L’ultimo fatto riguarda Tor Bella Monaca e una bambina di dieci anni. Ferita, mentre cercavano di uccidere suo padre. Siamo arrivati fin qui, al sangue dei più piccoli. «Li abbiamo fermati in tempo», tranquillizza a giugno il prefetto Pecoraro parlando delle «piccole» ban- de che uccidono per le strade di Roma. Forse. Perché tra gli investigatori più esperti cresce la convinzione che «siamo di fronte a un innalzamento di livello» e soprattutto al fatto «che sono troppo pochi i casi risolti» (da ultimo, solo l’ag- guato del 2009 al boss della Banda della Magliana Emidio Salomone). L’errore, dice il segretario del Silp Cgil di Roma, Gianni Ciotti è «trattare l’omicidio come semplice omicidio, non andare a controllare cosa si sta muovendo dietro la città». E invece mettendo uno dietro l’altro gli omicidi, confrontando le dinamiche, incrociando vecchie e nuove inchieste appaiono con sufficiente chiarezza alcuni elementi che tengono insieme i fatti di sangue. Sono comuni i contesti criminali, sono analoghe le modalità delle esecuzioni: due perso- ne con casco integrale su uno scooter, la chiamata per nome della vittima, gli spari. «Così uccide la camorra», si lascia sfuggire un investigatore. Che avverte: «Ma a morire sono i romani».
Avviene con una certa regolarità almeno dal primo febbraio 1997. Da quando resta vittima di lupara bianca in uno scontro tra calabresi e campani un trafficante di droga come Salvatore Nigro, uomo vicino al cassiere della Magliana Enrico Nicoletti. A incontrarlo per ultimo è l’imprenditore Umbertino Morzilli, anche lui in affari con Nicoletti, coinvolto nel crack di Danilo Coppola e ucciso nel febbraio 2008 a Cen- tocelle. Un contesto torbido, fatto di droga e rapporti con le mafie, nel quale restano uccisi anche Gennaro Senese (anche lui nel 1997), Giuseppe Carlino (settembre 2001), il vecchio boss della Magliana Paolo Frau (18 ottobre 2002) e Michele Settanni (22 novembre 2002). Una scia di sangue che ci porta dritti al 2011. All’omicidio di Angelo Di Masi (al Prenestino, il 19 gennaio), all’assassinio di Simone Colaneri, il 27 luglio a Torrevecchia. All’agguato di Flavio Simmi, figlio di un gioielliere con contatti con la Banda della Magliana ma prosciolto da ogni accusa, freddato a Prati il 5 luglio.
«Lo stesso contesto di sempre», dice chi di morti a Roma ne ha visti tanti. Di sicuro «roba seria». Più in generale, «possono essere sgarri che finiscono nel sangue o una vera guerra tra bande», dice un investigatore. Magari per consolidare i rapporti con ‘ndrangheta e camorra. Di sicuro c’entra la droga, di sicuro molti – per via diretta o indiretta – lavoravano per le mafie. Di sicuro, se si vuole capire, sono fatti che per essere meglio compresi andrebbero inseriti in un quadro generale. Ancora non è così, purtroppo.
(Capitale in nero, Paese Sera n. 5, Ottobre 2011)