Di mafia si parla, ma sottovoce

Sostiene Ilda Boccassini, capo della Dda di Milano: «C’è un tessuto della nostra imprenditoria che ha interesse a fare affari con la criminalità organizzata. Quindi, non denuncia per convenienza». Afferma Diana De Martino, sostituto procuratore della Dda di Roma: «Si assiste a una infiltrazione della malavita organizzata nell’economia anche attraverso un modello criminale di derivazione economica, dove in alcuni casi gli imprenditori si mettono spontaneamente al servizio delle mafie oppure sono gli stessi mafiosi a operare come imprenditori». Parole “gemelle”, che raccontano del consenso di cui le mafie godono nelle nostre città. Parole pesanti, alle quali hanno risposto in molti in questi mesi. Spesso per sminuire, precisare, difendere un malinteso orgoglio cittadino. Sottolinea l’ex sindaco di Milano Letizia Moratti (a Giuliano Pisapia il compito di ribaltare l’impostazione): «Io parlerei più che di infiltrazioni mafiose di infiltrazioni della criminalità organizzata». Il primo cittadino di Roma Gianni Alemanno parla invece di «situazione sotto controllo» e timbra le parole della pm romana come «decisamente enfatizzate». Afferma il prefetto di Milano Gian Valerio Lombardi che «a Milano e in Lombardia la mafia non esiste. Sono presenti singole famiglie»; sentenzia il prefetto della Capitale Giuseppe Pecoraro che «le organizzazioni criminali non controllano il territorio della Capitale». Colpiscono queste dichiarazioni, quali che siano le ragioni che inducono a farle. E stupisce, soprattutto, che rappresentanti istituzionali abbiano posizioni così distanti (quando non antitetiche). Anche perché dovrà pur avere un peso il fatto che i tribunali di Milano – da “Infinito” a “Crimine” – siano affollati di processi ai clan o che la Dda romana da gennaio a oggi abbia aperto ben 274 procedimenti penali.

Rileva il procuratore di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone: «La scelta delle cosche calabresi di adottare una politica di basso profilo e la corrispondente scarsa attenzione dell’opi- nione pubblica hanno finora ostacolato la comprensione della sua reale natura di associazione mafiosa che, proprio perché tale, è capace di penetrare in strati sociali diversi, di acquisire alleanze e complicità, basate spesso sulla paura, ma a volte anche su calcoli di convenienza». Fingere che la ‘ndrangheta non sia esistita, l’ha resa la più potente delle mafie. A Reggio Calabria e a Milano. E a Roma? «C’è posto per tutti», avverte Diana De Martino. E parla di mafie, ovviamente. Speriamo che il protocollo appena firmato da Comune, Prefettura e Camera di commercio sia un primo passo vero per contrastarle.

(Mammasantissima, Paese Sera n. 2 luglio-agosto 2011)

Il delegato antimafia rimasto nel cassetto

A Roberto Morrione, grande giornalista, che ha dimostrato il senso della parola libertà. Un riferimento vero per l’antimafia. Già ci manca.

 

«Mi sembra una proposta interessante», dice Gianni Alemanno. Poi aggiunge: «Non la conosco, la voglio approfondire». È il 28 ottobre 2010 e il sindaco risponde così a chi lo interpella sulla proposta di delibera del centrosinistra capitolino (primo firmatario Paolo Masini del Pd) che porta in Campidoglio – finalmente – il tema delle mafie. In tre modi: chiedendo l’istituzione del Delegato alla lotta alle mafie, di un Osservatorio permanente contro le mafie, di un corso di formazione ad hoc per politica e dirigenti del Campidoglio e dei municipi.

Sono passati più di sette mesi da quel 28 ottobre e della proposta del centrosinistra non si sa nulla. È sparita, se- polta in chissà quale polveroso cassetto, «nonostante il regolamento del consiglio comunale all’articolo 52 preveda il parere degli uffici competenti entro 15 giorni e il succes- sivo confronto in Commissione», sostiene l’opposizione. Un ritardo preoccupante, al di là delle norme regolamentari. Il sindaco non deve necessariamente concordare con la proposta: non è certo in discussione la sua autonomia di giudizio. Sarebbe però utile e opportuno capire cosa ne pensa (visto che l’ha giudicata «interessante» e da «approfondi- re») e soprattutto conoscere qual è la strategia antimafie dell’Amministrazione.

Perché l’emergenza è già realtà. La Direzione nazionale antimafia, nell’ultima relazione, descrive Roma come uno «snodo essenziale per tutti gli affari leciti ed illeciti» e spie- ga come i clan nella Capitale acquisiscano «anche a prezzi fuori mercato, immobili, società e attività commerciali nelle quali impiegano i capitali illecitamente acquisiti». Un’atti- vità che funziona proprio perché c’è basso allarme sociale: incomprensibile, visti gli arresti di boss, i sequestri di locali storici, l’aumento dei reati e persino dei fatti di sangue. Di fronte a tutto questo, cosa si segnala dal Campidoglio? Quasi nulla. A proposito dei soldi sporchi, Alemanno dice: «Il prefetto e la Camera di commercio devono costituire una task force per elaborare uno schema di controllo sulle attività economiche che possono risultare sospette». E una delibera di giunta lo autorizza a siglare un accordo con la prefettura. Davvero troppo poco.

(Paese sera, mensile giugno 2011)