Sicurezza e legalità. Sulla sicurezza si sono giocate le elezioni comunali del 2008 che hanno portato Gianni Alemanno in Campidoglio. Sulla legalità, invece, è clamorosamente franata l’esperienza di Renata Polverini in Regione. Tanto basta per fare un ragionamento serio sull’idea di sicurezza e legalità. Su come siano ormai decisivi nell’opinione pubblica e su come i partiti fino a oggi abbiano utilizzato (storpiandoli in maniera opportunistica e colpevole) questi due concetti.
Giocando in maniera irresponsabile sulle paure delle persone, Gianni Alemanno è riuscito a convincere i romani a farsi votare nel ballottaggio con Francesco Rutelli, salvo poi capire a proprie spese che non è sufficiente fare i raid notturni in moto a caccia di prostitute per soddisfare la giusta esigenza dei cittadini di vivere tranquilli. Continue reading
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Sulle tracce della banda
La Direzione nazionale antimafia nella sua relazione sul 2011 non ha espresso nessun dubbio: non si può parlare a Roma di una nuova banda della Magliana. E certamente non si può dire che la vecchia sia ancora quella di un tempo, non fosse altro che perché molti dei boss sono morti ammazzati.
Eppure mettendo in fila alcuni episodi degli ultimi mesi – e delle ultime settimane – si avvertono ancora forti e inquietanti i fantasmi della banda sulla vita della città.Il primo fatto è, naturalmente, la riesumazione della salma di Enrico “Renatino” De Pedis nella basilica dell’Opus dei di Sant’Apollinare al centro delle indagini per il rapimento della giovane Emanuela Orlandi, che ha visto negli ultimi giorni l’iscrizione nel registro degli indagati anche dell’ex rettore don Piero Vergari.
Ma a questa storia potrebbe essere collegato anche Giuseppe De Tomasi, alias “Sergione”, considerato il telefonista della Banda proprio nel caso Orlandi (anche se lui nega con forza come ha fatto da ultimo minacciando la giornalista di Chi l’ha visto Federica Sciarelli) che, pochi mesi fa, è finito sotto processo per usura ed estorsione. Ma non c’è soltanto il caso Orlandi. A far discutere la città anche la scoperta che Raffaele Pernasetti, “er Palletta”, uscito dal carcere, faccia il cuoco a Testaccio in una trattoria dove, secondo un pentito, si riuniva la banda. Per non parlare,poi, del cassiere della banda Enrico Nicoletti (uomo che vanta, o millanta, rapporti con la politica e non solo, da Andreotti al Vaticano): per gli investigatori, non è mai uscito dal giro tanto che, nell’ultimo anno, è finito due volte in carcere.
Personaggi vicini alla banda sono stati protagonisti, recentemente, di altri episodi di cronaca. Come Angelo Angelotti, l’uomo che ha indicato De Pedis al killer che lo ha ucciso nel ‘90, assassinato durante una rapina a Spinaceto. O come Vittorio Di Gangi, “Er Nasca”, considerato vicino a Nicoletti, arrestato con l’accusa di essere il capo di un’organizzazione di usurai. O, ancora, come Fabiola Moretti, la pentita della Magliana, arrestata per droga. Certo, si tratta di vicende scollegate, frutto di dinamiche diverse. Eppure forse non è un caso che sullo sfondo ci sia sempre la banda che ha spadroneggiato a Roma tra gli anni 80 e 90. E neppure che tutto questo torni d’attualità, ciclicamente. Come se la città non avesse risolto mai del tutto i suoi conti con il passato. Anche per questo, forse, è bene guardare dritto in faccia le mafie, senza suggestioni e dietrologie. Oggi, prima che sia troppo tardi.
Il programma di Pignatone
Poche e chiarissime parole. Così ha scelto di insediarsi a capo della Procura di Roma Giuseppe Pignatone. Il magistrato siciliano, prendendo possesso lo scorso 19 marzo del suo ufficio al primo piano di piazzale Clodio, s’è rivolto alle istituzioni cittadine, alla politica, ai suoi colleghi, alle forze dell’ordine che con la magistratura dovranno lavorare e alla città intera con un brevissimo discorso, che però lascia intendere molte cose sul suo metodo di lavoro e sull’indirizzo che prenderà la Procura.
«Sono consapevole della complessità del compito che mi accingo a svolgere – ha detto Pignatone – Il ruolo del pubblico ministero è fondamentale per il servizio che rende ai cittadini, specie ai più deboli, in risposta alla loro domanda di giustizia. È una funzione essenziale e delicata» che deve essere svolta «coniugando la cultura della garanzia con quella dei risultati». Un messaggio di rivendicazione del mestiere di magistrato e anche una rassicurazione ai cittadini: sul garantismo e anche sull’obiettivo di risolvere i tanti casi ancora aperti nella Capitale. A questo proposito, Pignatone ha voluto sottolineare che «a Roma ci sono magistrati di grande valore e di elevate qualità professionali che hanno saputo gestire in questi anni processi importanti in ogni settore e fronteggiare una gran massa di procedimenti». Proprio ai suoi sostituti e collaboratori – oltre che ai vertici istituzionali – sembra essersi rivolto il nuovo procuratore capo quando ha detto: «Sono sicuro di poter collaborare con tutti». Parole di grande distensione – pronunciate da un magistrato conosciuto anche per le sue doti “manageriali” e di gestione – dentro una Procura che nel corso degli anni è stata attraversata da malumori, guerre intestine e che spesso è stata percepita come il “porto delle nebbie”. Da ultimo Pignatone ha sottolineato «di poter aggiungere» nella sua nuova sfida romana «la mia esperienza a Palermo e a Reggio Calabria» dove, prima da procuratore aggiunto (in Sicilia) e dopo da procuratore capo (in Calabria), s’è sempre occupato di mafia. A buon intenditor, poche parole. Finalmente si proverà a leggere, all’interno di un quadro unico, l’intreccio perverso tra politica, imprenditoria, professioni, criminalità e mafie? Presto per dirlo. Adesso per Pignatone è il momento di mettersi a lavoro. I primi bilanci si potranno fare solo tra alcuni mesi.
(Mammasantissima, Paese Sera, anno 2 n.4, Aprile 2012)
Criminalità fuori cornice
«Violenza efferata». Si esprime così nella relazione sul 2011 la Direzione nazionale antimafia a proposito della realtà di Roma. E tutti i cittadini che nell’ultimo anno hanno assistito a decine di omicidi e gambizzazioni non possono che essere d’accordo. Ma non c’è solo questo nella nuova relazione della Dna. Dall’analisi dei magistrati, infatti, emerge un quadro complesso e tutt’altro che lineare, che dimostra anche quanto siano ancora parziali le conoscenze sul nuovo crimine romano. La Dna spiega che molti omicidi del 2011 (ancora troppi senza una soluzione!) non sarebbero da ricondurre alla criminalità organizzata. Tuttavia, subito dopo, ammette che molte aggressioni «per le modalità esecutive, o per le caratteristiche soggettive delle vittime, o per l’esito delle attività di indagine, risultano invece maturate a seguito di contrasti insorti in un contesto criminale». A proposito delle organizzazioni criminali, la Dna chiarisce che non si può parlare di «nuova Banda della Magliana» perché non si segnalano egemonie e sottolinea la brutalità d’azione di gruppi autoctoni che si dedicano a usura, gioco d’azzardo e traffico di stupefacenti. Nello stesso tempo, la Dna elenca con preoccupazione le attività delle mafie: «L’edilizia, le società finanziarie e immobiliari e nell’ambito del commercio – la ristorazione, l’abbigliamento e le concessionarie di auto». Una presenza significativa dimostrata dall’arresto dei latitanti, «circostanza che presuppone la necessaria presenza di un “dispositivo criminale” idoneo ad assicurare la clandestinità degli stessi» e dai «provvedimenti di sequestro patrimoniale o di confisca», che servono «a dare la misura dell’infiltrazione criminale nel tessuto economico e finanziario».
La cornice appare unica (seppure certamente non omogenea), ma i magistrati continuano a leggere i fatti in maniera frammentaria e disorganica. Non è un caso forse che non esista una vera indagine sul quadro criminale romano, che le forze dell’ordine abbiano mezzi e organici ridotti all’osso, che le inchieste più rilevanti siano quelle delle procure del sud, che sui 201 procedimenti aperti dalla Dda romana nel 2011 in appena 10 – dato allarmante, vista la massiccia presenza dei clan – viene ipotizzato il 416 bis, cioè il reato di associazione mafiosa. Partendo da tutto questo, sarà interessante capire che direzione prenderà il lavoro della Procura con l’arrivo del nuovo procuratore, Giuseppe Pignatone, uno specialista – da Palermo a Reggio Calabria – di indagini antimafia.
(Mammasantissima, Paese Sera anno 2 n. 3, Marzo 2012)
Contro la mafia istituzioni nel caos
Gianni Alemanno che apre finalmente gli occhi, la richiesta di militarizzare la città, le strumentalizzazioni dell’opposizione, gli allarmi dei magistrati e le frenate del prefetto. I cittadini scossi per il duplice omicidio di Ostia non devono affrontare solo le mafie ma an- che il caos istituzionale. E se ne preoccupano, giustamente. Tuttavia devono abbandonare per sempre l’idea della delega antimafia, impegnarsi e provare a ripartire da questo big bang tentando innanzitutto di mettere in ordine i fatti e le analisi. A partire dal litorale: punta dell’iceberg e luogo in cui sembrano più forti e radicati i clan. Basta mettere in fila nomi come quelli dei Cuntrera-Capuano, dei Triassi, dei Senese, dei Fasciani per capirlo. Poi c’è la questione del duplice omicidio: “Sorcanera” e “Baficchio” erano uomini “di peso” e con rapporti stretti con gli uomini della Banda della Magliana (un fantasma che torna) come Paolo Frau ed Emidio Salomone entrambi uccisi. C’è anche il nodo delle istituzioni. Che sembrano vivere un momento di scollamento pesante. Con il capo della Dda Giancarlo Capaldo che alza il livello della preoccupazione e il prefetto Giuseppe Pecoraro che invece continua a parlare di “piccole bande”. Una dicotomia che genera smarrimento. E c’è la questione del mondo delle professioni e dell’impresa di cui colpisce il silenzio.
Poi la politica. E se appare persino imbarazzante l’osservazione del minisindaco di Ostia Giacomo Vizzani («sarebbe potuto accadere anche a Berlino»), si registra finalmente il capovolgimento di posizione di Gianni Alemanno. Che ammette che le spiegazioni (finora difese irresponsabilmente) della guerra tra bande sono «inaccettabili», che parla di rischio mafia e ipotizza persino che si paghi il pizzo (come solo Paese Sera ha soste- nuto per mesi). Certo, creano sconcerto la giustificazione del ritardo («mi era stato detto che si trattava di episodi isolati»), ma insomma meglio tardi che mai. Purché sia conseguente e spieghi la nuova posizione tra i suoi sodali. Dall’opposizione, salvo rare eccezioni, arrivano strali sguaiati e nessuna proposta vera. Adesso è davvero finito il tempo delle parole ed è giunto quello delle scelte, delle pratiche, delle posizioni inequivocabili. La politica deve assumersi fino in fondo le proprie responsabilità e fare della lotta ai clan una precondizione per l’agire. Con un’avvertenza, però: reiterare la richiesta di più poliziotti per le strade è una posizione rituale e stanca, che ha tanto il sapore dell’alibi.
(Mammasantissima, Paese Sera n.7, Dicembre 2011)