omicidio, pesante, di Flavio Simmi a Prati e per il sequestro alla ‘ndrangheta dello storico Caffè Chigi. Una domanda alla quale bisogna provare a dare una risposta “uscendo dagli schemi retorici”, mettendo insieme i pezzi, “costruendo uno sguardo d’insieme”. Parola di Maurizio Fiasco, sociologo ed esperto di mafie nella Capitale che il suo primo rapporto sulla criminalità romana l’ha scritto nel lontanissimo 1983. “Ci sono molti mafiologi che non studiano – dice subito – e personaggi che non vogliono che si studi”. E invece i fatti sono l’orizzonte da cui partire per tentare di decifrare le mafie romane.

“Ci sono una notizia buona e una cattiva”, dice. Quella buona è che il livello di comprensione e di investigazione oggi è molto elevato”. Che significa che sia i magistrati della procura “sia le tre forze di polizia hanno capacità, competenze e consapevolezza per affrontare il fenomeno”. La notizia cattiva rigurda invece la parte amministrativa e ispettiva: “Sta qui il vero buco, la vera falla di un sistema che mostra di essere arretrato, evanescente”. Perché, Fiasco ne è convinto, “il vero contrasto alla criminalità organizzata deve tenere insieme la risposta giudiziaria e la risposta gestionale a proposito della cosa pubblica e della programmazione degli investimenti”: se un sistema burocratico e amministrativo è impermeabile “il mafioso capisce che non deve neanche tentare di infiltrarsi”. E invece è “del tutto insufficiente l’apparato ispettivo nelle Asl, nel mercato del lavoro, nel contrasto all’abusivismo e agli illeciti ambientali. E un territorio estremamente vulnerabile come quello romano – sottolinea il sociologo – diventa estremamente attrattivo per la criminalità”. C’è poi un altro elemento che non si può sottovalutare nelle cause che aprono le porte ai clan nella Capitale: la disponibilità straordinaria di denaro liquido. “La crisi delle piccole e medie imprese ha ricreato – afferma Fiasco – un ampio mercato dell’usura e della rilevazione a prezzi da rottamazione di realtà imprenditoriali che un tempo erano redditizie e oggi sono in difficoltà”. Ma c’è una “specificità romana” che rende tutto più complesso, più vischioso, più pericoloso: “Esistono bank officer in nero, occulti” che permettono quattro tipi di operazione: “la scomparsa e poi la reimmissione nel sistema finanziario ed economico del denaro proveniente dall’evasione fiscale, quello frutto della corruzione (da parte di chi paga o di chi riceve tangenti) e che consente di riciclare il denaro sporco”. Si tratta di professionisti “senza peli sullo stomaco che sono capaci di dematerializzare la ricchezza perché, bisogna essere chiari, a certi livelli i soldi non si mettono sotto il mattone”, si tratta di professionalità “che in passato venivano offerte persino alla mafia russa”. Un quadro inquietante, su cui si fonda il sistema criminale della Capitale (che gestisce i grossi flussi di quattrini che arrivano dal Sud e dall’Europa). Concretamente. “Le ipotesi investigative su diverse inchieste romane hanno rivelato che esistevano uno specialista degli investimenti o persino una intera struttura di servizio capaci di nascondere il reddito o di impiegarlo in nero per sfuggire ai controlli”. Un quadro generale di vulnerabilità al crimine che va oltre gli stessi clan. Come non pensare, ad esempio, a servizi analoghi a quelli di consulenza che si ipotizzano per Pambianchi e socio, o per Lande, il cosiddetto “Madoff dei Parioli”?

Dall’altro lato, gli omicidi sono solo il segno di un sistema che sta cambiando, che si sta trasformando, ma è altrove che bisogna guardare. Siamo di fronte al ritorno della Banda della Magliana? Anche qui bisogna evitare inutili esercizi retorici anche se – certo – i nomi, le zone geografiche, i contatti, il gergo, molte altre cose sembrano legare la nuova criminalità romana con quella che ha caratterizzato gli anni Settanta e Ottanta. “Le rapine e la verticalizzazione dei mercati criminali hanno andamenti ciclici – spiega Fiasco – prima si forma una generazione di rapinatori che poi acquisisce nuove competenze sul territorio. A quel punto è matura per passare ad altri affari. Si tratta del ciclo evolutivo della criminalità: che prevede la formazione di un soggetto autoctono. Esso ha un riferimento antropologico che noi siamo tentati di sottovalure, mentre invece in certi mondi ha grande importanza. Il richiamo allora è mitico, ma non c’è un’affiliazione diretta nonostante una certa coincidenza di territori e di quartieri”. Di sicuro, però, per non correre il rischio di finire di nuovo nelle mani di una Banda della Magliana, è necessario, secondo Fiasco, “bloccare le opportunità che hanno permesso a quella banda di ingrandirsi”. Un esempio? Le sale da gioco: “Quando nel 1991 abbiamo lavorato alla relazione della commissione parlamentare antimafia con il presidente Gerardo Chiaromonte – spiega – il gioco d’azzardo era tutto illegale. Oggi la disseminazione sul territorio delle sale da gioco  offre occasioni sia per sviluppare il racket sul territorio sia per coprire il gioco in nero con quello legale”. Ovviamente non si tratta solo di questo. Una mappa possibile delle attività dei clan guarda a tutta la città: “l’usura legata all’abusivismo e i capitali sporchi nella creazione di case di riposo in periferia, l’occupazione degli esercizi commerciali prestigiosi al centro, le bande giovanili che riproducono un certo sistema gangeristico urbano in molti quartieri della città e le attività minori affidate alla malavita straniera”. Questo il quadro della mala romana. Con un ruolo specifico di certa borghesia e di certi professionisti. Con la miopia sconcertante della politica.

(Paesesera.it)